La parola GEISHA è composta in lingua originale da due kanji: GEI che significa “arte” e SHA che sta ad indicare la persona: potrebbe dunque essere tradotto come “artista” o come “persona d’arte”. Più propriamente potrebbe essere inteso come arte della donna o ancora meglio quando l’essere donna diventa arte. Il fascino delle geishe è senza tempo. Maestre nell’arte del piacere, donne di raffinata cultura, sensuali e misteriose, incarnano l’anima più autentica del Giappone, che sopravvive tuttora accanto alla sua modernità aggressiva.
Superficialmente vengono intese come intrattenitrici, servendosi di varie forme folkloristiche d’arte, accompagnano le serate di vari clienti, destreggiandosi in vari tipi di d’incontri tra quelli occasionali, abituali e gli amanti. Nonostante il mondo attorno a questa tradizione sia stato raccontato più volte in libri e film, nasconde ancora una parte segreta, restando velatamente oscuro e circondato da tanto fascino.
Accattivante e malizioso, questo particolare mondo nasconde la parte fredda e cruda della vita delle vere geishe di Tokyo e Kyoto. Geisha non si nasce, purtroppo lo si diventa, dietro quei visi graziosi, dipinti alla perfezione, si nascondono donne con storie diverse. Ognuna di loro ha sudato e lavorato duramente per raggiungere un posto nella società, spesso si trattava di bambine vendute o strappate alle famiglie, creature che avevano subito violenze e non avevano potuto far altro che accettare la loro nuova prospettiva di vita. Il loro mondo è l’espressione (ora diciamo in piccola parte) del Giappone di considerare il piacere come qualcosa di acquistabile col denaro, dove per piacere non s’intende quello legato alla sfera sessuale, ma quello che si prova nell’apprezzare una compagnia, un profumo, una melodia o un’esibizione senza eguali.
L’atmosfera elegante del “mondo dei fiori e dei salici”, la squisita conversazione, il trucco estremamente elaborato di queste donne stupende, il loro abbigliamento, la loro arte, la capacità di una geisha di una certa età di generare attrazione e fascino che trascende la sensualità: sono proprio questi gli elementi essenziali che compongono il piacere in questione.
Iwasaki Mineko, autrice della biografia “Storia proibita di una Geisha” (attenzione: è la vera protagonista e la vera storia che si nasconde dietro “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden, recuperatelo!) afferma che ogni geisha è come un fiore, bella in un suo modo speciale e, come un salice, aggraziata, flessibile e forte.
Le molteplici forme della sensualità, la grazia, la purezza, la bellezza, la maturità, lo spirito malizioso e piccante, la gioia, la tristezza, la venalità e il dolore sono al centro di quest’opera del maestro Kazuo Kamimura. Pubblicato tra il 1974 e il 1980 sulle pagine della rivista “Big Comic”, Una gru infreddolita (Itezuru) è una tra le sue opere più rappresentative, attraverso la storia di una bambina venduta a una casa di geishe, l’autore ricostruisce un mondo ormai perduto e quasi del tutto scomparso, in cui l’eleganza si mescolava al talento, la bellezza alla tristezza e il dolore alla solitudine.
Dopo Lady Snowblood (Shurayuki hime) e L’età della convivenza (Dosei jidai), il maestro Kamimura dedica un’altra sua opera alle donne, mostrando l’animo felice e triste, lascivo e innocente che donne cariche di rabbia e solitudine nascondono in fondo all’anima. Anche stavolta ci regala un’opera tagliente e cruda, una storia di vita vera accompagnata da disegni realistici e davvero eleganti, un tocco d’arte erotica con cenni storici che ci lasciano i brividi sulla pelle.
La storia è ambientata all’inizio dell’epoca Showa (1926-1989), gli anni in cui il Giappone si preparava alla guerra mentre il Karyukai (appunto il mondo dei fiori e dei salici) continuava ad affascinare con eleganza, talento e seduzione. Il titolo della storia è un kigo, ossia un riferimento stagionale (in questo caso invernale) che riporta all’immagine di una gru, elegante e candida, che nei paesaggi innevati, resta con la testa sotto le ali, immobile su una zampa per superare il freddo pungente. Anche in quest’opera di Kamimura, la protagonista ha un nome che ne richiama il carattere e le abitudini: quando badava ai bambini piccoli del suo villaggio, Tsuru restava immobile su una gamba, proprio come le gru, cercando di riscaldare i piedi nudi (da qui il suo soprannome Tsuru, che significa proprio gru).
La piccola orfana ha talento e bellezza da vendere, è scaltra e furba.In un mondo colmo di donne egoiste, ribelli, ambiziose, appassionate ed innamorate, lei è destinata a diventare la più bella e la più desiderata.
La struttura del manga può essere suddivisa in due parti speculari, composte da 8 capitoli: la prima parte che racconta il periodo da shikomikko (apprendista) di Tsuru, la seconda in cui i capitoli sono incentrati sul periodo in cui è ormai una famosa geisha.
La storia potrebbe sembrare non conclusa e quasi troncata, ma dopo un’attenta lettura e riflessione sui dettagli, potreste trovarvi il senso di non raccontare la fine di un mondo destinato a drastici cambiamenti. L’autore è riuscito a mettere nero su bianco un altro lato della figura enigmatica della geisha, ancora in minima parte presente nello scenario del Giappone moderno.
Vi lascio proprio riflettere su questi versi tratti da “I racconti di Ise” di Ariwara no Narihira (823-880 d.C.):
Li amiamo
perché cadono,
i fiori di ciliegio.
In questo mondo fluttuante
cos’è che rimane?
Saki
Abbiamo parlato di