Abbiamo visto “Adagio“, terzo film della trilogia dedicata alla “Roma Criminale” diretto da Stefano Sollima. Queste sono le nostre impressioni, ovviamente senza spoiler
Dopo aver fatto il suo debutto all’80esima edizione del Festival del Cinema di Venezia come film in gara, arriva nelle nostre sale in pieno periodo natalizio “Adagio“, pellicola diretta da Stefano Sollima, che rappresenta il terzo film che chiude la trilogia della “Roma Criminale”. La trilogia è composta da “Romanzo Criminale – La Serie” (22 episodi trasmessi tra il 2008 e il 2010, secondo adattamento dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo che arriva dopo il film del 2005 diretto da Michele Placido) e “Suburra” (2015), tutti diretti dal regista romano.
L’uscita di “Adagio” si affianca a diversi titoli di produzione italiana in programma in questi giorni nelle nostre sale, tutti film di altissima qualità. “Adagio” è ben accompagnato da film quali “C’è Ancora Domani” di Paola Cortellesi e “Cento Domeniche” di Antonio Albanese. Una decisa inversione di tendenza rispetto al passato che vedeva sbancare al botteghino sotto le feste di Natale principalmente pellicole che hanno rappresentato per anni la nostra specialità della casa: il cinepanettone.
Chiaramente, visti i temi trattati e se vogliamo usare un eufemismo, “Adagio” non rappresenta un film natalizio. La dose massiccia di violenza e denuncia sociale è presente in quantità industriale, sebbene il regista Stefano Sollima ha tenuto a specificare che questa sua ultima opera abbia un taglio più intimistico rispetto alle sue precedenti pellicole di genere noir e poliziesco a cui il regista romano è riuscito a dare un timbro indelebile. Può sembrare un ossimoro se si analizza la cifra stilistica di Sollima, ma effettivamente “Adagio” riesce a raccontare una bella storia mettendo al centro le relazioni umane tra i personaggi in particolare analizza le dinamiche tra padre e figlio (sia che questi siano biologici sia che essi siano “acquisiti”).
Per l’occasione, Sollima recluta un dream team di attori i quali, ognuno a suo modo, interpreta un gangster criminale oramai “in pensione” con un passato malavitoso appartenuto alla “Banda della Magliana“. Tre uomini anziani, logorati nel fisico e nella mente, che non vogliono più avere a che fare con un passato gravato da peccati innominabili. Toni Servillo interpreta “Daytona“, un vecchio afflitto da demenza senile che alterna momenti di oblio a momenti di spietata lucidità. Valerio Mastandrea è “Paul Newman” (ma lui, essendo nato e vissuto nella periferia “difficile” di Roma si firmerebbe “Polniuman”… ne siamo sicuri), un uomo che, privato della vista, giace inerme su una sedia nella sua cucina. Pierfrancesco Favino è “Cammello“, un ex gangster che ha visto morire un figlio per mano di una banda criminale rivale e a cui rimane poco della sua vita a causa di una malattia incurabile. Daytona, Polniuman e Cammello non cercano redenzione. Lo stesso Pierfrancesco Favino, intervistato durante la presentazione del film, ha evidenziato che nei film di Sollima non esiste redenzione. I tre anziani e logorati cercano solo di vivere i pochi giorni di vita che rimangono in serenità, come uomini normali.
Ma se tu provi a fuggire da “Roma Criminale” è “Roma Criminale” che, prima o poi, torna da te. La tentazione e quel bisogno di adrenalina (non redenzione, specifichiamo di nuovo) tornano vivi quando alla porta dei tre ex gangster bussa Manuel, un giovane ragazzo che si è cacciato nei guai. Il giovane, figlio di Daytona, accetta di svolgere una “commissione” per conto di carabinieri corrotti (con a capo Vasco, interpretato da Adriano Giannini): infiltrarsi in un esclusivo festino a base di droga e sesso per scattare delle foto compromettenti. Il ragazzo, mosso dalla prospettiva di guadagnare una cospicua cifra che realizzerebbe i sogni di ogni adolescente dei nostri giorni (la cui testa è guidata dal consumismo e dalle dinamiche social), si rende ben presto conto di essere coinvolto in qualcosa di più grande di lui. Per questo motivo Manuel fugge, viene braccato da Vasco e i suoi scagnozzi, e chiede aiuto a Polniuman e Cammello su consiglio del padre. I tre gangster, un tempo rivali tra loro, decidono di mettersi di nuovo in gioco per compiere l’ultima (o forse la prima ?) buona azione della loro vita: salvare la pelle a Manuel.
Abbiamo parlato della presenza nel cast di giganti del cinema italiano. Tuttavia, il vero protagonista di “Adagio” è Manuel, interpretato dal giovanissimo Gianmarco Franchini, attore che in questo film è all’esordio totale. Ci ha stupito il piglio e la personalità con la quale Franchini ha saputo rimanere nel ruolo, indizio forte di un nuovo grande talento che sta nascendo. Un prova attoriale di livello che non sfigura in mezzo a gente come Favino, Servillo, Giannini e Mastandrea. Al di là del talento, questo è un segno evidente di come i grandi attori riescano a mettere a loro agio anche i “colleghi” più giovani o addirittura alle prime armi. Si sente forte la presenza di una regia solida e aperta al dialogo di Sollima e la collaborazione di fuoriclasse di attori come gli artisti già citati.
