Abbiamo visto La Zona di Interesse, l’ultima pellicola del regista Jonathan Glazer candidata a cinque premi Oscar tra cui il riconoscimento per il “Miglior Film”. “La Zona D’Interesse” è un film che ci ha colpito il cuore e la mente con una raffica di emozioni contrastanti. Scopriamo assieme perché questo film è un capolavoro
Quando sono uscito dalla sala cinematografica dove hanno proiettato “La Zona di Interesse” ero letteralmente sconvolto. Sono tornato a casa lacerato da una raffica di emozioni contrastanti che mi hanno tolto il sonno. Avevo la necessità impellente di condividere le mie sensazioni a caldo con qualcuno. Ho impugnato lo smartphone e ho inviato un lungo vocale al direttore di MegaNerd. Ero in piena trance emotiva e in quel vocale ho riversato tutto il mio flusso di coscienza. Ho chiuso il mio soliloquio esprimendo un timore che sento ancora tangibile: «La mia paura è che se ne parli troppo poco di questo film». Il direttore ha colto in questa mia frase un’opportunità: «Ti stai candidando per una recensione?».
Ed eccoci qua, amici di MegaNerd. Vi confesso che non è mica facile scrivere una recensione lucida su “La Zona di Interesse”. Sono talmente tante le emozioni, gli spunti e le storie nelle storie che meritano di essere raccontate che serve fare mente locale e mettere ordine nel fiume in piena delle idee che stanno attraversando la mia mente. Dunque, cominciamo.
Sotto la pelle di Jonathan Glazer
Iniziamo parlando di Jonathan Glazer, il regista di questa formidabile pellicola. Britannico, nato da famiglia ebraica, Glazer vanta, a quasi 60 anni di età, solamente 3 lungometraggi da regista prima de “La Zona di Interesse” (“Sexy Beat – L’ultimo colpo della Bestia“, “Birth – Io sono Sean” e “Under the Skin“) e una lunga esperienza nel campo dei videoclip musicali (sua la regia su diversi video dei Massive Attack, Jamiroquai e Radiohead). A questo talentuoso regista britannico sono bastati solo 3 lungometraggi per imprimere in maniera inequivocabile la sua cifra stilistica. Le storie che Glazer ha raccontato sono sempre uscite fuori dalla nostra comfort zone perché sono incentrate in contesti dove l’empatia e le relazioni umane sono ridotte al minimo. Prendiamo ad esempio “Under the Skin“, film di fantascienza del 2013 ispirato dal buonissimo romanzo di Michel Faber dal titolo “Sotto la Pelle“.
La pellicola, che si discosta in maniera significativa dal romanzo, vede come protagonista una Scarlett Johansson appena reduce dal grande successo di “Avengers“. La Johansson interpreta un alieno sceso sulla Terra con l’obbiettivo di sterminare la razza umana. L’affascinate alieno diventa esca e oggetto del desiderio dei malcapitati uomini che ne vengono irrimediabilmente attratti (a buon ragione direi, come si può rimanere insensibili al fascino di Scarlett Johansson?) e che, una volta caduti in trappola, patiranno le pene di una morte lenta e dolorosa. “Under the Skin”, ambientato nella gelida e inospitale Scozia, mescola la fantascienza con il mito scozzese della Dama Verde, la Baobham Sith della mitologia celtica, la fata cattiva che seduce e poi, come una mantide religiosa, uccide il suo amante. Alcune sequenze sono state girate tenendo nascoste le telecamere e non tutti i membri del cast erano consapevoli di essere ripresi (infatti molte liberatorie non vennero firmate). La ricerca estenuante dell’autenticità e della naturalezza in una scena unita ad uno stile che predilige l’essenziale è una caratteristica costante nei lavori di Glazer che ritroviamo anche ne “La Zona di Interesse”. “Under the Skin” venne accolto malissimo da pubblico e critica. Solo parecchi anni dopo il film ha ottenuto una meritata riabilitazione, tanto che molti oggi lo considerano un vero e proprio cult movie.
