Continua l’avventura della Divina Congrega capitanata dal Sommo Poeta: nei volumi II e III (non a caso definiti “canti”) i nostri eroi si troveranno a fronteggiare nuovi pericoli e vivere nuove avventure. Riusciranno a tenerci incollati alle pagine? Scopritelo nella nostra recensione, senza spoiler
Era gennaio 2022 quando Bonelli ha lanciato un nuovo, avvincente fantasy di stampo letterario, La Divina Congrega – Canto I: La diritta via, di cui vi avevamo parlato qui.
Ora, a distanza di qualche tempo, sono disponibili i due nuovi capitoli della saga, rispettivamente il Canto II – Nella selva oscura e Canto III – Il furioso Orlando, in cui l’avventura continua.
Per chi si forse perso l’inizio, La Divina Congrega parte proprio dal viaggio di Dante che, privo del solito Virgilio, riesce a uscire dall’Inferno prima del previsto con una missione: evitare che le orde di dannati invadano la terra, dal momento che il regno di Lucifero non basta più a contenerli tutti.
Emerso dal cratere del Vesuvio oltre un secolo dopo il suo ingresso negli Inferi – dove il tempo, si sa, scorre diversamente – il Sommo mette insieme un improbabile gruppo di cavalieri il cui compito sarà fermare i piani di Lucifero.
L’idea di certo non è nuova: a riunire gli individui notevoli di un’epoca, reali o immaginari, ci aveva già pensato Alan Moore nella sua Lega degli Straordinari Gentlemen, e con un discreto successo.
Lasciati da parte Mina Murray da Dracula, Mr. Hyde, l’uomo invisibile di H.G. Wells, il Capitano Nemo e Allan Quatermain da Le miniere del re Salomone, stavolta sono eroi nostrani – perlopiù – ad affrontare viaggi e pericoli. Leonardo Da Vinci, Otello, Lorenzo de’ Medici, Circe, la Venere di Botticelli (Silvia) e Cristoforo Colombo, in barba a tutti i limiti di tempo e realtà, accompagnano infatti Dante nella sua impresa di fermare Lucifero, avvicinando di volta in volta il lettore all’arte, alla mitologia, alla letteratura.
E forse proprio in questo ho trovato il primo, grande difetto di quest’opera: il tentativo forzoso di far emergere le grandi opere a ogni passo, strizzando l’occhio neppure troppo velatamente al lettore, partendo dal presupposto che questi debba essere educato. Questa almeno è la percezione che danno gli spiegoni, quei pezzi di testo ampiamente impiegati in TV – ne fanno un grande uso soprattutto le soap opera – per spiegare letteralmente al pubblico cosa stia accadendo o cosa sia accaduto prima.
La massima show, don’t tell che guida molti grandi sceneggiatori, perlopiù statunitensi, qui non viene messa in pratica: c’è un dire, dire troppo, dire costantemente; un raccontare eccessivo che appesantisce l’avventura. Dopotutto, quanto è credibile che nel bel mezzo di un viaggio di eroi, qualcuno si fermi e dica apertamente “ora vi racconterò la tal cosa.”? Eppure Dante fa proprio questo, con una prosopopea che se si perdona al personaggio, non si perdona certo al testo.
Allo stesso modo, la necessità costante dei personaggi di apostrofarsi nell’uno o nell’altro modo appare ridondante: una volta che abbiamo chiarito chi è chi, non si comprende dove sia la necessità di ribadire l’ovvio. A meno che, certo, non si voglia sfruttare l’opera per rivelare dettagli sui personaggi che il lettore non conosce (si suppone).
E così, un fumetto che aveva tutte le carte in regola per essere una grandiosa opera fantasy, si sgonfia su se stesso man mano che avanza nei capitoli, concentrandosi più sulla forma che sul contenuto. Anche le battaglie finiscono con l’essere poco credibili: c’è fretta di concluderle senza farle “lievitare”, dopo una serie di piccole quest davvero troppo semplici per un gruppo tale.
Man mano che leggevo, in più di un caso ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a una narrazione di Dungeons & Dragons che, seppur ottima nella dimensione del gioco, non regge quando trasposta su un medium diverso. Le narrazioni di gioco sono spesso fatte per condurre da una quest all’altra, collezionando di volta in volta artefatti o conoscenze che serviranno a sconfiggere il boss finale, non certo per raccontare in sé e per sé.
La stessa natura strumentale che ho ritrovato in questo fumetto, a partire dai personaggi: la strega, Circe; la ladra, Silvia; il barbaro, Otello; il mago, Leonardo; il paladino, Lorenzo il Magnifico; il ranger, Colombo; e infine il bardo, Dante stesso. Tutto, dalle loro armi alle loro azioni, grida D&D. Il che tutto sommato non è un male: a quanto pare, il momento è propizio per lanciare un nuovo fantasy all’italiana, genere che sta conoscendo un interessante sviluppo, come racconta Fumettologica in questo articolo.
Tuttavia, l’impressione che resta in bocca è quella di un’occasione mancata, di un “si poteva fare di più”. I disegni, meravigliosi e appropriati, avrebbero potuto sostenere tranquillamente un’azione serrata e uno sviluppo articolato, mostrandoci molto di più di quanto non abbiano fatto le parole. Inoltre, per quanto sia comprensibile il tentativo di replicare una favella antica, forse si poteva spingere di meno: dopotutto, se non c’è verosimiglianza storica, che senso ha utilizzare un linguaggio così pesante per dare voce ai personaggi? Ed è davvero necessario anche mettere in bocca a Dante pezzi interi della Commedia? Un tantino autoreferenziale, senza dubbio.
Il lavoro del reparto grafico è stato invece mirabile: Giorgio Spalletta, Matteo Spirito e Francesco Segala azzeccano tratti e colori, dando all’Inferno un aspetto grottesco che ben si distacca dalla linearità della terra, e caratterizzando i personaggi a seconda del loro spirito. Perché dunque non osare di più e lasciar raccontare la storia a degli sguardi, dei movimenti del corpo, dei tentennamenti, dei modi di camminare?
Il verdetto finale è presto detto: un fumetto scorrevole, in fin dei conti gradevole, ma senza grandi pretese né grandi novità. Adatto forse a un pubblico che si avvicina al genere per la prima volta; meno a un pubblico che di piatti a base di fantasy e letteratura ne ha mangiati già un po’.
La Divina Congrega - Canti II e III
Alessio Petillo e Simone Pace (disegni)