Continua con cadenza (purtroppo) annuale la saga del PIANETA DEI MORTI, la realtà alternativa creata da Alessandro Bilotta per Dylan Dog: è infatti uscito LA GRANDE CONSOLAZIONE, nella collana Speciale n. 34. Ecco la nostra recensione
Nei numeri 2 e 10 della serie Dylan Dog Color Fest (collana ombrello che ospita storie dell’indagatore rivisitate e declinate dall’ottica di autori meno mainstream che nella serie regolare) rispettivamente nel 2008 e nel 2013, e poi sull’ora defunto Dylan Dog Gigante 22, sempre del 2013, Alessandro Bilotta creò questo mondo atipico dove l’intero pianeta è piagato da un’epidemia che ha portato alla proliferazione di morti viventi, epidemia che vede proprio in Groucho il paziente zero. L’altrove indagatore dell’incubo è ancora in polizia, ma la sostanza non cambia: attraverso le parole dello stesso creatore, la saga è stata ideata per immergere il protagonista in un mondo estremo così da fargli affrontare temi più profondi e vasti. La cosa paradossale è che proprio estrapolando Dylan Dog dal suo contesto abituale, Bilotta – autore raffinatissimo, insolito intellettuale e abilissimo tessitore di trame – è riuscito forse inconsapevolmente a catturare lo spirito non tanto (banalmente) iconoclasta del personaggio creato da Tiziano Sclavi, quanto fortemente legato a tematiche universali che partono da un contesto horror per slegarsene in maniera sottile e metaforica e parlarci invece di noi stessi a confronto con le nostre intimità più buie, immersi in un attualità sociale stingente quanto urgente. Perché seguendo la lezione primaria sclaviana (che forse neanche Recchioni ha capito fino in fondo) l’orrore più cupo si materializza più nei frequenti richiami alla realtà che nel sovrannaturale.
Proprio per il grande successo delle storie, Il Pianeta Dei Morti solo dopo quei tre episodi iniziali di cui sopra è diventata una vera e propria saga che ha trovato casa definitiva negli speciali annuali, proprio durante la ristrutturazione che Roberto Recchioni ha fatto del parco testate dylandoghiane, dando a ciascuna una propria specificità e identità. Appunto, caso ha voluto che Il Pianeta Dei Morti sia stata una delle migliori intuizioni, seconda (o forse no?) solo alla serie regolare: il merito è ovviamente di Bilotta, che va avanti per la sua strada profondamente autoriale in Bonelli dopo l’ottima esperienza di Walter Buio (per i tipi della Star Comics) continuando con quel piccolo gioiello inestimabile che è stato Mercurio Loi, e che con l’ultimo speciale in edicola, La Grande Consolazione, regala un ennesimo piccolo capolavoro.
Sarebbe un delitto svelare qualcosa della trama: considerando forse che ormai l’ambientazione atipica del Pianeta non è un segreto per nessuno, Alessandro cerca -e trova- un modo per continuare a tenere alta l’attenzione, per continuare a rendere la sua saga perturbante e straniante fin dall’inizio: è infatti dalle primissime, sorprendenti (ma non per quello che potete pensare) pagine che La Grande Consolazione si dimostra diverso da tutto quello che è passato finora su Dylan Dog, specialmente come presupposti narrativi. È ormai chiaro che Bilotta ami giocare con il metatesto, costruendo le sue trame come scatole cinesi di realtà e piani temporali, inserendo quindi il personaggio principale come perno attorno cui fare ruotare una narrazione concentrica. A questo si deve aggiungere poi l’incredibile mano di Carlo Ambrosini, che con il suo segno delicato e sfuggente si adatta alla perfezione ai testi ambigui ed enigmatici dell’autore del volume.
Come si diceva sopra, quello che accomuna il Dylan Dog di Sclavi e quello di Bilotta non è tanto il gioco fine a sé tesso del richiamo citazionista (se per Tiziano il gioco era sempre rivolto all’esterno, costruendo percorsi paralleli con la letteratura, il cinema, la musica, cercando così di arricchire il senso della vicenda principale: il Dylan della serie principale, quello di Recchioni, ha uno sguardo essenzialmente rivolto all’interno, interpretando le dinamiche autoreferenziali dei social) quanto un’ispirazione revisionista: anche nel Pianeta dei Morti infatti abbiamo sequenze omaggio ad altri media, ma sono sequenze memorabili che producono efficaci effetti di straniamento.
E su tutto, il tipico stile di Bilotta, esile ma fortissimo, apparentemente delicato ma in realtà profondissimo, che si posa sul racconto senza forzarne la natura ma innestando una naturale poesia dello sguardo e del significato.
Ed è per questo quindi che La Grande Consolatrice continua il percorso tracciato dalla saga principale, metaforizzando l’individuo che cerca di comprendere una realtà sfuggente, aggressiva e spietata. Senza scampo. Ma sempre con la speranza.
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