Robert Zemeckis alla regia. Eric Roth alla sceneggiatura. Tom Hanks attore protagonista. Il tema del tempo che scorre inesorabile. No, non stiamo parlando di “Forrest Gump“, ma di “Here“, il nuovo film del team artistico che ha reso immortale la pellicola ispirata all’omonimo romanzo di Winston Groom. Anche “Here” è film che trae ispirazione da un’altra opera, una graphic novel di Richard McGuire. L’abbiamo visto in anteprima e, ancora una volta, siamo rimasti favorevolmente sorpresi. Queste sono le nostre impressioni, rigorosamente senza spoiler
Un fumetto che sovverte le regole della narrazione
Il desiderio di raccontare storie è un impulso innato e intramontabile nell’essere umano. Attraverso le storie, cerchiamo di mettere ordine alla nostra percezione del mondo. Organizziamo gli eventi secondo la nostra coscienza e li intrecciamo tramite un filo conduttore con la speranza di scoprire significati nascosti, il vero senso della vita. Narrare è parte essenziale della nostra natura e, da sempre, la capacità di mettere in sequenza gli accadimenti, sia in forma scritta che orale, si è trasformata in una disciplina: un’arte che segue regole precise codificate dalla narratologia.
Chi ha assimilato a fondo queste regole spesso sente il bisogno di infrangerle, giocando con lo stile e sperimentando nuove forme di narrazione con l’obbiettivo intraprendere sentieri ancora inesplorati. Non di rado, questi tentativi si traducono in fallimenti clamorosi. Altre volte, l’esperimento matura, evolve nel tempo e arriva infine a esprimere tutto il suo potenziale.
Un esempio emblematico è quello di Richard McGuire, fumettista e illustratore americano, un talento eclettico, che si è distinto anche come musicista. In questa sede non ci soffermeremo sulle sue abilità di bassista in una band dance-punk, bensì sul percorso che lo ha portato a trasformarsi da street artist a copertinista per una prestigiosa rivista come “The New Yorker“. Nel 1989, l’artista originario del New Jersey realizzò quello che, all’epoca, fu considerato semplicemente un esperimento, nulla di più.
Nel primo numero “Raw“, storica rivista statunitense dedicato a fumetto e curata da Art Spiegelman e Françoise Mouly, fa la sua apparizione un breve fumetto di soli 36 vignette dal titolo “Here” (potete trovarlo qui). Al netto di uno stile che sembra ispirato da Edward Hopper, McGuire adotta un approccio innovativo e audace, mai tentato prima. Fissa una sfondo fisso – rappresentato da una semplice stanza – e su di esso alterna frammenti di eventi che si svolgono in momenti diversi nel tempo. Una narrazione tutt’altro che lineare. Tasselli di una storia vengono raccontati su finestre temporali che si aprono sullo stesso spazio, componendo un vero e proprio mosaico.
Spetta al lettore l’esercizio di ricondurre questi frammenti a una trama lineare tra lo scorrere avanti e indietro del tempo. Se chiedete a McGuire a cosa si è ispirato per realizzare un fumetto simile, vi sorprenderà dicendovi che tutto è nato sulla sua testa osservando l’interfaccia utente del sistema operativo Windows che, a quel tempo, cominciava ad affermarsi come sistema operativo di riferimento.
“Here”, qui e ora, diventa una graphic novel
Quelle 36 vignette ebbero l’effetto di uno Tsunami tra il pubblico e gli operatori nel settore. Chris Wire – l’autore di capolavori come “Jimmy Corrigan” e “Building Stories” – dichiarò senza mezzi termini di non aver mai visto una cosa del genere in un fumetto, aggiungendo che un’opera come “Here” avrebbe cambiato il modo di approcciare al fumetto in maniera nettamente radicale.
Gli esperimenti di Richard McGuire non si fermarono lì. Nel 1991, quelle 36 vignette furono adattate in un cortometraggio (disponibile qui), ma fu solo 25 anni dopo la pubblicazione di “Here” su “Raw” che quel progetto prese forma in qualcosa di più strutturato. Nel 2014, McGuire decise di ampliare la breve storia originale, trasformandola in una graphic novel a colori di 300 pagine. In Italia, l’opera è arrivata nelle librerie l’anno successivo, grazie a Rizzoli Lizard.
Interpellato da Fumettologica,. l’autore americano ammise che un’esperimento simile poteva avere successo solo su un medium che poteva rappresentare una visione simultanea di qualcosa. E questo medium è il fumetto:
«Se tu dovessi scrivere un romanzo per ottenere un risultato analogo saresti costretto a usare una lunga descrizione testuale come introduzione e poi a scrivere continuamente “nel frattempo…”, “nel frattempo…”, “nel frattempo…” e così via. Neanche nei film puoi ottenere un risultato simile: presentare la costante contemporaneità di molti eventi su pellicola alla fine produce molta confusione nello spettatore.»
Oggi possiamo dire con assoluta certezza che Richard McGuire si sbagliava di grosso.
Un unico luogo, tante storie per arredamento
Solo menti brillanti come quelle di Robert Zemeckis e del suo fidato sceneggiatore Eric Roth potevano immaginare di portare sul grande schermo l’opera rivoluzionaria di Richard McGuire. Per i meno attenti, vale la pena ricordare che questi signori sono gli stessi autori che hanno dato vita “Forrest Gump“. Per questa nuova impresa, a completare il trio delle meraviglie che ha reso “Forrest Gump” una pellicola indimenticabile, è stato coinvolto anche Tom Hanks nel ruolo di protagonista.
