Abbiamo visto in anteprima “Babylon“, pellicola diretta da Damien Chazelle che vede protagonisti Brad Pitt e Margot Robbie. Queste sono le nostre impressioni.
Ambizione, follia, eccessi, successo, cadute di stile, cadute… e basta, opulenza, libertà, sesso, depravazione, violenza e morte. Tutto questo è la Hollywood degli anni 20 che Damien Chazelle ha dipinto in un affresco lisergico lungo 3 ore e 9 minuti.
Ne sono stati prodotti tanti di film che omaggiano Hollywood e la settima arte. Il più recente tributo all’arte di fare cinema appartiene a Steven Spielberg con il riuscito “The Fabelsman” (in questo articolo potete leggere la nostra recensione), vera e propria lettera d’amore verso il cinema e l’istinto primordiale di fare arte. Damien Chazelle ha scelto il modo più selvaggio, oltraggioso, provocatorio e probabilmente più realistico per raccontarci Hollywood e le origini del cinema.
Per raccontarvi “Babyon” vorremmo però partire da un altro film. Tra tutte le pellicole che raccontano Hollywood quella che ci è tornata a mente “The Artist“, un film muto del 2011 scritto e diretto da Michel Hazanavicius che si è portato a casa una carrettata di premi, tra i quali 5 tra i più importanti premi Oscar (miglior film, miglior regia, migliore attore protagonista, migliori costumi e migliore colonna sonora). “The Artist” e “Babyon” raccontano esattamente la stessa storia. Ma se “The Artist” sceglie la strada della raffinatezza e del garbo nel narrarci quella che somiglia ad una fiaba, “Babylon” cambia totalmente punto di vista. Raffinatezza ed eleganza non sono di casa nella pellicola di David Chazelle e, siamo sicuri, questo è un film che raccoglierà esclusivamente pareri polarizzati. È impossibile prendere una posizione neutra nei confronti di questo lungometraggio: o lo si ama oppure lo si odia. E dal momento che noi non amiamo le mezze misure, vi diciamo subito che “Babyon” ci è piaciuto tantissimo, anzi ci ha fatto letteralmente impazzire. Vogliamo chiarire subito il nostro giudizio in modo tale che, se avete visto il film e non siete d’accordo, potete smettere di leggere questa recensione (e magari recuperare “The Artist” che, sebbene sia all’antitesi di “Babylon” è , a suo modo, un capolavoro).
“Babylon” racconta lo sviluppo dell’industria cinematografica durante il decennio degli anni 20 del XX secolo. La Hollywood degli anni ruggenti è un ritratto della decadenza dell’industria cinematografica, specchio di un epoca reduce dai disastri della prima guerra mondiale e anticamera della Grande Depressione. Un’epoca di grande espansione industriale la cui energia si è riversata anche nel campo sociale e culturale. È il periodo dello sviluppo della musica Jazz, del cinema muto e dell’evoluzione della figura della donna che portava spesso a violare le norme sociali e la morale sessuale dell’epoca. Le flapper erano donne disinibite, che vivevano la propria sessualità con molta libertà (per i canoni di quel periodo) e disposte a tutto pur di raggiungere il successo.
L’immagine della Hollywood degli anni 20 è tutta racchiusa nei primi 30 minuti della pellicola, dove assistiamo ad un saggio di grande cinema. Ci viene mostrata una delle orgiastiche feste esclusive che si tenevano nelle ville di pochi eletti. L’opportunità di poter partecipare ad eventi di questo tipo rappresentava, per chiunque, la possibilità di conoscere la persona giusta che potesse trasformare in realtà ogni sogno di gloria. Trenta minuti composti da lunghi piani sequenza dove, accompagnati da un ritmo incessante battuto dalla strepitosa colonna sonora di Justin Hurwitz (date un Oscar a quest’uomo!), ci immergiamo in un baccanale di atti sessuali, piogge dorate, fluidi corporei, montagne di cocaina , animali esotici e loro deiezioni. A questa immagine squallida e degradante si contrappone quella degli enormi set e delle centinaia di comparse impegnate in caotiche riprese nei paesaggi assolati dall’orizzonte aperto e in barba ad ogni norma di sicurezza. Le sequenze che riproducono i set dell’epoca sono pura magia, l’essenza di ciò che è fatto il cinema. Ed è uno dei migliori omaggi alla settima arte, forse visivamente superiore a quello, seppur notevole, visto in “The Fabelsman“. In questo senso Chazelle ci fa vedere Hollywood in tutta la sua maestosa bellezza, ma anche il suo lato più oscuro.
