Ducks – Se vai a lavorare tra i maschi, te la sei cercata

Abbiamo letto per voi Ducks, premiato ai prestigiosi Eisner Awards come Migliore biografia a fumetti e Migliore autrice unica, e tra i libri preferiti da Barack Obama nel 2022. Ecco la nostra recensione

copertina recensione ducks

Dall’8 settembre è disponibile anche in Italia Ducks, la graphic novel della canadese Kate Beaton, reduce dal successo agli Eisner Awards, in cui si è aggiudicato le categorie di Migliore biografia a fumetti e Migliore autrice unica. Edito per l’Italia da Bao Publishing, Ducks è un racconto autobiografico in bianco e nero, pubblicato originariamente da Drawn & Quarterly, una delle più importanti case editrici nordamericane.

SINOSSI

È il 2005, Kate ha ventun’anni e ha appena terminato l’università. Trovare lavoro non è facile, non nella parte di Canada da cui proviene e non con una laurea in Storia e Antropologia; quindi, come molti suoi coetanei decide di partire alla volta dell’ovest, a lavorare negli impianti di estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose. Ha infatti un debito studentesco che solo con quel lavoro, pessimo ma ben pagato, può estinguere in tempi brevi.
Gli impianti, o “campi”, sono posti in cui gli uomini sono cinquanta volte più delle donne: ammassati e isolati dal resto del mondo, i soprusi – e gli abusi – sono all’ordine del giorno. Con delicatezza, ma senza fare sconti alla realtà delle cose, Beaton racconta quei due anni di lavoro all’ombra del senso di colpa per la distruzione consapevole che l’uomo porta all’ambiente, per di più su terre rubate ai nativi del luogo. Un fumetto intenso, un libro importante, tra i più premiati dell’anno in tutto il mondo.

A OGNUNO LE PROPRIE SABBIE BITUMINOSE

Sin dalle prime battute, Ducks si dimostra un’opera così grande da superare tempo e spazio per raccontare le storie di molti attraverso l’esperienza di una. Bastano solo sette vignette e una frase: l’unico messaggio che ci veniva ripetuto era che, per un futuro migliore, dovevamo andarcene da casa.

Ed eccoci tutti e tutte lì, a fissare quella che è stata la vita della nostra generazione, a ricordare tutti i “devi andartene dall’Italia, qui non c’è nulla per te”, o tutte le volte che abbiamo dovuto abbandonare le nostre case per andare a sbarcare il lunario in province umanamente fredde, emotivamente inospitali, fisicamente lontane.

Per un periodo, Kate riesce anche ad abbandonare i campi per lavorare in un museo, in un ruolo affine alle sue competenze: rinasce, si riprende, ma il sogno dura poco. La paga non è buona come nei campi, e il debito studentesco incombe.

E ancora Beaton ci da voce quando, parlando di Capo Bretone, dice che non lo si può comprendere senza sapere quanto siano connaturate due esperienze diametralmente opposte: un profondo amore per la propria casa, e la consapevolezza di quanto spesso dobbiamo lasciarla per andare a lavorare altrove.

Eccomi. Eccoci. Ecco tutta la gente che dal sud del mondo è stata costretta a spostarsi in un posto che non si poteva chiamare casa, ma che era l’unico che li facesse campare. Quello è il punto: la storia inizia con una Kate che vive, e continua con una Kate che tira a campare, sopravvive, quasi contando i giorni che la separano dal ritorno a casa, circondata da quelle che un tempo erano persone e ormai sono diventate zombie.

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Le sabbie bituminose fanno questo, ti attaccano la pece all’anima, al punto da farti chiedere – come se lo chiede l’autrice – come diventerebbero, qui, le persone che amiamo? Siamo sicuri che non muterebbero? Del resto, il bitume è appiccicoso, si insinua sotto la pelle, e quando sei solo in mezzo al nulla, privato degli affetti e di un senso e ridotto quasi allo stato brado, cosa resta dell’umanità che un tempo avevi?

In questa narrazione, l’ovest del Canada si tramuta nel Far West, solo più freddo e grigio, con la polvere nera al posto di quella rossa del deserto, e gli avvitatori al posto delle pistole. Ma resta un posto selvaggio e senza legge, una terra rubata agli indigeni e bucata per succhiarne tutta l’essenza.

LA TEMATICA AMBIENTALISTA

Uno dei temi centrali dell’opera è proprio la denuncia ambientalista, velata ma sempre presente. Con le sue pagine, Beaton sembra voler fare ammenda per una situazione che tutto sommato ha fatto comodo anche a lei, come a molti altri. I canadesi sono colpevoli di non aver voluto vedere, di aver lasciato che la propria terra venisse perforata e torturata per far arricchire poche multinazionali, accontentandosi delle briciole come fossero d’oro, e ora pagano con la propria salute e quella dei propri cari.

