Dan Jurgens e Mike Perkins reimmaginano le primissime avventure di Batman ambientandole proprio nel periodo storico durante il quale Detective Comics #27 – l’albo d’esordio – arrivava in edicola. “Bat-Man: Il Primo Cavaliere” ci porta negli Stati Uniti che provavano ad uscire dalla Grande Depressione mentre si avvicinava il secondo conflitto mondiale ed in una Gotham del ’39 in cui una figura quasi mitologica combatte il crimine che imperversa. Non una nuova storia di origini ma le origini realistiche di un personaggio che avrebbe fatto la Storia del Fumetto.
Quante volte e in quanti modi una stessa storia può essere raccontata? Quante volte ed in quanti modi una stessa storia può essere reimmaginata? È un esercizio creativo e narrativo che, con ogni probabilità, ha compiuto già l’uomo delle caverne quando decise raccontare qualcosa alla propria, piccola comunità intorno ad un fuoco. Raccontare e narrare, modificare quegli stessi racconti e quelle stesse narrazioni è, quindi, una dote ancestrale dell’essere umano: non solo il bisogno esistenziale di comunicare ma del farlo attraverso una reintepretazione personale, con un quid in più di volta in volta diverso, che permetta di arricchire e sentire, in qualche misura, più propria quella stessa storia.
Se pensiamo, poi, al trend dell’industria cinematografica attuale riconosciamo tale bisogno creativo – scremato di tutti quei discorsi economico-produttivi più grandi di noi – nella realizzazione di remake e reboot di sorta: raccontare nuovamente una vecchia storia con qualche modifica. E se sul grande schermo, sia per la risonanza più ampia che riesce ad avere, sia perché abbraccia i generi più disparati, l’esercizio creativo si palesa limpidamente, anche i fumetti – in particolare quelli di supereroi – non sfuggono, anzi non sono mai sfuggiti, a questa logica narrativa.
È così che abbiamo avuto – e continuiamo ad avere -, tradizionalmente dopo grandi eventi crossover, “nuovi inizi”, “tutto ricomincia qui”, rimpasti e rinarrazioni varie che hanno portato a grandi capolavori (pensate a Batman: Anno Uno di Frank Miller)… e a qualche storia che vuole aspirare ad esserlo.
È il caso di “Bat-Man: Il Primo Cavaliere“ di Dan Jurgens (La Morte di Superman) e Mike Perkins (Swamp Thing): una storia in tre parti che narra le prime avventure di Batman ambientandole nel mondo reale e nello stesso periodo in cui il personaggio, sulle pagine di Detective Comics #27, debuttava nelle edicole statunitensi. Un esercizio creativo affatto banale e, già nelle premesse, piuttosto intrigante che Panini Comics ha raccolto per l’Italia in un unico volume cartonato di grosso formato.
Bat-Man: Il Primo Cavaliere – Quando il Mito incontra la Realtà
Stati Uniti d’America, 1939. Mentre il paese, da ovest a est, ha faticato ad uscire dalla Grande Guerra, la Depressione si è abbattuta sui cinquanta Stati. E le notizie che arrivano da oltreoceano minacciano di far rimpiombare l’intero mondo nel dramma di un conflitto mondiale… stavolta addirittura di proporzioni più grandi. Gotham City è una New York wannabe che della Grande Mela sembra aver ereditato non il glamour o il senso di meraviglia innato, quanto piuttosto l’oscurità e la pericolosità dei vicoli bui, immergendosi in un’atmosfera cupa e pessimistica nella quale la sola Voce dell’odio e della violenza riesce ad essere ascoltata distintamente.
Se da una parte il ritorno del giovane rampollo della famiglia Wayne, Bruce, aumenta il chiacchiericcio per le strade distendendo gli animi a suon di gossip, dall’altra il Commissario di Polizia Jim Gordon, suo amico, si trova in un momento delicato: le persone che occupano una posizione di potere – consiglieri comunali, perfino il sindaco – sono vittime designate di efferati omicidi compiuti, stando alle confuse testimonianze oculari, da grossi e violenti figuri.
Come se non bastasse, poi, a Gotham City si sta aggirando un altrettanto misterioso vigilante che sfrutta quell’oscurità di cui sopra per fuggire e non essere riconosciuto. Anche in questo caso le poche e confuse testimonianze oculari riportano di una figura quasi mitologica, con ali ed orecchie appuntite, come un gigantesco pipistrello. Pertanto, la stampa l’ha ribattezzato il Bat-Man (con l’articolo davanti ed il trattino in mezzo).
Chi è questo individuo? Può essere considerato un alleato o il suo nome così singolare dovrà scriversi alla lunga lista di minacce che stanno torturando Gotham City?
I lettori di Bat-Man: Il Primo Cavaliere, ca va sans dire, conoscono già la risposta e gli autori della storia non ci giocano per nulla: a differenza de Il Caso del Sindacato dei Chimici di Finger e Kane che mostrano il coup de theatre alla fine, Jurgens e Perkins svelano già dopo poche pagine la doppia vita di Bruce Wayne ponendo così al centro della narrazione sia il vigilante, sia il suo alter ego in borghese evitando di mostrarlo solo come un “ricco ozioso” ma un ingranaggio fondamentale della storia.
