Motor Girl, di Terry Moore – Recensione

Abbiamo letto l’ultima opera di Terry Moore, Motor Girl. Bao Publishing raccoglie in un volume unico i dieci capitoli delle avventure soprannaturali di Sam, una veterana di guerra (anche meccanico) e di Mike, il suo inseparabile amico gorilla. Ecco cosa ne pensiamo

Credo di aver avuto fortuna con Motor Girl. Io e questo fumetto ci siamo scelti tra tanti; probabilmente lui sapeva cosa stessi cercando mentre io ero troppo presa dal resto del mondo. Così Terry Moore mi ha fatto un bellissimo regalo. Ha chiuso fuori tutti e mi ha fatto conoscere Samantha senza che avessi visto, nemmeno di sfuggita, qualcosa su di lei prima del suo arrivo sulla mia scrivania.

Vorrei che tutti leggessero Motor Girl. Non solo perché se un’opera mi è particolarmente piaciuta sento il desiderio irrefrenabile di diffondere il verbo importunando anche gli sconosciuti. Vorrei che fosse letto perché di alcune storie non si dovrebbe mai smettere di parlare.

La guerra fa schifo, da qualunque lato la si voglia guardare. Non avrei mai scelto di essere Samantha, una ragazza che decide di immolarsi per un orrore barbaro, crudele, ripugnante come l’invasione del Golfo; dell’Iraq per la precisione. Tuttavia lei c’era e ne porta le ferite addosso. Segni evidenti che servono a documentare la sua presenza in guerra alle persone che incontra ora che è tornata a casa ma, soprattutto, lesioni  in una mente irrimediabilmente compromessa. Ed è qui che la chiacchierata con Samantha si fa a senso unico con chi legge la sua storia. Lei ve la racconta e voi per un paio d’ore dovete solo ascoltare senza interromperla.

Samantha è una veterana di guerra che nel nulla del deserto gestisce uno sfascio sulla proprietà di Libby, una vecchietta che adora Sam più di ogni altra cosa al mondo. Insieme a Samantha troviamo Mike, un gorilla che ha il dono di dire sempre la cosa giusta al momento giusto. Quest’equilibrio sotto al sole cocente viene interrotto dal Dott. Walton, che vuole comprare la proprietà di Libby per delle ricerche sulla vita extraterrestre. Walton ci ha visto giusto, perché gli extraterrestri ci sono per davvero e, dopo la famiglia Bone, credo sia la cosa più adorabile dell’universo.

In questo contesto, dove la Coca Zero e la birra ghiacciata non bastano mai, si concentra l’America con le sue detestabili consuetudini. Tra tutte, quella di invadere gli spazi altrui. Che sia il Medio Oriente o la proprietà privata non fa differenza. Moore riesce a colpire proprio lì dove divento facilmente irritabile e ogni destro che mette a segno Samantha vorrei averlo sferrato io. Per quanto si tratti di un’opera breve, si sviluppa immediatamente un affetto per tutti i presenti che siano di questo o di un altro mondo. Nella sofferenza silenziosa di Samantha, nell’istinto protettivo di Mike (ti voglio bene Mike, davvero) o di Libby c’è tanta tenerezza .  

Nel racconto di Moore il passato e il presente si mescolano in uno spaccato di vissuto intenso e doloroso dove si cerca una normalità inesistente e la protezione per ogni forma di vita, fosse pure aliena, colpisce come un pugno di cotone con una sequenza di immagini, in certi punti della storia, che meritano solo un religioso silenzio.

Eppure si sorride – e molto – con Motor Girl. Tra teneri alieni e coprotagonisti improbabili, si tifa per tutti i presenti in quella striscia di terra americana, dove Samantha è una forza della natura inarrestabile e, quaranta gradi all’ombra, sono davvero insopportabili.

Una storia, quella di Motor Girl, che non riesco a silenziare nella mente, che non riesco a riporre in libreria o a consegnare alla memoria per il desiderio che sento di lasciarla ancora un po’ qui, vicino a me.

Forse sarà per la voglia di rivedere Mike un’altra volta, prima di andare oltre.    

 

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Sig.ra Moroboshi

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Contro il logorio della vita moderna, si difende leggendo una quantità esagerata di fumetti. Non adora altro Dio all'infuori di Tezuka. Cerca disperatamente da anni di rianimare il suo tamagotchi senza successo. Crede ancora che prima o poi, leggerà la fine di Berserk.

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