A tre anni di distanza dal suo lavoro precedente, Nope, diretto da Jordan Peele, mette un attimo da parte i connotati sociopolitici caretteristici del regista, dimostrandosi una pregevole pellicola fantascientifica con una forte sferzata alla supponenza del essere umano
Sin dalla sua prima opera Scappa – Get Out (che nel 2018 gli valse l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale) il regista e comico Jordan Peele si è sempre contraddistinto per la sua cinica contestazione alla società statunitense. Mentre in Get Out questa si focalizzava sull’ ipocrisia e la malcelata (ma mai scomparsa) intolleranza che ancora alberga in buona parte della comunità anglosassone americana nei confronti delle altre etnie (qui in particolare verso gli afroamericani), nel suo secondo film, Noi, Peele aggiunge ad essa un’ulteriore attacco (forse meno riuscito) verso il tentativo di controllo di massa da parte dei governi. Ora, con la sue terza pellicola, Nope (uscita in Italia l’11 Agosto), il regista ha deciso di lasciare in secondo piano i sopracitati temi, realizzando una pellicola forse non brillantissima nella sua prima parte, ma che si redime molto bene nella seconda.
Otis Jr. “O.J” Haywood (Daniel Kaluuya, che torna a lavorare con Peele dopo Get Out) e sua sorella Emerald “Em” (Keke Palmer, vista al fianco di Jennifer Lopez in Hustler) gestiscono assieme un allevamento di cavalli per produzioni cinematografiche in California, ricevuto in eredità dal padre Otis Sr. (Keith David) morto pochi mesi prima in un misterioso incidente dovuto apparentemente ad una caduta di oggetti da un aereo. Ai contrasti tra i due, dovuti ad incomprensioni e gelosie passate, si unisce la difficoltà finanziaria in cui versa il ranch, tanto da far meditare i fratelli di vendere il posto all’arrogante Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun, il Glenn Rhee di The Walking Dead), ex attore bambino ora gestore di un parco divertimenti a tema Western. Una notte, mentre il ranch viene colpito da un blackout, uscendo ad indagare scorgono tra le nuvole una sagoma scura, che ricorda un disco volante, rapire alcuni dei cavalli per poi sparire. Attratti dalla fama e dal guadagno che questa storia potrebbe donare loro, i due fratelli atrezzano la loro proprietà con telecamere digitali per riuscire a documentare l’esistenza del misterioso oggetto, ma ciò con cui entreranno in contatto si rivelerà ben diverso e più pericoloso di quanto credono.
Mentre, come già detto in precedenza, le tematiche sociali tipiche di Peele si trovano più sullo sfondo in questa pellicola (ad esempio nelle scene riguardanti la famosa sequenza fotografica Garder at a Gallop di E. Muybridge, del cui fantino raffigurato nelle foto i protagonisti si proclamano discendenti), qui il film si può facilmente dividere in due parti distinguibili dal argomento affrontato: nella prima il regista si cimenta nei classici stilemi del film fantascientifico a tema UFO, tuttavia la storia qui risulta piuttosto lenta e già vista, al punto da ricordare per certi versi il disastrato Signs di M. Night Shyamalan, sebbene a livello di scrittura e recitazione il livello sia ben più alto di quello della pellicola del 2002 diretta dal regista indiano.
La seconda parte, invece, si mostra come una critica, molto riuscita, alla tracotanza dell’uomo nei confronti della natura e, in particolare, di quegli animali notoriamente pericolosi (come orsi, tigri e cosi via) che egli ancora si ostina a rinchiudere e cercare di trasformare in attrazioni per circhi e film, dimenticandosi che il loro istinto naturale può riaffiorare in qualunque momento, mettendo in pericolo se stesso e chi gli sta intorno. Casi del genere, di cui la cronaca è purtroppo piena (vedasi l’incidente occorso ai famosi prestigiatori Sigfried e Roy, menzionati nel film), vengono qui rappresentati dal passato di Jupe, sopravvissuto ad un evento simile durante delle riprese. Degne di nota anche le sequenze di “caccia” dove Peele mostra una forte influenza (peraltro dichiarata) a film come Lo Squalo di Steven Spielberg.
Parlando dei personaggi , i protagonisti, nella loro differenza di caratteri, funzionano molto bene come coppia, seppur in maniera molto classica e non particolarmente originale. Al carettere di O.J, responsabile ed estremamente devoto all’attività lasciatigli dal padre, si contrappone quello di Em, molto più insofferente e ribelle, nonchè ancora scossa da un certo rancore ed invidia per il rapporto più stretto del genitore con il fratello. A dispetto degli attriti, l’affetto che vi è tra i due è comunque ben visibile nel corso del film. L’antagonista Jupe, seppur non particolarmente approfondito, svolge perfettamente il suo ruolo di incarnazione della superbia umana, sia tramite gli eventi a cui ha assistito da bambino, che dalle azioni messe in atto per portare al successo la sua attività e che saranno la rovina sua e della sua famiglia, dimostrando anche una forte recidività e ottusità nel non voler imparare dal passato. Per quanto riguarda i comprimari, se da un lato abbiamo l’abbastanza anonimo Angel di Brandon Perea (poco più che una buona spalla comica) dall’altro abbiamo il fotografo Antlers Holst (Michael Wincott, il Top Dollar de Il Corvo), eccentrico e costantemente impegnato nella caccia ossessiva del soggetto perfetto, ricordando quasi un capitano Quint con una cinepresa a sostituire il fucile.
Superata la salita rappresantata dalla piuttosto anonima prima parte, Nope si rivela una più che buona pellicola di fantascienza, che ha nel suo punto forte l’attacco (piuttosto importante) verso la presunzione umana di poter controllare e assoggettare forze che spesso non si comprendono, finendo così per danneggiare soprattutto se stessi, con l’aggravante della tendenza a non voler imparare la lezione.
Nope
Keke Palmer
Steven Yeun
Michael Wincott
Brandon Perea
Wrenn Schmidt
Barbie Ferreira
Keith David