“Here” (il lungometraggio) può sembrare fortemente derivativo di “Forrest Gump” e, in un certo senso, lo è. Queste due pellicole condividono lo stesso concetto che risiede alla base. Fissare un punto nello spazio e osservare il tempo che vi scorre attorno. Se In “Forrest Gump”, quel punto fisso è rappresentato dal personaggio interpretato da Tom Hanks, in “Here” è un luogo specifico.
Un’area che diventa teatro di eventi eventi occorsi durante tutta la storia dell’umanità: dalla fuga dei dinosauri durante la loro estinzione, al passaggio delle prime comunità tribali di nativi americani; dall’aver ospitato la tenuta di William Franklin (figlio di Benjamin Franklin) fino al XX secolo, con l’edificazione di una villetta il cui salotto diventa il fulcro dell’unica inquadratura di tutta la pellicola. In quel soggiorno si alternano diverse famiglie, ognuna con una storia unica fatta di momenti di felicità, grandi successi, cocenti delusioni e fallimenti.
Tra le vite osservate ci sono quelle di John Harter (interpretato da Gwilym Lee), un aviatore ossessionato dagli aeroplani, e di sua moglie Pauline (Michelle Dockery); oppure di Leo (David Fynn), l’inventore della poltrona reclinabile, e della modella pin-up Stella Beekman (Ophelia Lovibond), una coppia che abitò quel luogo negli anni ’40, durante la Seconda Guerra Mondiale; fino ad arrivare negli anni 2000 dove, nella lunga lista degli inquilini, si insediano Devon (Nicholas Pinnock) ed Helen Harris (Nikki Amuka-Bird) con la governante Raquel (Anya Marco Harris), la quale rimane vittima dell’epidemia da Covid-19.
La famiglia Young, una famiglia come le altre
La trama principale si concentra sulla storia della famiglia Young, composta da Al (Paul Bettany), un veterano di guerra, e sua moglie Rose (Kelly Reilly). La coppia ha tre figli: Richard (interpretato da Tom Hanks), Elizabeth (interpretata da tre attrici a seconda dell’età del personaggio: Leslie Zemeckis, Lauren McQueen e Beau Gadsdon) e Jimmy (interpretato da Albie Salter e Harry Marcus). Quando Richard, a 18 anni, mette incinta la sua fidanzata Margaret (Robin Wright), i due decidono di sposarsi e crescere la loro figlia Vanessa nella casa di famiglia. Questo evento spezza i delicati equilibri che regolavano la tranquillità della famiglia Young, dando vita a dinamiche che, in fondo, possono verificarsi in qualsiasi famiglia.
La forza di “Here“ (così come la sua debolezza) risiede nell’ordinarietà delle storie dei suoi personaggi, vicende semplici in cui chiunque può riconoscersi. I protagonisti che si avvicendano all’interno delle quattro mura, mostrate in una singola prospettiva, diventano quasi un complemento d’arredo rispetto al vero protagonista della pellicola: un luogo fisso nello spazio.
Rimanendo fedele allo spirito dell’opera originale di McGuire, la narrazione viene presentata in modo non lineare. Gran parte del peso della riuscita del film ricade sul montaggio, curato da Jesse Goldsmith, e, ovviamente, sulla regia di Zemeckis. Per rendere il film accessibile e scongiurare il rischio di disorientare lo spettatore, Goldsmith e Zemeckis hanno dovuto adottare dei compromessi: la narrazione è meno frammentata rispetto alla graphic novel di McGuire, con una storyline principale – quella della famiglia Young – mentre le altre vicende restano in secondo piano come semplici cornici. In fin dei conti, forse Richard McGuire non aveva tutti i torti…
Più forma che sostanza, ma ci si emoziona
La bellezza di “Here” risiede più nella sua forma innovativa che nella forza dei contenuti, pur offrendo alcuni elementi di grande valore che da soli giustificano il prezzo del biglietto. Tra questi spicca la recitazione fuori scala di Paul Bettany, un attore di grande talento già ammirato nei panni di Visione nell’universo Marvel.
“Here“ è un film da vedere, perché, pur presentando storie tutt’altro che originali (alcune delle quali sembrano inserite solo come riempitivo), si distingue come un’opera audace che sovverte le regole della narrazione cinematografica, riuscendo anche ad emozionarci con un finale carico di significati. Se cercate un film dalla trama inedita e toccante, probabilmente non fa per voi. Ma se volete immergervi in un’esperienza visiva esteticamente innovativa e fuori dagli schemi, allora il cinema li che vi aspetta.
“Here” è al cinema a partire dal 9 gennaio, distribuito da Eagle Pictures
Here
Regia: Robert Zemeckis
Anno: 2024
Paese: USA
Durata: 104 minuti
Distribuzione italiana: Eagle Pictures
Cast: Tom Hanks, Robin Wright, Paul Bettany Kelly Reilly Michelle Dockery
Stanco dal 1973. Ma cos'è un Nerd se non un'infanzia perseverante?
Amante dei supereroi sin dall'Editoriale Corno, accumula da anni comics in lingua originale e ne è lettore avido.
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