Continua l’opera biblica di Kazuo Kamimura. Kyoko e Jiro s’imbattono in problemi sempre più seri, trovandosi di fronte a situazioni in cui sono costretti a crescere e maturare senza procedere per gradi: la loro storia d’amore alimentata dal desiderio di stare insieme e dalla passione reciproca affonda in maniera irrimediabile proprio sotto al concetto di amore stesso.
Andiamo dritti al punto: cos’è l’amore?
Wikipedia così apre l’argomento: Con la parola amore si può intendere un’ampia varietà di sentimenti ed atteggiamenti differenti, che possono spaziare da una forma più generale di affetto (“amo mia madre; amo mio figlio”) sino a riferirsi ad un forte sentimento che si esprime in attrazione interpersonale ed attaccamento, una dedizione appassionata tra persone oppure, nel suo significato esteso, l’inclinazione profonda nei confronti di qualche cosa.
Può anche essere una virtù umana che rappresenta la gentilezza e la compassione, la vicinanza disinteressata, la fedeltà e la preoccupazione benevola nei confronti di altri esseri viventi, ma anche il desiderare il bene di altre persone.
Fin da quando siamo piccoli abbiamo le potenzialità per amare: cominciamo con gli oggetti di cui non possiamo fare a meno, con gli odori con cui conviviamo, con le situazioni che ci fanno sentire a nostro agio. Crescendo diventiamo consapevoli di amare le persone che ci sono attorno, realizziamo che ci sono vari tipi di amore: quello materno, quello passionale, quello dettato dal desiderio di possessione, quello di amicizia, ancora quello protettivo e quello nascosto dietro la più pura ammirazione. Su una cosa non c’è dubbio: ricorderemo per sempre ogni genere di amore che ci ha fatto sentire vivi, che ci ha messo egoisticamente prima degli altri pur di ottenere quello che volevamo o che ci ha reso una nullità pur di far felice qualcuno.
Giunti nel 2017, sappiamo che il concetto di amore è stato analizzato e concepito in maniera diversa da varie discipline. L’uomo ha cercato di dargli una spiegazione scientifica, psicologica, culturale e anche etica; ma la fase dell’amore che ci “annebbia la mente”, quella in cui siamo pronti a fare gesti folli, non credo sia razionalizzabile. Kyoko e Jiro, trascinati completamente dalla passione, resa ancora più viva dall’andare contro la società del tempo in cui vivevano, restano intrappolati nei loro stessi sentimenti. Fino all’apertura con l’Occidente, in Giappone non esisteva nemmeno una parola che indicasse il concetto di amore, era legato a sentimenti di sofferenza e crisi dell’anima, tanto che due amanti si giuravano amore eterno suicidandosi.
Gli stessi protagonisti di Dosei Jidai citano più volte il suicidio: questo secondo volume è incentrato completamente sulle molte facce di questo sentimento, forse primo tra tutti l’amore che lega Kyoko a sua madre e viceversa: la scelta della convivenza non è stata mai vista di buon occhio dalla donna, tanto che ha troncato i rapporti con la figlia senza mostrare la minima comprensione, se non per ricordargli di aver preso la peggiore delle strade non sposandosi.
Kyoko di questo ne soffre molto, proprio nel momento in cui sta crescendo, sta diventando una donna e seppur non sposata fa una vita da moglie, non ha alcun punto di riferimento e si trova a dover far fronte a decisioni che intaccheranno il resto della sua vita.
Mentre Jiro vive dei periodi in cui non si sente realizzato e non può dare a Kyoko tutto quello che merita, la ragazza subisce il peso degli eventi e comincia ad avere incubi in cui deve affrontare una figura femminile (prima attribuita al fantasma di lei stessa, poi invece scopriamo essere la madre) che l’ammonisce e le fa cadere tutte le sue certezze. Determinante è il suo consulto con un medico, che invece di darle supporto per i suoi stati d’ansia la tramortisce ulteriormente con prediche sull’etica e la morale: la convivenza senza matrimonio è la causa di tutti i suoi mali.
