Il Sud Italia è sicuramente un luogo magico e che nasconde una buona dose di mistero. Ogni paesino ha la sua strega, il lupo mannaro o qualche altro essere mostruoso che li popolano. Quale posto più prolifico, quindi, per una nuova avventura del Dampyr?
“Notte di luna, notte di sangue
Brilla nel buio lo sguardo di bragia
Suona nel cielo l’urlo che langue
Quando la morte vaga randagia
Ha lunghe gambe e passo felpato
In mezzo alla notte la strada ti sbarra
Pronta in un lampo a farti squartato
Con zanne e artigli la torva Mandarra!”
Il n. 248 di Dampyr, Il licantropo di Matera, scritto da Giusfredi e disegnato da Fortunato è ambientata nello spettacolare scenario di Matera, con le sue “case scavate nel tufo che devono essere pessime per i reumatismi, ma eccellenti rifugi per un non morto”: una location sicuramente poco abitudinale per Harlan Draka, avvezzo ad avventure nell’area mitteleuropea, ma proprio qui si svolgerà il concerto di Stuart, amico del Dampyr, che durante la sua permanenza in città avrà strani presentimenti.
Sono due le zone principali del Sud Italia in cui la presenza dei lupi mannari è molto forte: la Lucania e l’Irpinia, entrambe hanno nella loro toponomastica il collegamento con il lupo. La Lucania dal greco lykos e l’Irpinia dall’osco hirpus. Si tratta di zone molto vicine tra loro, collinari o montagnose, ruralissime, quindi perfette per ambientare leggende efferate e ogni paesino, ha infatti, il suo lupacchiotto.
Dampyr farà conoscenza con un licantropo materano, Mosè, di 99 anni, dall’animo docile e gentile, ma non è di certo l’unico l’pèmb (per qualcuno l’pomb. termine con cui vengono chiamati i lupi mannari in Basilicata, che ricorda nell’etimologia della parola, il greco lýkos), che c’è a Matera, ma all’inizio è solo Mosè a catturare l’attenzione di tutti, lui che è sempre stato più lupo che uomo.
Generalmente in queste zone, nella maggior parte delle leggende a diventare lupi mannari, sono i malcapitati nati nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, perché hanno osato, in modo assolutamente blasfemo, nascere nello stesso giorno di Gesù. Dannati quindi dalla nascita, si trasformano in linea di massima ad ogni luna piena, sbranando e uccidendo a destra e a manca. Per riportarli al loro status di uomini serve pungerli con uno spillo; per sfuggirgli passare da un crocicchio: alla maggior parte delle creature mostruose è impedito il passaggio ai crocevia e soprattutto; altra indicazione da tenere assolutamente presente è che mai, mai, MAI bisogna aprire ad un lupo mannaro prima che questo abbia bussato tre volte, non vi preoccupate, non verrete tacciati di maleducazione.
Già Carlo Levi, nel suo Cristo si è fermato ad Eboli aveva parlato di uomini affetti da licantropia e illustra proprio la spiegazione del perché bisogna sempre attendere i tre colpi prima di aprire ad un lupo mannaro:
«I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue più l’uomo dalla belva. (…) Escono la notte, – mi raccontava Giulia, – e sono ancora uomini, ma poi diventano lupi e si radunano tutti insieme, con i veri lupi, attorno alla fontana. Bisogna star molto attenti quando ritornano a casa. Quando battono all’uscio la prima volta, la loro moglie non deve aprire. Se aprisse vedrebbe il marito ancora tutto lupo, e quello la divorerebbe, e fuggirebbe per sempre nel bosco. Quando battono per la seconda volta, ancora la donna non deve aprire: lo vedrebbe con il corpo fatto già di uomo, ma con la testa di lupo. Soltanto quando battono all’uscio per la terza volta, si aprirà: perché allora si sono del tutto trasformati, ed è scomparso il lupo e riapparso l’uomo di prima. Non bisogna mai aprire la porta prima che abbiano perso anche lo sguardo feroce del lupo. E anche la memoria di essere state bestie. Poi, quelli non si ricordano più di nulla.»
Ma l’albo di Giusfredi e Fortunato, non poteva di certo accontentarsi di parlare solo di lupi mannari. Infatti nelle terre lucane non esiste solo la figura del licantropo, ma c’è una sua controparte femminile, che popola anche questa storia. È la Mandarra, in teoria una donna gigantesca, con gambe lunghissime, che di notte tendeva agguati alle persone malvagie. Piantava i suoi piedi sui tetti delle case o sui massi e stritolava fra le gambe le sue prede. Nella fantasia degli autori di questo numero di Dampyr, la Mandarra ha sembianze lupesche ed è molto peggio di quello che i lettori pensano.
Gran parte della vicenda è ambientata di notte, ovviamente le trasformazioni avvengono tutte con la luna e l’ambientazione creata da Fortunato immerge il lettore in un’atmosfera cupa e ansiogena, soprattutto nell’ultima parte del volume, dove si assiste ad uno scontro concitato e convulso.
Come sempre leggere Dampyr è un piacere per chi ama le leggende, anche in questo numero infatti si evince un grande studio da parte degli autori sulle creature fantastiche del Sud Italia e sono sparse nell’albo molte chicche interessanti. La storia di Mosè è inoltre accattivante e fa sì che si crei un continuo andirivieni tra passato e presente. Mosè è nato 99 anni fa, anche se non si direbbe, visto che veste come un ragazzo ed ha delle sembianze giovanili, ed ha una storia travagliatissima, che lo ha portato a perdere per ben due volte la sua famiglia. Solo al mondo, sviluppa un animo gentile, docile, che non si attribuirebbe mai ad un lupo mannaro e infatti è impossibile per i lettori non empatizzare con lui e stare con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Oltre ad Harlan Draka e i suoi fedeli compagni, ho apprezzato moltissimo l’inserimento delle figure di Stuart e di Duncan, che sono la chiave di volta per dare inizio al mistero materano.
Il finale lascia l’amaro in bocca, ma non posso svelarvi perché, dovete per forza andare a Matera insieme ad Harlan per scoprirlo.