Marco Nucci scrive un numero davvero intenso di Dylan Dog intitolato Sette Vite, ottimamente disegnato da Paolo Martinello. «Di medium e sensitivi, di asceti e spiritisti io sono il flagello». Comincia così la delirante missiva indirizzata a Scotland Yard da parte di Astaroth, il feroce serial killer che imperversa nelle notti londinesi. E la sua prossima preda è l’Indagatore dell’Incubo, il più ingannevole tra i mistificatori.
Il nuovo numero di Dylan Dog vede il ritorno di un comprimario amatissimo, il gatto Cagliostro che, come da tradizione felina, impartisce avvertimenti a proposito dell’avere, appunto, Sette Vite.
È un bel pezzo da quando ho ricominciato a leggere le storie dedicate all’Indagatore dell’Incubo (potete trovare tutte le recensioni qui), ma questo forse è l’albo con il respiro più classico.
A tesserne le fila è Marco Nucci, che si è occupato di curare la bellissima edizione in volumetti delle storie di Tiziano Sclavi (andatela a recuperare, se non l’avete già) e che, proprio recentemente, si è dedicato all’ultima edizione del Diary, vera e propria bibbia della serie, perfetta per gli amanti di quello che si cela dietro le quinte.
Sette Vite, una storia dal sapore classico con dialoghi brillanti
Non è un caso che Nucci quindi conosca ed interpreti alla perfezione le meccaniche che hanno reso celebre la narrazione di Dylan Dog. Nella sua storia, sui cui mi riferimenti mi dedicherò in un attimo, è un intreccio perfetto tra la trama, costruita da incastri perfetti e squisitamente articolati, ed i dialoghi, fantasticamente brillanti con un tono leggermente virante alla black comedy di matrice squisitamente britannica.
È proprio questa leggerezza a rendere interessante questa nuova storia. Il meccanismo della trama si inserisce in un filone che abbiamo più volte preso in considerazione. Partendo dal Giorno della Marmotta di murrayiana memoria (Ricomincio da Capo, 1993) fino ad arrivare agli X-Men di Jonathan Hickman. Passando ovviamente per Claire North.
Il protagonista di questo genere di storie è costretto in qualche modo a vivere un periodo di tempo (che può essere variabile), morire, e ricominciare da capo conservando i ricordi dell’esperienza precedente. In questo caso, devo dire, l’influenza più forte è proprio quella di Jonathan Hickman. Dylan dovrà infatti sfuggire ad uno spietato serial killer, imparando ogni volta a sventarne gli assalti.
A metterci lo zampino, letteralmente, è Cagliostro, che presterà al nostro Indagatore le leggendarie sette vite feline.
Sebbene derivativo (e quando l’idea di partenza è così particolare, non si può non sottolinearlo), l’albo si muove su una narrativa che tiene attaccati alle pagine e che porta ad una conclusione quanto meno inaspettata, dove il loop riparte, ma da una prospettiva alterata.
Paranoia personale, tutta mia, cosa succede a tutti gli altri esseri umani quando uno ha il potere di cambiare il corso della storia alterando degli eventi? Resto in attesa di suggerimenti, ché neppure delle sessioni lunghissime al mio negozio di fumetti di riferimento hanno saputo portare a conclusioni certe.
Nel mentre va fatto un applauso a scena aperta al tratteggio di Paolo Martinello che accompagna la storia con una cura maniacale per i dettagli ed un tratto leggero, quasi soffuso, che ripropone un Dylan decisamente più sorridente e dandy del solito.
Data la particolarità della storia, che vede intere sequenze ripetersi per necessità narrativa, è interessante vedere una regia capace di rappresentare angolazioni sempre diverse ma funzionali a questo o quell’elemento narrativo.
Sette Vite è una storia piacevolmente leggera che pur sottolineando l’elemento diabolico felino (Cagliostro è un silenziosissimo testimone), si scosta dal dramma quotidiano per rappresentare la fotografia di un Dylan sornione e lievemente atipico.