Cobra Kai è sicuramente la serie del momento e la terza stagione conferma quanto di buono abbiamo visto finora: vi spieghiamo perché – secondo noi – è il miglior revival degli ultimi anni
Sarebbe stato un vero peccato, non poter vedere questa terza stagione della Serie TV Sequel di “Karate Kid“: quando, infatti, YouTube ha deciso di chiudere con la produzione di originali per il suo canale Premium, questi dieci episodi sono finiti in un limbo, da cui forse non sarebbero mai usciti.
Ci hanno pensato i produttori, che non si sono dati per vinti, trovando in Netflix una nuova casa, e riuscendo a traghettare verso un meritato successo mondiale la serie, che non solo è stata salvata, ma si è rivelata una delle più viste della piattaforma, che ha subito ordinato la produzione di una quarta.
Ma dicevo del rischio di non vederli, perché la Stagione 3 di “Cobra Kai” è al momento la migliore, riuscendo a mantenere fede al suo spirito iniziale, quello che ci ha sorpreso la prima volta, senza però smettere di tenere alta l’attenzione del suo pubblico, cullandolo sempre con quell’efficace effetto nostalgia che lo rende, di fatto, uno dei più riusciti Revival tra i tanti spuntati fuori negli ultimi anni.
Merito di una sceneggiatura rispettosa dell’originale, che sa ripercorrere quella strada, la stessa dei “Karate Kid“, che funzionavano per i ragazzini di allora, oggi uomini adulti al pari dei due protagonisti principali, e che magari guardano la serie coi loro figli, anch’essi intrigati dal valore universale di una storia semplice, universale persino, ma che proprio per questo non passa mai davvero di moda.
C’è una sorta di metaforica coordinazione di cose, in “Cobra Kai“, una concatenazione degli eventi della narrazione, che mi ricorda dannatamente proprio la stessa fluidità dei movimenti di quest’arte marziale.
Azione e reazione, evento che porta a conseguenza che trascina a sua volta a quel particolare snodo della trama. Le cose arrivano e vanno proprio come devono andare, dove il colpo di scena, anche quello apertamente telefonato, diventa il punto che ti fa vincere il torneo, o meglio dire, il binge-watch.
Sono episodi brevi, veloci, girati al risparmio persino, ma che dicono quello che devono dire, e persino quando ti danno una carezza, riportandoti con smaccata prepotenza sul sentiero dei ricordi (e regalandoci la guest star che stavamo attendendo sin da quell’inquadratura sul finire della seconda stagione), poi sanno come darti un pugno ben assestato ai feels.
E quel KO arriva semplicemente, perché “Cobra Kai” non sbaglia, avendo praticamente tutto ciò che serve sin dal primo “Karate Kid“, ivi incluso il Villain, uno con la maiuscola, il John Kreese di Martin Kove, che in questa terza stagione ottiene maggiori riflettori, e dove il suo passato nel Vietnam viene mostrato, per rendere evidente cos’ha portato quest’uomo ad essere lo spietato e pericoloso manipolatore che è oggi. È grazie a lui, allo sguardo penetrante e all’essere “nemico del mio nemico”, che la trama della terza stagione, intrisa del suo veleno nero, appassiona senza pietà.
Ma sopratutto la Serie TV non dimentica chi è il protagonista principale, la tessera del domino che una volta fatta cadere, ha messo in moto tutte le altre: William Zabka, ovvero Johnny Lawrence, ovvero il personaggio per cui davvero tifiamo.
Non è infatti Daniel il cuore di “Cobra Kai“. Lui è co-protagonista semmai, il lato luminoso della medaglia, l’imprenditore, il bravo marito e padre di famiglia, un modello, sempre con quegli insegnamenti del Sensei Nariyoshi Miyagi scritti nel cuore e nei modi. Quando qualcosa coinvolge il personaggio di Ralph Macchio, sappiamo che poi tutto si risolve al meglio in qualche modo, anche a costo di andare in Giappone e rievocare il capitolo più intenso della tetralogia cinematografica, il secondo (non vogliatemene, ma rivedere Chozen è stato persino più bello che rincontrare Kumiko).
Non per inimicarmi i giovani fan della serie, ma non lo sono neanche i ragazzini, che servono per portare gli eventi nel tempo presente e creare un parallelo universale coi loro genitori, ma che comunque relegherei al ruolo di personaggi secondari. Sono tutti abbastanza bravi, abbastanza intensi nelle loro beghe sentimentali da teen drama, rabbiosi dove serve e capaci di redimersi all’occorrenza.
La vera Star è lui, Johnny.
Cade, prende schiaffi dalla vita e per questo la odia, ma poi capisce che quello che davvero odia è sé stesso, per non vedere quanto può essere in gamba, quanto può essere positivo, e allora eccolo rialzarsi, incrollabile e, a suo modo, eroico. È anche il cuore comico della serie, come quando capisce, boomer indomabile, che per far funzionare il suo portatile usato, con ancora installato Windows XP, deve attaccarlo ad una presa di corrente, e birra alla mano, esclama un “OH!”, di stupita meraviglia.
Gli vogliamo bene, a Johnny, gag di “How I Met Your Mother” o meno. Gli vogliamo bene per essere il Paperino di quel Topolino di Daniel. Per essere come noi, e in qualche modo saperci davvero ispirare con i suoi insegnamenti.
Che non sono scritti nella pietra come quelli di Miyagi, che non sono oscuri e mortali come quelli di Kreese, ma sono i suoi, semplicemente.
Li ha imparati a sue spese, sulla pelle, nella vita di tutti i giorni, capendo che non è mai troppo tardi per lasciarsi il passato alle spalle, anche se lui non vuole saperne di andare via.
“Cobra Kai” quel passato lo abbraccia, lo fa diventare leva con cui sollevare e scrivere un intero mondo, e con cui ha reso chiara una cosa al pubblico e alla critica, la lezione più importante di tutte a Hollywood, capace persino di farti sorvolare senza problemi su difetti evidenti sin dalla prima stagione, come quella fotografia da soap opera del pomeriggio.
Contro la Nostalgia, non c’è calcio della gru che tenga!