Indagare nel lato oscuro dell’essere umano, provare a comprendere quale sia il peso specifico dell’ombra interiore, è il lavoro preferito del Maestro Nagai.
Non serve necessariamente guidare i vostri ricordi verso quei Titoli, si spera, conosciuti in ogni angolo del globo per trovare conferme. Il mondo di Devilman da una parte, culmine espressivo della sua filosofia pessimista, la produzione robotica dall’altra hanno sempre consegnato ai lettori un’iconografia commentata su quanto l’essere umano sia bieco, corrotto, irriconoscente e incline ad assaporare la metà della mela sbagliata: quella marcia per l’esattezza.
Quasi per gioco nacque l’idea nell’entourage di Nagai di relazionarsi con le opere immortali occidentali. Non mi riferisco alla Divina Commedia, qui intendendo l’omaggio del Maestro, una delle sue prove artistiche che tolgono il fiato per la bellezza e la cura con cui è stata realizzata.
C’è un titolo minore nella sua biografia, forse sconosciuto ai più e relativamente recente, che ho recuperato da poco e di cui desidero parlarvi.
L’opera in questione è Mugen Utamaro, per noi Utamaro, il pittore visionario, volume unico edito da J-Pop.
Diceva Jung che l’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli alla quale l’uomo prova di continuo a sfuggire. Soprattutto, chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza, ha già assolto una piccola parte del compito che grava su di sé per tutta la vita.
Go Nagai sceglie di confrontarsi con Oscar Wilde per parlarci dei nostri demoni (in realtà fu un’idea di sua moglie, il maestro voleva provarci con Shakespeare, a dirla tutta).
Utamaro è la storia del grande pittore giapponese Utamaro Kitigawa appunto, considerato uno dei maggiori artisti dell’ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante).
La vita del maestro Utamaro, riletta da Go Nagai che si diletta così a raccontare il Diciottesimo secolo della sua terra natìa, ci narra il rapporto del pittore con una bellissima geisha, Tayu Guren, soggetto del suo primo bijin-ga. I Bijin-ga sono i dipinti o più in generale gli studi degli artisti sulle donne che celebrano la loro bellezza.
Guren è l’idea stessa di bellezza fatta donna, non a caso la cortigiana più richiesta del quartiere del piacere di Yoshiwara. L’artista farà dono del ritratto alla sua musa, e da quel giorno vivrà in uno stato febbrile artistico che gli permetterà di essere il più richiesto su commissione.
Guren si rivede splendida nel dipinto, fino a quando il suo animo cederà alla corruzione dell’avidità, che la indurrà a gesti sempre più sconsiderati.
Ogni atto in danno della sua purezza, farà assumere le sembianze di un demone al suo volto impresso sul dipinto.
Guren si convincerà quindi di essere oggetto di una maledizione scagliatale da Utamaro, e farà di tutto per ucciderlo.
Nagai rielabora Il Ritratto di Dorian Gray, simbolo non solo della corrente estetica, ma del pensiero poetico di Oscar Wilde. Le pagine di Wilde esprimono in maniera potente che il piacere e la bellezza sono gli unici scopi nella vita di un uomo che deve vivere la propria esistenza come se fosse un’opera d’arte, preservando la propria giovinezza.
Al contempo però, dando vita a Dorian, dedito a un’esistenza di questo tipo, Wilde ci descrive un modo di vivere disinibito e dissoluto al punto di portarlo allo sfacelo morale. Il pegno da pagare per questa scelta, sarà il più caro di tutti.
Medesimo destino dovrà affrontare la corrotta Guren.
Wilde da una parte, Nagai dall’altra, ci conducono verso una storia estrema, depravata, atroce fino a un epilogo in cui la morale è pronta a fare capolino.
Dorian sperimenterà sulla propria pelle la disperazione e la dissoluzione delle sue scelte, e così Guren progressivamente diventerà arrogante, cinica. La gheisha il cui nome gli uomini sussurrano con desiderio, sceglierà una vita fatta di nulla dando la colpa a una maledizione se la sua anima assume le sembianze di un demone terrificante che riuscirà a cibarsi di lei, logorandola lentamente.
Dorian perde la sua anima trasferendola in un dipinto in cui la sua anima impura e corrotta si riflette. Così Guren.
La storia in Utamaro gradualmente diventa sempre più cupa, sporca, espressionista e ricercata.
Go Nagai riesce sorprendentemente anche a deliziarci con la ricostruzione storica delle ambientazioni omaggiando l’ukyo-e, che ci ha fatto immaginare, con le sue mirabili opere, un mondo fluttuante fatto di piaceri tanto effimeri quanto facilmente raggiungibili. Questo è sicuramente il rimando immediato, soprattutto per noi occidentali. Tuttavia lo Yoshiwara di Edo (Tokyo) al proprio interno nascondeva drammi e caratteristiche per nulla idilliache che Nagai in un’opera breve riesce perfettamente a rappresentare.
Mugen Utamaro è tutto questo in un solo volume. È anche un ottimo espediente per avvicinarsi a Go Nagai, se volete. La forza espressiva ed erotica del disegno, la familiarità che abbiamo con la storia di Dorian Gray, la sua regia che condensa in poche pagine una storia complessa e drammatica; tutti ottimi motivi per scoprire quest’Opera affascinante.
Immagino sorridendo la signora Junko (la moglie del Maestro) mentre tira le orecchie al marito e gli consiglia di prendere spunto da Oscar Wilde. Anche il Maestro è un uomo in fondo. E trovatemene uno che non ha bisogno dei buoni consigli della propria compagna…
Dal salotto della Signora Moroboshi
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