Il film segue le storie di diversi personaggi. Tre in particolare sono quelli che meritano di essere citati.
Essere al posto giusto nel momento giusto, dicevamo. Manny Torres (interpretato dal bravo Diego Calva) è un giovane fattorino di origini messicane, il classico ragazzo di bottega. All’inizio del film lo vediamo impegnato nella consegna di un elefante ad una di queste lussureggianti feste e, a causa, dell’impervie del terreno e della riluttanza dell’animale si becca anche una valanga di merda in faccia dal pachiderma. Ma questo non è sufficiente a ridimensionare le ambizioni di carriera del giovane. Manny riesce ad entrare nel “giro che conta” e grazie alla sua scaltrezza e a qualche brillante intuizione arriva a diventare un produttore e dirigente cinematografico. Dalla merda al paradiso il passo sembra essere più breve del previsto.
Il personaggio interpretato da Margot Robbie è vagamente ispirato a Clara Bow, un’attrice americana che, dal nulla, è diventata una star del cinema muto e la cui immagine ha ispirato il personaggio animato di Betty Boop. Nellie LeRoy è un’attricetta con alle spalle una storia di straziante povertà e una madre ricoverata in un ospedale psichiatrico, ma con un talento attoriale incredibile. Non c’è nulla di sensuale in Nellie. Margot Robbie interpreta una flapper, un personaggio sporco, sgraziato, sboccato, lurido, l’antitesi dell’immagine angelica che l’attrice americana fatica a scrollarsi di dosso. La Robbie si esibisce in una performance attoriale che ne mette in luce tutto il suo talento cristallino, una performance molto fisica che ha portato allo stremo il proprio corpo. E qui risulta doverosa una precisazione: Margot Robbie non è solo una bellissima donna ma anche una bravissima attrice.
“Ricordo la prima scena”, ha confessato Margot Robbie in un’intervista a Ciak Magazine. “Era la prima e quindi ho cercato di dare il massimo, ero esageratissima nel mio modo di recitare. Damien Chazelle è venuto da me arricciandosi una ciocca di capelli con fare pensieroso e immediatamente ho capito che non avevo dato ciò che cercava. Mi ha detto: ‘Sei stata grandiosa, ma mi serve molto di più’. Più di quello che avevo fatto ? Non credevo di essere in grado. Ma l’ho fatto. L’intera esperienza su questo set è stata così”.
Il personaggio interpretato da Brad Pitt è vagamente ispirato a John Gilbert, anche lui attore di successo dell’epoca. La parabola di Jack Conrad segue traiettorie opposte a quelle di Nellie LeRoy. Conrad è un attore affermato del cinema muto anzi, di più: è un vero è proprio monumento osannato dalla critica e dal pubblico. L’interpretazione che ne da Brad Pitt è sicuramente meno appariscente di quella di Margot Robbie, ma ci colpisce il fare istrionico dell’attore americano oramai sessantenne. Un’interpretazione carismatica, ricca di ironia nei momenti più leggeri e di sofferenza in quelli più drammatici. Eh si, popolo di MegaNerd, Brad Pitt con il suo essere sornione e la sua spiccata presenza scenica sa essere anche un ottimo attore comico.