Dopo oltre 10 anni da “Under the Skin”, Glazer torna dietro la macchina da presa per dirigere un film sulla shoah, una pellicola che Glazer non voleva fare. Si, avete capito bene, il regista britannico non aveva intenzione di girare “La Zona di Interesse”. Lo ritenne un film troppo cupo e violento per conviverci. Glazer non intravedeva alcun spiraglio di luce in una storia come questa e lui aveva bisogno di raccontare qualcosa di positivo, qualcosa pervaso da un bagliore di luce, cosa quasi completamente assente ne “La Zona di Interesse”. Anche il padre del regista britannico era della stessa idea: «forse sarebbe meglio far marcire il passato e fare qualcos’altro». Il bagliore di luce fece la sua comparsa durante l’incontro con una anziana partigiana polacca. L’anziana signora raccontò di come, da bambina durante la guerra, si prodigava nel raccogliere la frutta nelle campagne per poi nasconderla nel campo di concentramento di Auschwitz affinché i prigionieri potessero sfamarsi. «Un atto umano del tutto naturale» fu definito questo gesto dall’anziana partigiana. Una delle tante storie nella storia che dovevano essere raccontate.
La banalità del Male
Presentato al Festival di Cannes 2023, “La Zona di Interesse” si è aggiudicato il Gran Prix Speciale della Giuria, il premio più importante dopo la Palma D’Oro. AIla prossima notte degli Oscar, si presenta con 5 nominations tra cui quella per il “Miglior Film” e “Miglior Film Internazionale”. Il film rappresenta l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Martin Amis edito in Italia da Einaudi. La pellicola si discosta sensibilmente dalla trama imbastita dallo scrittore britannico in quanto il romanzo ha un piglio prettamente grottesco che calca la mano sulla ridicolaggine dell’ideologia nazista. La pellicola di Glazer trova invece forte ispirazione dall’autobiografia di Rudolf Höss dal titolo “Comandante ad Auschwitz“. Höss è stato il primo comandante del campo di sterminio di Auschwitz ed è tutt’oggi considerato uno dei massimi criminali mai esistiti. Höss scrisse la sua autobiografia mentre era recluso in un carcere di Cracovia per crimini contro l’umanità, in attesa della condanna a morte avvenuta il 16 aprile 1947 per impiccagione. Gli scritti di Höss denotano la personalità di un “individuo normale” che visse la sua vita equilibrando i doveri del buon padre di famiglia con la responsabilità derivante dall’incarico che gli era stato commissionato dal regime nazista . Questo aspetto viene ripreso quasi letteralmente da Glazer che, con il suo stile, riesce a mettere in scena in maniera magistrale il concetto di banalità del male, un pensiero che fu espresso dalla filosofa tedesca Hannah Arendt nel saggio “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme“. Secondo il pensiero della Arendt, maturato durante il processo a Adolf Eichmann, un gerarca nazista anch’egli condannato per genocidio, il male perpetrato dai tedeschi non era dovuto ad un’indole maligna ben radicata nell’anima ma da un’inconsapevolezza (più o meno totale) di cosa significassero le proprie azioni.
“La Zona d’Interesse” racconta la storia di Rudolf Höss (interpretato da Christian Friedel) e della sua famiglia. La quoditianità della famiglia Höss è quella di un’esistenza idilliaca che si svolge all’interno di una villa che ha l’aspetto di un piccolo paradiso terrestre. La tenuta di Höss comprende una piscina, un rigoglioso giardino, un vivaio da curare e un orto che da buoni frutti. A proteggere la privacy della famiglia Höss ci sono alte mure contornate dal filo spinato. Al di la del muro, immediatamente confinante, il campo di sterminio di Auschwitz. È questo lo scenario straniante che fa da location per tutta la durata del film. Glazer adotta una fotografia che calca la mano sulla luminosità degli ambienti: il cielo è blu terso, la vegetazione è rigogliosa, i ruscelli che attraversano la zona donano un senso di freschezza e di serenità. Il tutto è in forte contrasto con quello che avviene al di là del muro di cui, e qui sta il genio di Glazer, non vediamo assolutamente nulla. L’ossimoro messo in scena da Glazer fa si che l’orrore c’è , non lo vediamo ma lo ascoltiamo in maniera costante, senza sosta, per tutta la durata del film. Un accompagnamento senza soluzione di continuità di un sottofondo fatto di spari, urla e lo sfrido degli stivali in marcia. Il rumore perpetuo di una macchina, quella della morte, che è operativa giorno e notte.
