Dopo 16 anni dalla pubblicazione del libro di Carlo Bonini e 13 anni dall’uscita dell’omonimo film diretto da Stefano Sollima, arriva su Netflix “ACAB“, miniserie di sei episodi diretta da Michele Alhaique (con Sollima nella veste di produttore). La serie torna a raccontare le gesta della celere della Polizia di Stato con Marco Giallini ancora una volta nei panni di Mazinga. “ACAB” è una storia dura, di rabbia non sempre repressa, di vendetta e disillusione nei confronti della società che circonda i protagonisti. Noi l’abbiamo vista e queste sono le nostre impressioni rigorosamente no spoiler
Una serie tv tristemente attuale
Trovare il momento opportuno per fare uscire una miniserie tv come “ACAB” sembra essere molto complicato. Oppure potremmo affermare, cambiando la prospettiva del nostro discorso, che ogni momento è quello giusto. In questi giorni siamo testimoni della vicenda di Ramy Elgaml, un ragazzo egiziano di 19 anni, ma residente in Italia da diversi anni, morto in un incidente stradale a Milano. Il ragazzo è caduto dallo scooter dopo un inseguimento di 8 chilometri da parte di tre pattuglie dei carabinieri.
La vicenda ha scatenato, in un clima incandescente, la protesta di molti giovani che hanno manifestato il proprio disappunto nelle principali piazze d’Italia. Non sono mancati gli scontri con la polizia alimentando il dibattito politico sulla sicurezza.
In un clima del genere, l’uscita di “ACAB” rappresenta il classico elefante nella stanza. Destino simile è capitato al suo illustre predecessore. L’uscita nel 2012 di “ACAB – All Corps Are Bastards” – lungometraggio ispirato all’omonimo libro-inchiesta di Carlo Bonini del 2009, diretto da Stefano Sollima e prima pellicola della trilogia “Roma Criminale” che si completa con “Suburra” (2015) e “Adagio” (2023) – avveniva 10 anni dopo i fatti del G8 di Genova e della scuola Diaz, eventi che all’epoca erano ancora vividi e dolorosi nella memoria collettiva degli italiani.
Di quel primo e fortunato lungometraggio, la serie tv Netflix di sei episodi riprende le tematiche, i toni estremamente cupi e la durezza delle storie che vi sono raccontate. Stefano Sollima, qui nella vesta di produttore, ha ammesso nella conferenza stampa di presentazione dello show, che aver girato “ACAB – All Corps Are Bastards” (il suo lungometraggio di esordio alla regia) è stata un’esperienza che lo ha segnato perché ha richiesto un livello di astrazione molto forte per arrivare ad esprimere un punto di vista che non giudica nessuno.
La trama
In “ACAB” la serie tv torna Marco Giallini e il suo “Mazinga”, uno dei protagonisti del film di Sollima, l’esperto del gruppo di celerini della Squadra Mobile di Roma, uomo rude e chiuso in se. Lo accompagnano un cast di attori straordinari composto da Adriano Giannini, Valentina Bellé, Pierluigi Gigante e Fabrizio Nardi.
La vicenda parte dalle manifestazioni No Tav in Val di Susa, dove la Squadra Mobile di Roma viene inviata per sedare la protesta dei manifestanti. Lo scontro si trasforma rapidamente in un’escalation di violenza e brutalità, culminando con il grave ferimento del caposquadra Pietro Fura (Fabrizio Nardi). In preda a una rabbia incontrollata e alla sete di vendetta, il resto del reparto, guidato da Ivano Valenti, detto “Mazinga” (Marco Giallini), insieme a Marta Sarri (Valentina Bellè) e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante), reagisce con una brutale rappresaglia che lascia un giovane manifestante in terapia intensiva. L’episodio diventa presto un caso mediatico, costringendo la squadra a fare i conti con le pesanti conseguenze delle proprie azioni.
A complicare ulteriormente la situazione, entra in scena Michele Nobili (Adriano Giannini), il nuovo caposquadra che arriva da Senigallia per ricongiungersi con la famiglia che vive a Roma . Uomo di principi solidi, Nobili si oppone fermamente agli abusi e alla violenza, ed è determinato a introdurre un approccio più etico al ruolo di poliziotto. Un lavoro per nulla banale quello di diventare il leader di un gruppo che è un branco, che si sostieni sulla base di una relazione di fiducia solidissima, che picchia forte al motto “Roma nun arretra“, che considera il nuovo arrivato un “infame” per i suoi modi più moderati.
Più introspezione, meno azione
La sceneggiatura, firmata da Carlo Bonini, Filippo Gravino, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini, pone un forte accento sulla psicologia dei personaggi e sull’intreccio tra la loro vita privata e quella professionale. In “ACAB” vengono rappresentate due forme di violenza. La prima, visibile e diretta, prende corpo negli scontri di piazza; la seconda, più sottile e psicologica, emerge dai conflitti interiori e dalle tensioni che i personaggi sviluppano con i proprio affetti, sentimenti che lacerano le proprie esistenze e influenzano profondamente le loro azioni sul campo.
