Avevamo soggiornato per voi all’Heartbreak Hotel, e ne eravamo usciti commossi ed emozionati. Grazie al Napoli Comicon 2024, abbiamo avuto l’occasione di scambiare due parole con Micol Beltramini, che ne ha curato la sceneggiatura. Ne è uscita un’intervista dolce e profonda, proprio come lei.
Ciao Micol, è un piacere incontrarti. Il vostro Heartbreak Hotel, che abbiamo “visitato”, è un luogo perfetto per riposarsi quando il cuore s’infrange. Una delle cose più belle è l’equivalenza dei cuori spezzati, independentemente dalla causa. Da dove nasce questa scelta?
Sono contenta, intanto, che tu lo abbia apprezzato perché effettivamente i cuori si spezzano in tanti modi. A volte si spezzano per periodi più brevi, a volte definitivamente – ma non definitivamente, si spera. In realtà, le storie dei quattro ragazzi principali mi si sono presentate prima di sapere che cosa succedesse; semplicemente, ognuno aveva il cuore spezzato a suo modo. Non sapevamo neppure quanto fosse definitiva la rottura, tranne che in un caso specifico, ma ci piaceva dare la stessa validità oltre che alle rotture, a tutti i personaggi.
Potrebbe sembrare che la linea principale sia quella di Maya, e che Fiona e Martino siano solo due comprimari, ma non è così. Questa cosa è stata voluta e cercata soprattutto da me, anche a dimostrazione di come l’hotel scelga in modo casuale; è un po’ come la vita, come dice Fiona a un certo punto.
Per esempio prendi un personaggio come Martino, per cui dici “eh, vabbé, cuore spezzato!”: non è che non gli si sia spezzato il cuore, in quel momento; è che poi ha un caratterino che gli permette di reagire in una maniera differente. Erano interessanti le sfumature all’interno dell’albergo, il modo di ciascuno di processare il proprio dolore, quello che ciascuno chiede alla propria stanza.
Maya e Fede rappresentano due opposti della negazione, in questo range di sfumature.
Esatto, loro sono proprio ai poli opposti. Quello di cui non soffre Maya, almeno all’inizio, è il senso di colpa, che caratterizza più il segno di picche. Maya è incazzata e vorrebbe solo avere il potere di cambiare quello che è successo. È un po’ il Pegasus de I Cavalieri dello Zodiaco e anzi si attribuisce anche la facoltà di aver cambiato gli eventi, non vuole credere al fatto che sia un’illusione. Per cortesia, gli altri per un po’ non glielo dicono, ma le sue certezze iniziano a sgretolarsi piano piano.
A Fede di questo non frega niente: loro sono la ragazza che rivoleva indietro tutto e il ragazzo che non vuole più niente, perché lui è annientato da quello che è successo. Non desidera più nulla, e la stanza riflette questo: è vuota, una cella in cui espiare il suo senso di colpa, perché lui non vuole tornare a vivere.
Con lui poi ti fai delle domande: se fino a quel momento hai visto il soggiorno all’hotel come transitorio, con Fede ti rendi conto che può esserci chi decide di non abbandonare mai il proprio dolore.
Con Maya vedi come avviene il processo di check-out; per Fiona e Martino ipotizzi sia andata nello stesso modo, dato che li vedi già al di fuori della loro stanza. Fede, invece, non si è mai mosso. Era dentro quando è scattato il check-out, e mentre gli altri uscivano – la lettera diceva chiaramente che è sconsigliato rientrare in stanza – Fede ha semplicemente richiuso la porta, negando questa possibilità. Il suo è proprio un non voler più vivere.
A me piace molto che i ragazzi reagiscano tra loro: come hai letto, Fiona reagisce a Martino e viceversa, e lo stesso avviene per Fede e Maya.
E il primo momento in cui Fede reagisce è quando s’incazza perché capisce che in realtà è colpa di Maya. Solo allora, esce per un secondo dal suo isolamento.
Ed è lì che si inserisce Laura, l’unica vera sedicenne di questa storia che, poverina, ha solo fatto un gran casino. E le cose che lei dice alla fine a tutti e quattro, per me erano il modo di chiudere questi cerchi di dolore e dare la possibilità di andare avanti.
Il finale aperto lascia spazio a molte ipotesi: Laura è nell’hotel? Si trova nel piano cieco?
La stanza non si sa dove sia, perché non è nell’albergo; e il neko non è un neko ma è una lucina, per cui non sai da dove lei stia guardando. Volutamente non sai dov’è. Ho dato un po’ per scontato che la sala macchine fosse al piano cieco, non una sala da cui si manovrano le cose, ma in cui ci sono i meccanismi che fanno andare l’hotel. L’idea è nata da una mia visita alla gioielleria Tiffany di New York, che aveva un terzo piano cieco: mi hanno spiegato che in genere è quello in cui ci sono gli uffici. E sulla base di quello, ho immaginato gli uffici dell’Heartbreak Hotel, con il neko che presiede tutto.
Ci sono anche molti simboli presi in prestito da Alice nel paese delle meraviglie, a quanto ho visto.