Il “non vedere” non è una scelta stilistica casuale ma ha un preciso significato: la consapevolezza di non voler aprire gli occhi davanti agli orrori commessi oppure l’inconsapevolezza della proprie azioni maturata dall’imprinting prodotto dell’ideologia, la banalità del male di cui abbiamo parlato in precedenza. Allo spettatore rimane ampia libertà di metabolizzare e trasformare nella propria mente quei suoni agghiaccianti in immagini di morte.
Per rendere la scena più realistica, Glazer adotta le stesse tecniche utilizzate in “Under The Skin”. La casa della famiglia Höss, dove si svolge gran parte della storia, è stata disseminata da telecamere nascoste comandate da remoto. In questo modo gli attori avevano piena libertà di movimento all’interno della scena. Il tutto dona un’atmosfera da reality show che risulta perfettamente in linea con l’intento di raccontare “il normale” in uno scenario che tutto sembra tranne che canonico.
Tante storie nella Storia
“La Zona d’Interesse” è un concentrato di tante storie nella storia. I personaggi, ognuno a suo modo, razionalizza l’orrore che li circonda. Osserviamo quindi i comportamenti della signora Höss, interpretata dalla straordinaria Sandra Hüller, attrice che quest’anno stabilisce un piccolo record: ha recitato da attrice protagonista in due film che sono in nomination agli Oscar per il premio di “Miglior Film” (“La Zona di Interesse” e “Anatomia di una Caduta“). Il personaggio della Hüller è quello più malvagio della famiglia, quello che, nel momento in cui si prospetta l’ipotesi di un trasferimento per il marito, si oppone a questa idea chiosando con una delle battute più agghiaccianti di tutto il film: «Rudolf, per favore parla con qualcuno, questa è la vita che sognavamo da 17 anni !». In contrasto percepiamo un disagio latente che striscia tra i rimanenti componenti della famiglia: il figlio neonato che piange in continuazione, il figlio adolescente che si impone di non guardare quello che intravede dalla finestra, la figlia che soffre di sonnambulismo e la madre di Rudolf Höss che dapprima rimane estasiata da quel piccolo angolo di paradiso, poi fugge inorridita perché non sostiene la vista di ciò che avviene al di la del muro. In tutto questo circo c’è un lavoro straordinario fatto sulla psicologia dei personaggi: per i componenti della famiglia più giovani, quelli privi di una formazione adeguata e di una struttura emotivo\psicologica, è un atto dovuto e corretto “l’imporsi di non vedere”, perché quella è sempre stata la vita che hanno vissuto. Per la madre di Rudolf Höss, donna anziana e pertanto dalla formazione più strutturata, quella situazione diventa insostenibile.
Tra le tante storie nelle storie non può mancare, ovviamente, quella della bambina che nella notte dissemina la frutta ai confini del campo di concentramento, un momento del film che ha esplicita ispirazione dai racconti dell’anziana partigiana di cui abbiamo parlato all’inizio della recensione. Tutta questa sequenza viene ripresa da telecamere termiche mentre in sottofondo riecheggiano, in una macabra dicotomia, alcuni passaggi della favola di Hänsel e Gretel. L’effetto voluto è quello del realismo magico: osservare, come in una scena onirica, il negativo di una pellicola in cui tutto è buio e i volti risplendono con il massimo dell’illuminazione. Il “bagliore di luce” che ha convinto Glazer a girare questo film.