“Come si prepara un ruolo del genere ? Non esiste una formula magica.” ha confidato Brad Pitt a Best Movie. “Ho parlato molto con Damien Chazelle per cercare di costruire il personaggio. Per me è sempre una questione di ritmo, devo iniziare a capirlo, sentirmi bene nella sua pelle. Devo trovare la chiave giusta per entrare dentro di lui. Sarei stato un bravo attore muto ? Dire di no, avrei fatto la fame !”
La parobola di Nellie LeRoy e di Jack Conrad è però destinata a cadere nell’oblio. I due non sopravvivono ad un tenore di vita portato agli eccessi ma, sopratutto, all’evento più rivoluzionario per la storia del cinema dell’epoca: l’avvento del sonoro. Il sonoro costringe gli attori dell’epoca ad evolvere il loro approccio alla recitazione che, fino all’avvento di questo miracolo tecnologico, era esclusivamente basata sulla mimica facciale. Recitare delle battute, dare intenzione ad un copione, modulare l’intonazione oppure, banalmente, far sentire il proprio timbro di voce, risulta una vera e propria montagna da scalare. Jack Conrad si ritrova da subito un pesce fuori dalla boccia: il suo timbro di voce appare ridicolo al grande pubblico, il suo modo di recitare diventa goffo e discutibile, i film prodotti con l’ausilio del sonoro diventano un flop e la fine diventa inevitabile.
La storia racconta che l’avvento del sonoro nel 1927 ha segnato un deciso salto di qualità nel linguaggio cinematografico, ma anche la fine di molti attori dell’epoca che non sono riusciti ad adeguarsi ai nuovi paradigmi imposti da questa evoluzione. “Babylon” è magistrale nel mostrarci il cinema come un organismo vivente, un fiore nato dal letame. Una specie che cresce, si trasforma e assume nuove forme fino ad arrivare a quello che è oggi. Come nell’evoluzione della specie di Darwin, solo gli esseri viventi che riescono ad adattarsi alle mutazioni naturali sopravvivono. Questo concetto viene sottolineato con una sequenza finale che vede protagonista Manny Torres, oramai adulto, tornato nella Los Angeles del 1952. Una sequenza (che ovviamente non vi vogliamo spoilerare) tanto suggestiva quanto, a nostro modo di vedere, troppo didascalica e ridondante.
“Babylon” è un grande film sebbene ci siano degli aspetti che non ci hanno convinto del tutto. In particolare ci riferiamo alla quota parte di film che vede protagonista Tobey Maguire interpretare un gangster che deve riscuotere un debito di gioco da Nellie. Il suo personaggio è macchiettistico, poco carismatico. La sua presenza ci appare un goffo pretesto narrativo per sancire la fine del personaggio interpretato da Margot Robbie.
In conclusione, “Babylon” è un film da vedere con la mente libera da ogni pregiudizio. È una pellicola supportata da una grande regia, una splendida fotografia, prove attoriali fuori scala (in particolare quella di Margot Robbie) e una colonna sonora da urlo. Ed è anche un fulgido esempio di come sia possibile rendere omaggio alla storia del cinema adottando un punto di vista completamente all’antitesi dei canoni più ricorrenti.
“Babylon” lo trovate in sala a partire dal 19 Gennaio.
Babylon
Diego Calva: Manuel "Manny" Torres
Brad Pitt: Jack Conrad
Jovan Adepo: Sidney Palmer
Li Jun Li: Fay Zhu
Jean Smart: Elinor St. John
Eric Roberts: Robert Roy
Olivia Hamilton: Ruth Adler
Tobey Maguire: James McKay
Samara Weaving: Constance Moore
Lukas Haas: George Munn
Max Minghella: Irving Thalberg
Katherine Waterston: Ruth Azner
Flea: Bob Levine
Jeff Garlin: Don Wallach
Phoebe Tonkin: Jane Thornton