La parte intimistica della pellicola è rappresentata dal rapporto che c’è tra Manuel e suo padre Daytona e successivamente Polniuman e Cammello. Rapporti che sono canonici in una dinamica tra padre e figlio Lo stesso Vasco, il capo dei carabinieri corrotti, il più balordo tra i balordi e vero villain del film, è un uomo semplicissimo e affettuoso all’interno della bolla famigliare ma che diventa spietato una volta fuori. Il motore che muove le azioni di tutti i protagonisti in scena è il vile denaro. È il denaro che spazza via ogni forma di sentimentalismo e di rapporto. Adriano Giannini, figlio del celebre Giancarlo, nel ruolo di Vasco mostra una presenza scenica e un pathos che lo rendono un villain assolutamente azzeccato e credibile. Sappiamo tutti quanto sia importante per la riuscita di un buon film avere un’antagonista di livello. Giannini, in questo, centra perfettamente l’obbiettivo.
L’elemento che fa fare un salto di qualità incredibile a tutta la pellicola è la presenza di Toni Servillo. L’attore napoletano, all’apice della sua carriera riconosciuta anche a livello internazionale, si cimenta in un ruolo decisamente nuovo se si osserva il suo percorso artistico. Interpretare un vecchio affetto da demenza senile che alterna momenti di foschia a quelli di lucidità è come recitare all’interno di una recitazione. La trasformazione che avviene da innocuo anziano bisognoso di supporto a spietato killer è sorprendete e rende benissimo se a metterla in scena è un gigante come Servillo.
Il discorso fatto per Toni Servillo vale anche per Valerio Mastandrea. L’attore romano, inebriato dal successo di “C’è ancora domani”, interpreta una parte per lui fuori dagli schemi dimostrando di trovarsi perfettamente a suo agio in ruoli drammatici. Peccato che lo spazio dedicato a Polniuman si molto compresso: avremmo voluto vederne di più.
Non possiamo non spendere due parole su Pierfrancesco Favino e il suo Cammello. Favino sembra quasi divertirsi nel sorprenderci con le sue capacità da trasformista. Lo vedrete nella parte di Cammello totalmente irriconoscibile ma con una capacità incredibile di donare spessore al suo personaggio. Non lo scopriamo oggi Favino e non ci sono tante parole da aggiungere: semplicemente un attore fuori scala.
Infine, l’altro vero protagonista di “Adagio” è Roma. La Roma mostrata in “Adagio” non è quella che risplende di luce propria degli spot pubblicitari, quella la cui bellezza viene stuprata da inseguimenti al cardiopalma dei recenti blockbuster hollywoodiani e nemmeno quella elitaria, mondana, tutta paillettes e lustrini de “La Grande Bellezza” (2013). Ci troviamo di fronte ad una Roma nascosta, irrequieta, oscura. È la Roma di periferia, quella che sa essere verace nella sua disarmante semplicità, che fa un arte di in piatto di spaghetti al pomodoro fresco, che cammina a testa alta quando ogni giornata è una salita, che si fa gli affari suoi ma che ti abbraccia come una grande famiglia e ti grida la sua gioia sui muri quando la Roma (la squadra di calcio) vince. È la Roma di Via Casilina, della Tangenziale Est, di Via Tuscolana, del Mandrione e del Pigneto. È una Roma che brucia, le cui fiamme ti circondano e ti mettono al muro, che non ti da sollievo nemmeno la notte quando ci si riposa. Il caldo opprimente dei mesi estivi, i roghi nei centri abbandonati in periferia, i frequenti blackout, il caos quotidiano dei veicoli che si ammassano nelle arterie della città e l’incessante suono delle sirene sono fenomeni che rappresentano la normalità per chi vive a Roma. La regia di Sollima, la fotografia strepitosa di Paolo Carnera e la colonna sonora dei Subsonica (arricchita da una vera orchestra di 50 elementi), trasformano questi elementi in un contesto che sembra derivare da un romanzo post apocalittico. È una Roma che osserva e che giudica: “Roma cosparge di cenere il capo dei peccatori” è una frase che prova a descrivere al meglio una delle sequenze più suggestive di tutta la pellicola e ci sembra la migliore metafora che ci fornisce “Adagio”, come a voler stendere un velo pietoso sulle nefandezze che vengono compiute in seno a questa città.
Se “Romanzo Criminale” rappresenta il racconto della genesi e sviluppo dell’organizzazione criminale nota come “Banda della Magliana”, “Adagio” rappresenta in certo modo la fine e la chiusura del cerchio perfetta, la conclusione di una trilogia strepitosa che regala anche un finale ottimista per il quale, per una volta, le colpe dei padri non ricadono sui figli.
“Adagio” è al cinema a partire dal 14 dicembre.
Adagio
Pierfrancesco Favino: Cammello
Toni Servillo: Daytona
Valerio Mastandrea: Polniuman
Adriano Giannini: Vasco
Francesco Di Leva: Bruno
Gianmarco Franchini: Manuel
Lorenzo Adorni:
Silvia Salvatori: