Siamo giunti con L’uomo che non c’era, scritto da Giulio Antonio Gualtieri e disegnato da Ludovica Ceregatti con Elisa di Virgilio ai layout, al terzo appuntamento con Caput Mundi, la serie che ha a cuore il voler mostrare ai lettori, tutti i mostri che si agitano nell’Urbe. Nei primi due numeri abbiamo conosciuto lupi mannari, donne bioniche, vampiri e mummie, cose insomma che vanno oltre l’essere umano, che ci hanno catapultati in una Roma diversa e soprannaturale. Anche a livello spaziale, la Roma vista nei primi numeri è lontana da quella che tutti conoscono. Gli autori ambientano infatti le loro storie in luoghi della capitale vissuti, quelli lontani dai turisti, lontani dagli esterni.
In questo numero ritroviamo tutti i personaggi che avevamo lasciato, ma abbiamo a che fare con qualche novità. Stavolta però il protagonista non è un sovra – uomo, ma una persona “normale”, che ha in dotazione intelligenza e scaltrezza: si serve delle proprie capacità per diventare superiore.
L’uomo che non c’era si muove in una Roma che conosciamo benissimo, quella tra i Fori e il Vaticano e mentre gli scenari meravigliosi riportati dai disegni di Ludovica Ceregatti non passano mai inosservati, il protagonista di questa storia sì. Ci troviamo di fronte a un ladro, abituato a diventare ombra e vivere nel silenzio. Grazie alle capacità mimetiche, alla sua agilità e a tutta una serie di tecniche che ha sviluppato, riesce a rendere ogni colpo una performance. All’inizio del fumetto, il curatore della serie Giulio Antonio Gualtieri (in questo numero anche sceneggiatore) fa riferimento al film dei fratelli Coen “L’uomo che non c’era”: è ovviamente indubbio il legame tra questo film e il terzo numero di Caput Mundi, ma fin dalle prime pagine ho pensato irrimediabilmente anche a Neal Caffrey, protagonista della serie tv White Collar. Complice forse il fatto che si tratta di furti di opere d’arte, si parla di estimatori di bellezza, lui stesso in fondo produce arte e si muove con grande eleganza come Neal.
In questo numero però oltre all’apparizione di un bel personaggio che sembrerebbe completamente umano, c’è un’altra piccola novità: nei volumi precedenti ci sono esseri fortemente negativi ed emarginati, ambienti in decadenza, nessun accenno di positività. Qui fa la sua entrata in scena la bellezza, non quella che cela pericoli come quella di Eva, ma la bellezza in quanto tale, quella della tela che ruba l’uomo invisibile o quella dei Fori stessi. C’è anche un rapporto quasi sano di amicizia, quello tra l’uomo invisibile e Achille, di cui ho apprezzato l’accostamento un po’ chiastico: il ladro è elegantissimo e parla un forbito italiano, mentre il committente, estimatore artistico, è un corpulento cuoco che si esprime in un genuino romanesco.
Gli autori ci avevano abituati a mazzate, membra umane che planavano tra le tavole e forse ci saremmo aspettati più un ladro alla Diabolik in questi scenari, più efferato. L’uomo invisibile rientra invece più nel topos del ladro gentiluomo come Raffles, Lupin: ribadisce più volte infatti la sua politica di non violenza. Non per questo però c’è meno azione, le risse sono semplicemente più controllate, come se fossero più composte, anche se a spezzarvi il cuore maggiormente saranno le colonne dei fori che si schiantano, rendendo così ampiamente sufficiente la dose di violenza che saremo “costretti” a vivere attraverso le tavole di Ludovica Ceregatti.
Un po’ meno di efferatezza quindi, ma anche disegni più freschi, non estremamente realistici, che sono godibilissimi specie per gli esterni.Menzione speciale alle splash pages contenenti il prospetto e la sezione del palazzo della mummia.
Siamo a metà di questo percorso che ci sta portando a conoscere tutti gli attori del sottomondo e del sovramondo di Roma, io non vedo l’ora di scoprire di più sulla mummia, ma il prossimo episodio sarà incentrato sul mostro del lago. Toccherà quindi aspettare ancora un po’…
Carla Gambale
Abbiamo parlato di: