Abbiamo visto in anteprima “Black Panther: Wakanda Forever“, sequel del primo “Black Panther” acclamatissimo dalla critica e pluripremiato agli Academy Awards del 2019. Queste sono le nostre impressioni.
“La maturità arriva quando si presenta il giorno in cui veniamo messi di fronte a degli interrogativi che sembrano insormontabili“. Così Ryan Coogler regista di “Black Panther“, primo capitolo della serie di film dedicata al Re T’challa dello Stato/Nazione del Wakanda, ha spiegato lo stato d’animo con il quale lui e tutta la produzione di Marvel Studios hanno affrontato la complicata produzione del sequel “Black Panther: Wakanda Forever“.
Wakanda Begins
Nel 2018 Marvel Studios introduce nel Marvel Cinematic Universe il personaggio di Pantera Nera. Il film, dal titolo “Black Panther“, rappresenta il diciottesimo film del MCU. Alla regia viene chiamato Ryan Coogler, un regista e sceneggiature statunitense che già si era fatto apprezzare per “Creed – Nato per combattere” (2015), film spin off della saga di Rocky Balboa. Ad interpretare Re T’Challa venne scelto Chadwik Boseman, attore americano di 43 anni, che prima di immergersi nel mondo dei supereroi aveva ottenuto parti da protagonista in film incentrati su leggende dello sport (“42 – La vera storia di una leggenda americana” lungometraggio che racconta la storia della leggenda del baseball Jackie Robinson) o della musica soul (“Get Up – La storia di James Brown“). La pellicola, acclamatissima dalla critica, ottenne moltissimi riconoscimenti tra cui 3 premi Oscar agli Academy Awards del 2019 (“Miglior scenografia”, “Migliori costumi e “Miglior colonna sonora”), risultando il primo e attualmente unico film dei supereroi a conseguire l’ambita statuetta. Il film ha incassato oltre 1,3 miliardi di dollari nel mondo a fronte di un budget di produzione di circa 200 milioni di dollari. Grazie a questo lungometraggio Boseman ha ottenuto la visibilità che tanto meritava e, grazie anche al personaggio che incarnava, è divenuto una vera e propria icona del black power.
Con queste luminose premesse la macchina produttiva di Marvel Studios si è messa subito all’opera nello sviluppo del sequel. Il produttore e demiugo del MCU Kevin Fiege ha dichiarato da subito che “ci sono molte storie da raccontare su Black Panther” e, fedele al motto “squadra che vince non si cambia” , ha voluto mantenere il team creativo del primo film, cast compreso. Feige ha confermato lo sviluppo del sequel al Comic-Con di San Diego del 2019 e durante il D23 dello stesso anno è stata annunciata la data di uscita al 6 maggio 2022. La macchina produttiva era di fatto già partita e Coogler, basandosi sulle linee guida dettata da Feige, ha cominciato a lavorare sullo script del film.
Nell’agosto del 2020 arriva la doccia gelata. Chadwick Boseman muore di cancro al colon nello sconcerto generale. Una perdita enorme dal punto di vista umano e artistico. Viene a mancare un bravissimo attore e un’icona di rivincita per la comunità nera mondiale, un simbolo del Black Live Matters. Nè Coogler, nè Feige o nessuno di Marvel Studios era a conoscenza della malattia di Boseman, tanto che, al momento della sua morte, Coogler aveva già consegnato una bozza della sceneggiatura incentrata sulla figura dell’attore scomparso. Impossibile passare oltre a un evento del genere. Era arrivato il momento delle decisioni difficili.
«Era semplicemente troppo presto per cominciare un nuovo casting e coinvolgere un altro attore nei panni del personaggio dopo la morte prematura di Chadwick Boseman – Ha dichiarato Feige in un’intervista a Empire. – Stan Lee amava ripetere che Marvel non fa altro che rappresentare il mondo fuori dalle nostre finestre. Questo significa che, per quanto siano i nostri personaggi e le storie che raccontiamo, c’è sempre una componente umana strettamente connessa a tutto ciò che facciamo»
Serviva dunque assecondare la volontà comune che voleva evitare di dare il ruolo a un nuovo attore generando inevitabilmente scomodi confronti oppure (peggio), ricreare digitalmente le fattezze di Boseman. Serviva trovare nuove linee narrative, rendere un doveroso omaggio a Chadwick agli occhi di un mondo che ancora fatica a metabolizzare questa tragedia e consegnare l’eredita di Pantera Nera a solide mani artigliate.
Per poter dare linearità con il primo capitolo della saga e, soprattutto, per rendere omaggio ad un attore che con la sua interpretazione ha fatto innamorare milioni di persone in tutto il mondo, lo script di “Black Panther: Wakanda Forever” ha subito notevoli modifiche pur mantenendo intatte tematiche già presenti nella prima bozza di sceneggiatura del film, quali Il tema dell’elaborazione del lutto e il viaggio da affrontare a seguito di una perdita (come riportato nel nostro articolo di approfondimento) .
La produzione è iniziata presso i Trilith Studios di Atlanta, in Georgia, il 29 giugno 2021. Una lavorazione resa complicata non solo dal coinvolgimento emotivo da parte del cast oggettivamente scosso dalla scomparsa di Boseman, ma anche da ulteriori eventi nefasti che hanno colpito la troupe. Oltre al Covid che ha rallentato inevitabilmente la lavorazione del film, c’è stata la morte di Doroty Steel (95 anni) che nel primo capitolo interpretava la leader della tribù dei mercanti di Wakanda. Come se non fosse sufficiente tutto questo, Letitia Wright (che interpreta Shuri, la sorella di T’Challa e colei che ha progettato le nuove tecnologie per la Nazione del Wakanda) fu vittima di un rovinoso incidente con tanto di frattura ad una spalla e una commozione cerebrale che l’ha tenuta lontana dal set per alcune settimane. Nulla però è in grado di fermare la macchina infallibile di Marvel Studios e, con qualche mese di ritardo rispetto al primo annuncio dell’uscita del film, “Black Panther: Wakanda Forever” arriva nelle sale di tutto il mondo. Evidentemente lassù qualcuno ci ama.
Wakanda Forever
Il desiderio di rendere omaggio alla memoria di Chadwick Boseman appare subito evidente sin dalla prime battute del film. La pellicola si apre con il popolo di Wakanda che celebra le esequie del loro Re scomparso a causa di una malattia. La sequenza iniziale del funerale di Re T’Challa è suggestiva, catartica, visivamente molto bella.
La nazione iper tecnologica del Wakanda, divenuta una solida realtà anche gli occhi dei rappresentanti delle Nazioni Unite al termine del primo capitolo, si ritrova quindi senza il suo Campione. Una nazione senza Re diventa una nazione debole e obiettivo facile per il leader mondiali il cui unico interesse è accaparrarsi i giacimenti di Vibranio, un metallo semi indistruttibile che ha la capacità di assorbire l’energia sotto qualunque forma. Una risorsa che sembra proliferare esclusivamente nelle rigogliose terre Wakandiane. Ogni mezzo è lecito per raggiungere questo scopo, anche lo sviluppo di una tecnologia in grado di rivelare la presenza del Vibranio sul suolo terrestre. Fautrice di tale prodigio tecnologico è Riri Williams, una giovane studentessa di Chicago e geniale inventore che, nel passatempo, si crea anche un’armatura che nulla ha da invidiare a quella di Iron Man costruita da Tony Stark e che la porterà a diventare il personaggio di Ironheart (di cui sappiamo già essere in programma una serie tv dedicata su Disney+).
L’interesse morboso dei potenti nei confronti del Vibranio ha risvegliato un’antica civiltà di abitanti sottomarini che ha stabilito il proprio regno su Talokan, una città sommersa dagli oceani che, come per il Wakanda, fonda il suo benessere sulle riserve di Vibranio. Il re di Talokan, il dio serpente piumato K’uk’ulkan, animato da un odio profondo verso gli uomini di superficie, è disposto a tutto pur di proteggere il suo popolo e le sue risorse. Per chi non l’avesse capito, K’uk’ulkan è la versione del Marvel Cinematic Universe di Namor il Sub-mariner. Namor è un personaggio iconico dei Marvel Comics, creato dal compianto Bill Everett e apparso per la prima volta in “Motion Picture Funnies Weekly #1″ dell’aprile 1939. Namor è decisamente il personaggio più atteso di questo lungometraggio e non facciamo fatica ad immaginare che i puristi e gli appassionati dei fumetti storceranno la bocca di fronte a questa rivisitazione che strizza l’occhio alla politica di inclusività della casa Marvel e della Disney in generale. Il Sub-Mariner, interpretato dall’attore messicano Tenoch Huerta (molto popolare in patria e in America Latina), non è un atlantideo come nei fumetti, ma è alla guida di Talokan, uno dei regni degli inferi dei codici aztechi governato dal dio della pioggia Tlāloc. Un paradiso per le anime di coloro che sono morti a causa di una tempesta. Le origini del Namor di Huerta sono state completamente riscritte rispetto alla controparte a fumetti, ma alcuni elementi essenziali sono stati mantenuti. Tra questi ritroviamo la natura mutante del personaggio (anche se sulle modalità dell’acquisione del gene X che ci viene mostrata avremmo da discutere), le alette ai piedi e il profilo di anti-eroe che umanizza il personaggio, rendendo facilmente comprensibili le motivazioni che spingono le sue azioni nonostante il ruolo da antagonista che ha nel film. Ryan Coogler ha riassunto perfettamente il profilo di Namor definendolo “una specie di stronzo, un po’ romantico e semplicemente incredibilmente potente“. Non vogliamo dilungarci nel registrare le differenza tra la versione a fumetti e quella live action. Se volete, lasciamo l’esercizio a voi lettori suggerendovi il nostro approfondimento su quello che Namor ha rappresentato e tutt’oggi rappresenta nei Marvel Comics.
Riassumendo, abbiamo un metallo prezioso, un popolo aggressore che se lo vuole accaparrare (i potenti della Terra, e come ti sbagli…) e due popoli che hanno gli stessi interessi (preservare il proprio benessere e le proprie risorse) ma modus operandi completamente differenti. La differenza di vedute tra Wakandiani e Talokiani è così ampia che ogni tentativo di fare fronte comune contro l’aggressore fallisce miseramente e la guerra diventa l’unica via.
La morte non è la fine
“Black Panther: Wakanda Forever” è un film prevalentemente al femminile. È una pellicola incentrata sul tema della perdita, il mantenimento dei propri valori e l’accettazione del lutto di chi sarà destinato a raccogliere l’eredita di Re T’Challa. Shuri (intepretata da Letitia Wright), Nakia (Lupita Nyong’O), Okoye (Danai Gurira), Ayo (Florence Kasamba), Aneka (Michaela Coel) e la regina madre Ramonda (Angela Basset) affrontano, ognuna con i propri tempi e modi, le fasi di elaborazione del lutto attraverso un percorso che parte dalla negazione e rabbia fino ad arrivare all’accettazione definitiva e la consapevolezza del ruolo che il destino ha riservato per ognuna di loro. L’accettazione e il processo di maturazione viene rappresentato con una sequenza finale estremamente toccante che coinvolge emotivamente non solo agli spettatori in sala ma, siamo convinti, anche agli attori in scena. La storia è fittizia ma il dolore e il cordoglio sono reali. Quelle lacrime che vediamo scorrere nel finale del film e nella scena mid-credit sono assolutamente vere. Su tutti spicca la performance attoriale di Letitia Wright, che nella parte di Shuri ci appare estremamente calata nel personaggio. Ma in un contesto simile non ci sentiamo di sminuire le performance degli altri attori, ognuno dei quali ha contribuito a rendere questa pellicola epica. Merita una menzione speciale anche Dominique Thorne nella parte di Riri Williams. Il suo personaggio di Ironheart spacca e, siamo convinti, lascerà un’impronta importante nelle future fasi del Marvel Cinematic Universe. Immaginiamo che sarete curiosi anche di sapere chi prenderà l’eredità della Pantera Nera lasciata vacante da Chadwick Boseman ma, credeteci quanto vi diciamo, questo rimane un aspetto assolutamente secondario a cui viene riservato il giusto spazio nella seconda parte della pellicola.
Il regista Ryan Coogler è riuscito a trasformare un cinecomic classico in un storia intima e molto commovente, trattando il tema della perdita con estremo garbo e delicatezza. In tal senso, Coogler ha giocato magistralmente con l’impianto sonoro e la colonna sonara che rimangono imponenti per gran parte del film ma che si mettono completamente in disparte nei momenti di commiserazione, come a voler unire idealmente attori e spettatori al raccoglimento.
“Black Panther: Wakanda Forever” è sopratutto un cinecomic, ma di quelli imponenti. Le scene di combattimento sono spettacolari. Costumi e trucco sono fuori scala e destinati ai massimi riconoscimenti. In particolare la resa dei guerrieri Talokiani è straordinaria. Vederli combattere nel mare, loro habitat naturale, appaga gli occhi. Spesso sembra quasi di osservare sequenze tratte da Avatar per via del ritmo, della modalità di combattimento e dell’impianto scenografico. In tal senso “Black Panther: Wakanda Forever” è un film molto “verticale”: ci si immerge nelle profondità dell’oceano guidati da Namor e si risale in superficie fino a raggiungere il cielo spinti dai propulsori di Ironheart, come se fossimo nelle più eccitanti delle montagne russe.
Con “Black Panther: Wakanda Forever” Marvel Studios chiude la fase 4 del Marvel Cinematic Universe e alza notevolmente l’asticella definendo a livello qualitativo un gap importante tra questa pellicola e tutte le recenti produzioni sia di casa Marvel che di casa DC. Il consiglio che vi diamo è quello di dimenticare quanto poco di buono avete visto recentemente in ambito supereroistico e di correre al cinema per unirvi al grido di “Wakanda Forever!”.
Black Panther: Wakanda Forever
Letitia Wright: Shuri
Lupita Nyong'o: Nakia
Danai Gurira: Okoye
Winston Duke: M'Baku
Dominique Thorne: Riri Williams / Ironheart
Florence Kasumba: Ayo
Michaela Coel: Aneka
Tenoch Huerta: Namor
Martin Freeman: Everett Ross
Angela Bassett: Ramonda