Decisamente. Maya e Martino condividono il coniglio: Maya è sensuale, impulsiva, fisica, cosa che in parte è anche Martino, pur tendendo più al ragionamento, in quanto segno d’aria. Fiona è il segno d’acqua, e condivide con Martino il bruco: lei perché non vuole crescere, lui perché lo schifa ma solo perché vorrebbe essere una farfalla. Proprio come accade in Alice, i guardiani hanno delle valenze diverse: il coniglio ti ricorda le responsabilità, come un genitore; il bruco ti ricorda che sei in mutamento, e ogni cosa lo è costantemente; e lo Stregatto è il più incredibile di tutti, perché è quello che ti dice che sono tutti matti e non ha nessuna importanza che strada prendi.
Non a caso, Laura “nasce” dal neko di picche. La scena finale per me era un modo di concludere con quello che non c’è in Alice, ma in Attraverso lo specchio, in cui si scopre che è tutto un sogno del Re Rosso. L’immagine finale di Laura per me poteva voler dire anche quello.
A me è piaciuto anche immaginarla come parte dell’hotel, da quel momento in poi.
L’abbiamo resa una forza abbastanza immortale, a cui abbiamo dato il nome prendedolo in prestito da Laura Palmer, per cui potrebbe esserlo. Ma mi piace anche pensare che eventuali altre storie non ripetano lo stesso schema. Però sì, potrebbe anche essere che si sia trasferita lì, perché no.
Leggendolo, ho immaginato altri hotel possibili, ma tutti con forma diversa.
Esattamente: la forma può variare di volta in volta; potrebbe essere antico o futuristico, e sopratutto la struttura potrebbe essere ogni volta diversa, con simboli diversi. Ma soprattutto, quello che resta è che l’Heartbreak Hotel non è né un penitenziario, né un ospedale in cui ti dicono cosa devi fare. Soprattutto, non è un luogo triste. All’inizio, quando la nostra editor ci ha chiesto “Ma l’hotel è un luogo positivo o negativo?” le ho risposto che è come l’amore, positivo e negativo, dipende da che uso ne fai. L’hotel è un prisma che si riflette a seconda di come ti comporti.
A un certo punto ti calcia fuori, è chiaro: se continui a fare la stessa cosa in loop e non la capisci, a un certo punto si stanca e ti sbatte fuori. Non perché ci sia un meccanismo di correzione morale, ma semplicemente perché c’è un tempo per tutto.
In effetti, non si ha mai l’impressione che ci sia un occhio giudicante che muove le fila.
Per noi era importantissimo che non ci fosse una situazione in stile Grande Fratello, qualcuno che guardasse costantemente. La stanza del terzo piano, che all’inizio non pensavamo neppure di svelare, è nata nel momento in cui ho fatto freezare i due personaggi a Laura; sono andata a scrivere il controfinale, perché avevo bisogno di un attimo, e poi ho iniziato a chiedermi cosa ci facesse Laura lì. Tutto quello che si vede in quella stanza serve per dare la possibilità di spiegare delle cose, ma è appunto una sala macchine.
Un altro messaggio che ci tenevo a dare è che, per me, l’amicizia è meglio dell’amore, per cui se ti apri qualcuno ti tenderà una mano. I personaggi non solo fanno amicizia, ma imparano a essere gentili uno con l’altro, anche grazie ai guardiani. Avrei voluto scrivere 800 pagine, approfondire tanti aspetti, ma già così siamo andate molto oltre.
Qual è la parte che ti ha emozionata di più, quando l’hai immaginata?
Quando siamo arrivati a Fede, eravamo tutti lì a piangere come fontane. È un’idea che mi è venuta all’inizio e che non sapevo come si sarebbe evoluta nella storia; ma a quel punto piangevamo tutti, ci scambiavamo canzoni tristi. Da come Maya te lo descrive, sembra uno stronzo, ma in realtà capisci che semplicemente non sapeva esprimere il proprio amore e che anzi, forse aveva anche un po’ paura di farlo.
E il finale di Laura, anche mi ha fatta piangere; è come quando E.T. va via, o come quando Ai di Video Girl Ai svanisce. Però c’è il controfinale che, come dice Martino, è un po’ come il finale di It, quando Bill sale sulla bici con Audra, dopo che quel bellissimo discorso:
Trovati un po’ di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c’è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio.
Ha detto tutto. Be true, be brave, stand. All the rest is darkness.
Non poteva esserci conclusione migliore a un’intervista tanto bella e toccante. Ringrazio Micol per quello che ha saputo trasmettermi e per la gentilezza mostrata da lei e Agnese Innocente – e in fiera non è mai facile, data la stanchezza e i mille impegni. Grazie anche a tutto lo staff de Il Castoro, che mi ha pazientemente sopportata tra i piedi durante l’intervista. Potete trovare la nostra recensione di Heartbreak Hotel qui, e vi consigliamo di leggerla.
All the rest is darkness.
Micol Beltramini
Micol Arianna Beltramini è autrice del bestseller 101 cose da fare a Milano almeno una volta nella vita (Newton Compton) e del romanzo La mia amica scavezzacolo (Hacca). È anche autrice di fumetti, tra cui Last goodbye. Un tributo a Jeff Buckley (Edizioni BD), Murder Ballads (Mondadori Oscar Ink) e Anna dai capelli verdi (Piemme), scritto insieme ad Agnese Innocente.