La colonna sonora svolge un ruolo fondamentale nel rendere più disturbante l’intera pellicola. L’accompagnamento elettronico di Mica Levi, compositrice britannica fedele a Jonathan Glazer (sua anche la colonna sonora di “Under the Skin”) , si accompagna perfettamente con la sua cacofonia e le sue distorsioni, a tutto il comparto sonoro, contribuendo a distillare angoscia. I primi 3 minuti della pellicola di buio totale accompagnati dalla overture della Levi fanno compiere allo spettatore un salto nel vuoto, come se si stesse entrando all’interno di una casa degli orrori di un Luna Park. Il conato di vomito finale di Rudolf Höss si aggiunge a questa cacofonia trasformando un fatto storico (è appurato che molti tedeschi si ammalarono a causa dei gas esalati dai forni crematori) all’unica metafora positiva di tutto il film: una forma di umanità repressa (ma che vive in ognuno di noi) che cerca, disperatamente, di salire in superficie.
Che la memoria rimanga viva
Il finale del film ci regala l’ultimo momento suggestivo e l’ennesimo pezzo di bravura di Jonathan Glazer. La mancanza di empatia e i gesti meccanici con i quali gli addetti alle pulizie curano quello che oggi è diventato un museo diventano un monito incredibile affinché la memoria rimanga viva e non si trasformi in banale retorica.
“La Zona d’interesse” è un film potentissimo perché racconta l’Olocausto da un punto di vista tutto nuovo: quello del carnefice. Sono sempre stato restio a utilizzare quella parolina magica, un po’ invadente, spesso usata a sproposito ma, come ho letto da qualche parte, non ho timore di smentita: “La Zona d’Interesse” è un capolavoro e andarlo a vedere diventa un dovere morale. Il timore è che di questo film se ne parlerà troppo poco.
“La Zona d’Interesse” è al cinema a partire dal 22 febbraio
La Zona d'Interesse
Sandra Hüller: Hedwig Höss
Christian Friedel: Rudolf Höss
Medusa Knopf: Elfriede
Daniel Holzberg: Gerhard Maurer
Sascha Maaz: Arthur Liebehenschel
Max Beck: Schwarzer
Wolfgang Lampl: Hans Burger
Ralph Herforth: Oswald Pohl
Freya Kreutzkam: Eleanor Pohl
Johann Karthaus: Klaus Höss
Luis Noah Witte: Hans-Jurgen Höss
Nele Ahrensmeier: Inge-Brigit Höss
Lilli Falk: Heidetraut Höss
Imogen Kogge: Linna Hensel
Medusa Knopf: Elfryda
Zuzanna Kobiela: Aniela
Shenja Lacher: Fritz Bracht
Rainer Haustein: Richard Glucks
Benjamin Utzerath: Fritz Sander
Thomas Neumann: Karl Prufer
Klaudiusz Kaufmann: Bischoff
Christine Schröder: Donna nel parco
Marie Rosa Tietjen: Amica di Hedwig
Antje Falk: Amica di Hedwig #2
Chiara Colizzi: Hedwig Höss
Francesco Pezzulli: Rudolf Höss
Paola Majano: Elfriede
Luca Biagini: Oswald Pohl
Adriano Venditti: Klaus Höss
Alberto Pilara: Hans-Jurgen Höss
Greta Fronzi: Inge-Brigit Höss
Bianca Demofonti: Inge-Brigit Höss
Liliana Sorrentino: Linna Hensel
Luisa Paradiso: Aniela
Alberto Bognanni: Fritz Bracht
Roberto Pedicini: Richard Glucks
Massimiliano Plinio: Fritz Sander
Riccardo Polizzy Carbonelli: Karl Prufer
Massimo Triggiani: Bischoff
Alessandra Chiari: Donna nel parco
Emilia Costa: Amica di Hedwig
Mirta Pepe: Amica di Hedwig #2