C’è la storia di Pietro, reso invalido dalla violenza degli scontri in Val di Susa e abbandonato dalla moglie, incapace di affrontare insieme a lui le difficoltà derivanti da questa nuova condizione. C’è la solitudine di Salvatore, un ex militare che nell’impossibilità di stabilire un legame affettivo cerca disperatamente conforto nelle app di dating. C’è Marta, l’unica donna del gruppo, perfettamente integrata in un ambiente dominato dagli uomini, ma con un passato difficile alle spalle: una relazione con un uomo violento che le ha lasciato non solo una figlia, ma anche cicatrici profonde (non solo psicologiche) nella sua vita.
C’è il riluttante e introverso Mazinga, il veterano del gruppo, colui che per anzianità e vicinanza rappresenta un punto di riferimento per i suoi compagni e che dovrà fare i conti con la redenzione. Mazinga è uno dei personaggi centrali di tutta la storia. Con la voce roca, la schiena curva, la pelle segnata dalle rughe e il passo incerto, riflette una vita vissuta tra sofferenza e isolamento, amplificato da un rapporto familiare conflittuale che lo ha emarginato.
Le estreme conseguenze dell’essere vivi
L’integrità morale di questi personaggi viene costantemente messa alla prova dalla logica del branco, che trae la propria forza e rivalsa dall’unione di individui che, presi singolarmente, sono deboli e i disperati. «Celerino figlio di puttana» non è solo un coro da stadio urlato a squarciagola da chi disprezza la polizia, ma diventa un vero e proprio inno motivazionale che alimenta la determinazione e il coraggio del gruppo, canalizzando le sofferenze personali in una rabbia pronta a esplodere in qualsiasi momento come una bomba ad orologeria.
Nessuno è immune: anche il nuovo caposquadra, Nobili, che animato da sani principi cerca di riportare ordine in mezzo al caos, viene travolto dall’istinto di vendetta quando scopre che sua figlia è stata vittima di un abuso sessuale.
Il regista italiano ma di origini libanesi Michele Alhaique sacrifica il ritmo e l’azione (sebbene non mancano scene di estrema violenza) per privilegiare l’introspezione. La telecamera si sofferma sui volti dei personaggi, bravissimi nel rappresentare l’estreme conseguenze dell’essere vivi. Tra questi spicca la performance attoriale di Valentina Bellè, attrice veronese di 33 anni ma con alle spalle una lunga serie di collaborazioni tra film, televisione, cortometraggi e video musicali. La Bellè trasmette angoscia e dolore con una recitazione in sottrazione, dove non si fa ricorso ad inutili orpelli. La colonna sonora dei Mokadelic, carica di tensione ma non invasiva, e la fotografia cupa concorre nel costruire una realtà claustrofobica ma estremamente reale e credibile.
Una serie tv di altissima qualità
“ACAB”, come il film che lo ha preceduto 13 anni fa, è una serie che evita di prendere una posizione netta. Lo show mette in scena personaggi che sono tutti negativi, individui costretti a confrontarsi con il proprio lato oscuro. Al di fuori delle loro vite private e delle dinamiche di caserma, si estende un caos diffuso che prende forma nelle piazze, negli stadi, nei cantieri delle opere pubbliche e persino in un condominio in fermento per l’assegnazione di un appartamento a una donna extracomunitaria con i suoi due bambini. È una guerra tra i più deboli, una lotta furiosa tra emarginati, un orrore che lo Stato, con la sua politica di “tolleranza zero”, non riesce a governare.
“ACAB” si aggiunge a “M – Il Figlio del Secolo” nelle produzioni seriali italiane caratterizzate da una forte impronta autoriale, che dipingono con grande maestria la realtà di un’epoca del nostro Paese. È, soprattutto, un’opera che ci invita a guardare dentro di noi, a esplorare il nostro lato oscuro, a riflettere su cosa saremmo disposti a fare in una società allo sbando e sotto una pressione estrema.
I sei episodi di “ACAB” sono fruibili sulla piattaforma di streaming Netflix a partire dal 15 gennaio.
ACAB
Anno: 2025
Paese: Italia
Stagioni: 1
Episodi: 6
Regia: Michele Alhaique
Personaggi e interpreti: Ivano Valenti detto Mazinga (Marco Giallini) Michele Nobili (Adriano Giannini) Marta Sarri (Valentina Bellè) Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante) Pietro Fura (Fabrizio Nardi) Anna Fura (Donatella Finocchiaro)
Stanco dal 1973. Ma cos'è un Nerd se non un'infanzia perseverante?
Amante dei supereroi sin dall'Editoriale Corno, accumula da anni comics in lingua originale e ne è lettore avido.
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