Dove un tempo si pescava e si commerciava, ora tutto è spianato e ricoperto di trivelle; le persone muoiono di cancro, mentre gli animali muoiono avviluppati dal bitume, che li tira giù come Artax nelle Paludi della Tristezza. Anche le anatre del titolo sono morte così, risucchiate da uno stagno la cui acqua era diventata troppo pesante e oleosa a causa delle pratiche estrattive. Ogni tanto succede, ma l’azienda mette tutto a tacere, interessata solo al profitto e al mantenimento delle “ore senza incidenti mortali”.

È con l’episodio delle anatre che Kate inizia a sviluppare una coscienza ambientale, a farsi delle domande, a chiedersi se sia giusto quello che sta succedendo. Il “si è sempre fatto così” non sembra funzionare più, non quando tutto intorno sta morendo affinché possiamo continuare a vivere indisturbati.

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SE VAI A LAVORARE TRA I MASCHI, TE LA SEI CERCATA

C’è un’altra tematica molto forte nelle 400 pagine – estremamente scorrevoli – di questo volume, tristemente attuale e brutalmente forte: gli abusi, fisici e verbali, di una donna in mezzo agli uomini.

Kate arriva al campo di estrazione che ha ventidue anni, è poco più che una ragazzina e a suo dire nemmeno particolarmente bella, ma ha gli occhi di tutti addosso, come un pezzo di carne sventolato davanti agli occhi di iene affamate.

Le fanno battutine, fischiano al suo passaggio, fanno la fila in attrezzeria solo per poter fare apprezzamenti sul suo corpo, le chiedono se abbia un fidanzato: e lei tace, perché da un lato sa che le sue parole farebbero licenziare qualcuno – attirando solo le ire di tutti gli altri – e dall’altro sa che non cambierebbe nulla. O peggio: non le crederebbero.

Sei una donna che lavora in mezzo a cinquanta uomini, chi ti ha detto di andarci? Se vuoi stare tranquilla, basta che ti trovi un uomo e la smetteranno; per rispetto a lui, non a te. E se invece sei single e fanno qualche apprezzamento di troppo, che c’è di male? Dopotutto sono lontani dalle loro mogli, poverini, e dal calore di un abbraccio femminile.

La giustificazione degli abusatori è così interiorizzata da Beaton che, perfino quando subisce due stupri consecutivi – da due persone diverse – incolpa sé stessa per non aver evitato quelle situazioni. Prova con fatica a dirlo agli amici più stretti, ma loro – con la sensibilità di un piede di porco – confermano il giudizio che lei ha già scelto per sé: eri ubriaca, quindi non è stupro. Eri ubriaca, quindi te la sei cercata.

Avranno mica parlato tutti con il noto giornalaio della TV italiana che va distribuendo di queste perle di saggezza?

Finalmente, Kate trova il coraggio di parlarne con la sorella, Becky, che le rivela di aver provato la stessa esperienza. È capitato anche a me, all’università. Ti credo. Non è colpa tua. Poche parole che assolvono una vittima che si incolpa di quanto ha subìto.

Ecco come, ancora una volta, Beaton riesce a essere universale e a parlare a tutti quelli che nella vita hanno subìto soprusi, abusi verbali, psicologici e sessuali; a tutte quelle – e qui mi dispiace, ma ne faccio una questione di genere – che si sono sentite gli occhi addosso, le mani addosso, e si sono viste dare la colpa per gli abiti, per l’atteggiamento, per il luogo in cui erano, il profumo che portavano, le sostanze che avevano in corpo.

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Come tante vittime prima e dopo di lei, Kate cerca quasi di giustificarli: non sono loro, è il bitume che si è impregnato nelle loro carni, ha preso il loro posto e guidato le loro azioni. È il bitume che ti si infila sotto la camicetta e nei pantaloni, anche quando indossi una tuta da lavoro e scarpe antinfortunistiche. È quella forza esterna e malevola che li rende così, è l’isolamento che li rende così, è la mancanza di affetto che li rende così, loro non sono davvero così. Non lo sono mai. È sempre colpa di qualcuno o qualcos’altro.

Ma il fatto stesso che quest graphic novel esista è la dimostrazione che un’altra narrazione è possibile. Kate Beaton ha il coraggio di raccontarsi senza remore, di parlare di un’esperienza così delicata come non uno, ma due stupri, e facendolo ricolloca le colpe sui colpevoli. E chi legge non pensa neppure per un secondo che si sia cercata o meritata quello che le è capitato.

Su una cosa, però, la Kate dei campi forse aveva ragione: i mostri siamo stati noi a crearli, e continuiamo a farlo ogni volta che guardiamo dall’altra parte. E se non prendiamo una posizione, presto o tardi finiremo invischiati e stecchiti, col sangue e l’anima nera. Come le anatre.

 

Ducks

Ducks

Autore: Kate Beaton
Formato: 17x23; Cartonato; 436 pagine in bianco e nero
Dove trovarlo: Fumetteria, libreria, store online
Editore: Bao Publishing
Prezzo: € 27,00
Voto:

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Claire Bender

Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.

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