Nella giornata conclusiva di ARF!, domenica 26 maggio, si è tenuto il Talk “Politically Incorrect – Questo NON è un panel sul Graphic Journalism” sul ruolo del fumetto come mezzo di informazione nel mondo contemporaneo, vessato dai conflitti e dalle disuguaglianze.
«Fumetto come linguaggio e presenza militante in un mondo che ne ha bisogno di voci di un certo tipo»: con queste potentissime parole la giornalista Fabrizia Ferrazzoli ha aperto, durante l’ultima giornata della decima edizione di ARF!, il Talk “Politically Incorrect – Questo NON è un panel sul Graphic Journalism” alla presenza degli ospiti Alino (curatore della mostra collettiva “Falastin Hurra” in corso al Villaggio Globale a Roma fino al 16 giugno), La Tram (disegnatrice di “Finché l’ultimo canta ancora” per Emergency), Cecilia De Luca per AssoPace Palestina e, in collegamento da casa, Gianluca Costantini (“Human Rights Portraits” per BeccoGiallo).
Politically Incorrect – Il Talk!
Avviando un dialogo sempre più costante con il mondo che ci circonda, il Fumetto si è fatto linguaggio trasversale, di informazione e controinformazione: uno strumento politico. Ne parliamo sollevando tre temi al centro dell’attuale dibattito culturale, umano, politico: il genocidio palestinese, il diritto alla cure e i diritti delle donne in Afghanistan, le ingiuste detenzioni e le reazioni che stanno sollevando.
La Nona Arte «riesce a fare formazione, informazione e contro-informazione e come inevitabilmente diventa linguaggio e uno strumento politico»: in un momento storico particolarmente delicato e inquieto dal punto di vista sociale e politico, nella decima edizione di ARF! Festival, con la partnership di AssoPace Palestina (organizzazione di volontariato fondata dall’ex Vice-Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini) si è parlato dell’importanza del fumetto come mezzo di informazione a tutto tondo.
Inevitabile e quasi doveroso affrontare l’argomento mentre il conflitto israelo-palestinese imperversa senza sosta mietendo centinaia di vittime quotidianamente, volontari, giornalisti ed artisti ne hanno parlato direttamente nel Talk! tenutosi nell’ultima giornata del Festival. Come? Innanzitutto chiarendo le azioni di volontariato di AssoPace Palestina: l’associazione vuole difendere (e sensibilizzare) il diritto alla resistenza armata della Palestina, dando sostegno alla resistenza non violenta: ciò si traduce, nella nostra sfera di interesse, a dare sostegno «a tutte le dimensioni che sono occupate» siano esse «dimensioni materiali, dimensioni immateriali».
Ecco, dunque, che anche la narrativa va a sostegno di quegli “spazi occupati”: AssoPace Palestina interviene con speaking tours, con testimonianze degli interventi, organizzando viaggi di solidarietà e conoscenza in modo tale da mostrare quello che succede nei villaggi già da molto tempo prima prima dell’attacco del 7 ottobre.
Il governo israeliano, insediatosi nell’anno precedente, stava già perpetrando violenze e le situazioni vissute dal popolo palestinese erano già allarmanti, poiché stava subendo «una politica di deterritorializzazione, di apartheid, di occupazione» nel territorio di Palestina da parte di Israele. L’intervento affinché venga ripristinato e tutelato il diritto all’autodeterminazione di questo popolo su diverse dimensioni, anche nelle dimensioni semantiche e narrative, significa «lavorare su di esse e rendersi conto di come una certa narrazione sia parte di questa occupazione e di questo processo di dominazione», significa «operare in contrasto al caos e alla protezione da alleanze politiche che consentono che questo orrore accada davanti agli occhi di tutti».
Per questi motivi, anche il Diritto Internazionale deve utilizzare anche la semantica corretta e, a proposito di istituzioni, di autorità e di impegno, a far seguito alle dichiarazioni e alle descrizioni precedenti di Cecilia De Luca è un videomessaggio proprio di Luisa Morgantini, purtroppo assente per il Talk!. L’ex membro del Parlamento Europeo ci ha tenuto, ancora una volta, a sensibilizzare il pubblico, gli spettatori e i lettori verso il conflitto medio-orientale, sottolineando quali progressi si stiano facendo a livello internazionale e, ancora una volta, richiedendo il cessate il fuoco.
