Abbiamo visto in anteprima “Oppenheimer“, dodicesima pellicola del regista visionario Christopher Nolan. Queste sono le nostre impressioni.
«Prometeo donò il fuoco agli uomini di nascosto a Zeus. Quando lo venne a sapere, Zeus ordinò ad Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo nel Caucaso, che è un monte della Scizia. Per molti anni Prometeo rimase inchiodato al monte e ogni giorno un’aquila volava a divorargli i lobi del fegato, che gli ricrescevano durante la notte»
Le parole di Apollodoro di Atene e la mitologia di Prometeo rappresentano il paragone perfetto quando si vuole raccontare la storia di Robert J. Oppenheimer, il fisico teorico che, grazie alle sue conoscenze nel campo della meccaninca quantistica, diede un contributo fondamentale per la costruzione della prima bomba atomica. Come un moderno Prometeo, il fisico statunitense sedette a capo del Progetto Manhattan, il programma di ricerca e sviluppo che durante la seconda guerra mondiale raccolse in una landa sperduta del New Mexico i migliori scenziati del mondo allo scopo di progettare l’arma definitiva, l’ordigno che avrebbe sancito la parola fine al conflitto mondiale, il segno di interpunzione di un’epoca piena di follia e dolore. Una comunità di menti meravigliose (tra i nomi più noti Enrico Fermi, Leo Szilard, Ernest Lawrence) che, animati da un rancore sincero nei confronti del nazismo, compresero i segreti dell’atomo e dotarano l’umanità dell’arma divina. Come un moderno Prometeo, Robert J. Oppenheimer fu in seguito inchiodato di fronte a presunte responsabilità sulla sua vicinanza alla Russia e alla ideologia comunista.
Per raccontare la storia di Robert J. Oppenheimer, Christopher Nolan (alla sua dodicesima pellicola da regista), attinge alla mitologia greca e durante tutte le meravigliose 3 ore del film fa uso ricorrente del simbolismo per enfatizzare le analogie tra il fisico di New York e il Titano «amico dell’uomo e del progresso». La storia di Oppenheimer è una storia di genio e risolutezza, di caparbietà e rinunce, ma anche di debolezze e della crisi di coscienza che spinse il fisico americano a rifiutare lo sviluppo del progetto che avrebbe portato alla bomba ad idrogeno (un ordigno che si supponeva essere mille volte più potente della bomba a fissione nucleare che fu sganciata su Hiroshima e Nagasaki) e ad ammonire il governo degli Stati Uniti sull’opportunità di proseguire con il progetto di armamento nucleare. Infine, è la storia di un’inchiesta umiliante, orchestrata in maniera subdola da Lewis Strauss (il Presidente della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti) che, per un mero impulso di rivalsa personale e facendo leva sulla presunta vicinanza di Oppenheimer al Partito Comunista, cercò di distruggere l’immagine del fisico facendone una delle vittime più illustri del maccartismo.
“Oppenheimer” è tratto da “Oppenheimer – Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica“, un testo di quasi mille pagine scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin. Un tomo che attinge a centinaia di documenti privati e alla testimonianza di oltre trecento persone, amici e conoscenze di Oppenheimer. Un libro la cui stesura ha richiesto oltre 25 anni di ricerche matte e appassionate e che oggi rappresenta la più esaustiva e completa biografia del fisico teorico americano. Un’opera che è valsa il premio Pulitzer agli autori.
I tre atti della narrazione sono abbastanza evidenti sebbene Nolan, come da tradizione, si diverte a mostrare i fatti senza seguire la linearità degli eventi ma, come un puzzle, ci mostra un tassello alla volta invitando il pubblico a ricostruire la vista di insieme.
Crescita e Formazione
«Ma dimmi, che cosa c’entra la politica con la verità, la bontà e la bellezza ?»
Il primo atto è quella della crescita e formazione. Probabilmente è la parte della storia meno sviluppata di tutta la pellicola in quanto, per necessità di sintesi, vengono condensati alcuni elementi fondamentali e utili a capire la personalità di Oppenheimer. Fortunatamente l’esercizio di sintesi operato da Nolan non pregiudica la resa generale della pellicola.