Disperata torna a casa e chiede a Jiro di sposarsi, ma il ragazzo si dimostra contrario e titubante, è forse quello il modo per dimostrare l’amore? Sposarsi solo per essere accettati socialmente è giusto ai fini della vita di coppia? A completare il quadro, Kyoko resta incinta e questo allontana in maniera brusca i due ragazzi. Razionalmente lei sa che non possono tenere questo bambino, insieme hanno un guadagno misero, vivono in un buco di appartamento e non hanno nessuno su cui contare, in più non vuole togliere a Jiro la possibilità di fare carriera e intaccare la sua libertà, così decide di abortire.
Jiro si ritrova in poco tempo dall’essere padre a non esserlo più, entrambi in preda allo shock non si erano aperti e non avevano parlato del da farsi o su come affrontare la situazione, dunque ne emerge una lite disperata ed accorata, in cui Kyoko manifesta il suo totale smarrimento tentando di tagliarsi le vene davanti al compagno e svenendo in un mare di sangue.
Il ragazzo atterrito da tutto, riesce a farla portare in ospedale, dove la ragazza si salva ma resta totalmente immersa in un altro mondo. Uno stato in cui non vuole né affrontare, né ricordare nulla della sua vita e niente la stimola a tornare la ragazza che era.
Venuto a conoscenza, tramite i medici, delle nevrosi d’ansia della compagna, Jiro capisce che pur convivendo erano due estranei. Non avendo una figura a cui appoggiarsi, cerca aiuto scrivendo ai genitori di Kyoko, ottenendo solo la visita del padre, che sceglie di farla ricoverare in un ospedale psichiatrico. A questo punto le loro vite si allontanano ulteriormente, ma c’è ancora la possibilità di ritrovarsi e ricongiungersi alla fine del percorso di Kyoko.
Kamimura riesce a rendere drammatico e simbolico anche un semplice ramo mosso dal vento, la storia si fa carica di rancore ed egoismo, che se prima era volto a far star bene l’altro, adesso si è trasformato in un senso di incompiutezza che sfocia nel cercare di sopravvivere senza farsi troppo male.
Tutto passa in mano a Jiro: riuscirà a far rifiorire le loro vite, a far ristabilire un po’ di quell’equilibrio per cui lui e Kyoko si sono tanto battuti? Onestamente mi aspetto un finale fortemente carico di pathos, in cui vorrei che l’autore faccia aprire in prima persona entrambi i personaggi.
Essendo una donna ho sentito fortemente la mancanza della spiegazione delle crisi femminili. Che le donne sono forti e temerarie, ma allo stesso tempo volubili e cariche di ormoni in disaccordo è risaputo, quello che vorrei emergesse della protagonista sono tutti i suoi contorti percorsi mentali, come arriva a tante agognate scelte e quanta sofferenza contiene quel corpo prima di impazzire.
L’aspetto della comprensione femminile manca in maniera decisiva in questo secondo volume, tanto che lo stesso aborto sembra quasi solo un evento narrato, quando invece per una donna è un dramma che anche in vecchiaia provoca delle pesanti mancanze. Cosa porta Kyoko a perdersi così? L’assenza di dialogo con Jiro? Effettivamente i due non si sono mai raccontati le loro anime, non si sono “condivisi” fino in fondo.
Oppure non sopporta il peso delle critiche per la loro difficile convivenza? Risalta invece l’amore “acerbo”, sia come esperienza per due giovani amanti, che come collocazione nella società: infatti per essere accettati e aiutati i due ragazzi dovrebbero cedere a delle regole imposte da una lenta rivoluzione culturale. A questo punto mi chiedo anche come fosse la vita tra moglie e marito a quei tempi, possibile che mettesse delle radici così salde da rendere incrollabile qualsiasi coppia?
L’amore è sempre pieno di errori, se c’è bellezza nell’amore lo si deve agli errori commessi da un uomo e una donna. Se l’amore finisce tra le lacrime è perché ne è sempre stato la dimora. Il tempo in cui si ama… l’età della convivenza.
Saki
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