Come anticipato in apertura, AssoPace Palestina è partner di ARF! Festival ma anche partner della mostra collettiva al Villaggio Globale di Roma “Falastin Hurrà”, curata da Alino: un mostra itinerante che si è spostata da Napoli a Matera a Milano a Roma. La mostra è nata «dall’esigenza personale degli artisti coinvolti di fare qualcosa». Tra i protagonisti di questo sentimento comune, di questa sensibilizzazione artistica nei confronti del conflitto israelo-palestinese c’è Gianluca Costantini (autore del famosissimo ritratto di Patrick Zaki), fumettista vincitore del premio “Arte e Diritti Umani” di Amnesty International.
In Falastin Hurra, non solo autori italiani ma anche autori palestinesi, iraniani, libanesi mettono in mostra il loro dolore e la loro disperazione. Ma questo è un modo di dare sostegno alla situazione politica internazionale: il carattere forte e schierato purtroppo, però, ha causato diversi “NO” per ulteriori allestimenti.
L’impegno e l’impiego dell’arte esercita, poi, un potere auto-rivelatore: «più parliamo di una cosa, più diventa potente». Gli artisti di tutto il mondo, anche se ostacolati e vittime di censure più o meno forti, stanno parlando di Palestina. Anche se oggi «è molto rischioso dire la propria ma è fondamentale: chi è fumettista» e non usa il proprio lavoro per esprimere la propria visione «e “continua a disegnare paesaggi” è a favore di questa guerra».
Il discorso del fumetto come informazione si può allargare più in generale a «illustrazioni e diritti civili»: sempre Costantini è stato autore del ritratto de “i piedi di Ilaria Salis con le catene”, che ha rimandato ai ritratti «degli indiani d’America fatti prigionieri». La potenza del fumetto per fare informazione sta nella sua rapida diffusione: anche se costituisce una reinterpretazione di fotografie già di per sé impressionanti, «quando quel disegno viene preso dalle persone, utilizzato, acquista ancor più significato».
Margherita La Tram e Francesca Torre (entrambe membri del collettivo MOLESTE) hanno intrapreso, invece, un viaggio in Afghanistan dopo la presa di Kabul dei Talebani dell’agosto del 2021 con Emergency nei centri, ospedali e pronto soccorso. La disegnatrice, forte anche della Laurea in Relazioni Internazionali, ha dichiarato che «non si è mai davvero pronti» ad affrontare queste situazioni che presentano fin da subito «uno shock culturale completo».
La realizzazione di Finché l’ultimo canta ancora voleva colmare il gap «tra coloro che si occupano di queste questioni» e i lettori, per parlare del diritto di cura delle donne in Afghanistan, in modo che potesse arrivare ad un pubblico più ampio possibile. Nonostante il governo talebano abbia gradualmente inibito l’università ed alcuni tipologie di corsi, le donne non sono affatto rassegnate: possiedono «una perspicace determinazione a cambiare le cose». Il mood delle ragazze giovani è quello di «essere arrabbiate per vedersi sottrarre questa possibilità» e «di rimanere socio-dimensionate».
Per realizzare un fumetto, un racconto di denuncia, di sensibilizzazione e di impegno sociale, le artiste hanno cercato di «mantenere la giusta distanza tra quello che si vive e quello che si racconta» soprattutto «per salvaguardare le persone che lavoravano» con loro e al loro fianco.
Salvaguardare la componente di cronaca anche nella narrazione a fumetti diventa fondamentale perché «quello che magari nella nostra cultura occidentale è in un certo modo, può essere interpretato in un modo critico o comunque diverso da un’altra cultura». Un esempio in questo senso e che si ritrova nella graphic novel è l’alta «presenza dei posti di blocco: da occidentali, può sembrare un’oppressione; dal punto di vista di un talebano è un punto di approdo di come controllino il territorio in modo capillare, in modo efficace. La stessa immagine può saper donare due diverse narrazioni».
In questo momento storico, comunque, c’è una partecipazione crescente di fumettisti ed artisti alle cause, che non è necessariamente quella palestinese, ma anche le questioni di genere, il femminismo, il femminile ed è un sentimento ed una partecipazione relativamente nuova: dall’inizio degli anni 2000 si è iniziato a «fare fumetti di realtà, con i fumettisti che sono preparati a parlare di qualsiasi cosa».
L’altra faccia della medaglia è che c’è un prezzo da pagare per l’esposizione: «se ci sei dentro è molto pericoloso» e d’altra parte «è aberrante non schierarsi, diventa solo marketing». Il fumetto, dunque, «può colmare il gap come un’informazione alternativa, quasi come un diktat morale».