Recuperando, infatti, innanzitutto la caratteristica fondazionale da detective del personaggio, ne Il Primo Cavaliere è proprio l’indagine di Bat-Man sui misteriosi omicidi ad essere il fulcro della storia, naturalmente ampliata da altre tematiche che hanno donato, per quanto possibile, un’aura di autenticità al racconto. Il Bat-Man di Jurgens è certamente un individuo possente, agile, molto forte ma piuttosto ferale ed ancora inesperto, collocato con precisione una volta di più questa rinarrazione nel primissimo periodo di attività del Cavaliere Oscuro.
Ma il protagonista, di cui viene recuperato il character design originale con i caratteristici guanti viola e orecchie spesse ed arcuate, viene portato in scena alla perfezione soprattutto nelle sequenze in cui mostra le proprie abilità forensi, in un garage riconvertito in laboratorio di Villa Wayne (la Bat-Caverna, infatti, fu introdotta più tardi), ed in quelle in cui, anche attraverso gli scontri con gli antagonisti, raccoglie indizi per svelare chi sta colpendo il potere di Gotham City per prenderselo.
Viene da sé che, nel tentativo di ricontestualizzare l’esordio di Bat-Man in un panorama quanto più simile possibile alla realtà – seppur di più di 80 anni fa – dobbiamo dimenticare gli arnesi ipertecnologici di cui si serve il personaggio attualmente e calarci in un contesto più artigianale che risulta, grazie all’attenta resa su tavola di Perkins, per certi versi più autentica, immersiva ed originale.
La sceneggiatura di Jurgens risulta complessivamente attenta a contestualizzare nel periodo di ambientazione, al netto di qualche inevitabile licenza poetica, gli elementi primigeni della mitologia del personaggio (Bat-Man è un alleato o un nemico? È un essere umano o una creatura di qualche genere?) giustificando azioni e meccanismi nella maniera più realistica possibile.
Il taglio che ne ha dato l’autore è quello di un racconto squisitamente pulp-noir, con elementi da soap opera – per esempio, la costruzione della relazione con Julie Madison, prima storica fidanzata di Bruce – ed altri più fantasiosi ma coerenti con le influenze del cinema espressionista tedesco degli stessi anni, ben giustificati e ricondotti a quel realismo che vuole permeare tutto il racconto.
Ovviamente, per meglio realizzare un’ambientazione realistica, lo sceneggiatore non manca di inserire degli elementi caratteristici del periodo (le case chiuse, il controllo territoriale delle bande, la sofferenza del popolo per la crisi), alcuni del tutto nuovi, come il rabbino Jakob Cohen, che permettono di esplorare il sentimento delle vittime designate del conflitto che stava per scoppiare.
Lo stesso piano criminale dietro gli omicidi non può non essere letto come una similitudine, circoscritta a Gotham City, con ciò che è accaduto – e stava accandendo, nel tempo del racconto – nel ’39 in Europa: prendere il potere con la forza esercitata da soldati forse non del tutto consapevoli di ciò che stavano perpretando.
È impossibile non sottolineare, poi, quanto la regia delle tavole voglia ricercare un dinamismo caratteristico della Settima Arte, abbandonando ogni qualsivoglia tipo di griglia per favorire la spettacolarità, sia in termini di azione pura, sia nelle sequenze più drammatiche, degli eventi. Non è un caso, infatti, che gli ingressi in scena più eclatanti di Bat-Man siano affidati ai giropagina (la facciata sulla sinistra, che non si mostra finché, appunto, viene girata completamente la pagina), per far colpo sul lettore.
Perkins cattura le sfaccettature di Bat-Man e Bruce Wayne in maniera sempre puntuale ma, se possibile, lo spessore grafico dell’opera è notevolmente innalzato dalla palette retrò utilizzata da Mike Spicer, giocando con le ombre e con le luci che definiscono l’identità del personaggio.
Bat-Man: Il Primo Cavaliere è un’opera capace di catturare l’essenza originaria che Kane e Finger avevano soffiato nella loro creatura in Detective Comics #27. Jurgens, Perkins e Spicer la recuperano scremandola dapprima di un’ingenuità naturale del periodo (ricordiamo che anche il fumetto come medium era agli inizi, non solo i personaggi che aveva come protagonisti), andando a ricostruire il mito di Batman da fondamenta che si inseriscono nel terreno della nostra realtà.
Se raccontare la stessa storia o rinarrarla in maniera differente è sia un bisogno esistenziale sia un esercizio creativo inevitabile per l’essere umano, allora Bat-Man: Il Primo Cavaliere è un esercizio riuscitissimo che lo soddisfa appieno.

1 Comment
Giovanni
(7 Aprile 2025 - 13:59)Al netto di recenti riletture e in attesa di Sempreinverno, il più bel fumetto americano da anni. Grazie della bella disamina. Giovanni