Robert Oppenheimer era figlio di un facoltoso ebreo tedesco emigrato negli Stati Uniti e di una statunitense (con origini tedesche ed ebraiche) esperta d’arte. Estro e intelletto non mancavano in casa Oppenheimer come pure, e non fa mai male, una buona quantità di soldi. In un contesto piuttosto agiato (non era difficile trovare un Picasso o un Van Gogh appeso tra le mura di casa Oppenheimer) il Nostro ha potuto sviluppare il suo libero pensiero che lo ha portato ad innamorarsi della scienza e allo stesso modo dell’arte, delle lingue e della religione. Il suo stato di benestante gli ha consentito di partecipare in maniera attiva a diverse cause, quali aiutare i fisici in fuga dalla Germania nazista oppure sostenere diverse riforme sociali facendo donazioni a favore cause progressiste che lo hanno avvicinato in maniera ineluttabile a idee di stampo comunista, sebbene si sia sempre preoccupato di non far parte formalmente di alcun partito. Una personalità eccentrica, spesso disturbata (viene mostrato anche l’episodio in cui Oppenheimer compie un tentativo di omicidio nei confronti del suo tutore mediante una mela intrisa di cianuro di potassio), una fonte inesauribile di conoscenza che rendeva molto complicato, a chi lo conosceva, ogni tentativo di sostenere una discussione. Caratteristica, questa, che lo rendeva estremamente affascinante agli occhi delle donne.
Tra le tante, attratte dalla personalità di Oppenheimer, spicca la personalità di Jean Tatlock, una psichiatra con una mente altrettanto disturbata da richiedere per lei stessa una cura psichiatrica. Il rapporto tra Oppenheimer e la Tatlock è morboso e viene rappresentato in maniera efficace con scene di sesso che lasciano poco spazio ai sentimenti. La Tatalock viene rappresentata come una mantide religiosa che conquista la preda con il suo irresistibile fascino e poi la divora dopo l’accoppiamento. La mente instabile di Jean Tatlock (e la conseguente discesa verso il baratro) non ha compromesso il valore che Oppenheimer diede a questo rapporto, probabilmente il più importante e intenso della sua vita. Un rapporto che lo ha portato a sfidare i rigidi protocolli di sicurezza di Los Alamos, alimentando cospirazioni e congetture di collaborazioni con il Partito Comunista (la Tatlock era un’attivista e iscritta la partito).
Poi venne la relazione con Katherine “Kitty” Puening, una biologa americana di origini tedesche, donna ben più forte e stabile di Jean Tatlock. Peccato che l’importanza e lo spazio riservato a questa figura essenziale nella vita di Oppenheimer sembra essere sacrificato e si riscatta solo con un guizzo nel finale, durante l’inchiesta derivante dalle macchinazioni di Edward Teller (fisico ungherese e fautore del progetto che avrebbe condotto alla bomba a idrogeno) e Lewis Strauss che, come già detto, ebbe un ruolo fondamentale nella vita di Robert Oppenheimer.
Il Progetto Manhattan
«Sono diventato Morte. Il distruttore di Mondi»
Il secondo atto è decisamente quello più avvincente: il periodo di Los Alamos e la creazione della bomba atomica.
Robert Oppenheimer viene messo alla direzione scientifica del Progetto Manhattan sotto la direzione militare del generale Leslie Groves, un uomo tutto di un pezzo che si distinse durante la guerra per l’impegno di carattere ingegneristico finalizzato alla costruzione di campi, impianti di munizioni, aeroporti, depositi e, addirittura, il Pentagono. La scelta di Oppenheimer per il ruolo di coordinatore scientifico del progetto Manhattan, supportata dal seppur rigido generale Groves, fu fatta contro ogni logica razionale, se non quella di sfruttare la sua competenze e la sua mente: un libero pensatore affine a idee comuniste, un accademico a capo di un team composto da premi Nobel, un brillante fisico teorico ma assolutamente inadeguato nell’applicazione pratica delle teorie in un contesto in cui era necessario trasformare la teoria in qualcosa di estremamente concreto. Per citare le parole del generale Groves, «Oppenheimer non sarebbe stato in grado nemmeno di gestire il chiosco degli hot dog».
Il Progetto Manhattan si sviluppò in due lunghissimi anni, un impegno per oltre due miliardi di dollari di investimento, la costruzione di una vera e propria comunità nel deserto di Los Alamos (con tanto di scuole e chiese per i famigliari degli scienziati che vi risidedevano).
È in questa fase centrale della pellicola che emergono tutti i tratti distintivi dello stile di Christopher Nolan: la brulla e imponente location del New Mexico che diventa maestosa grazie alle suggestive riprese su pellicola IMAX a 70mm, la riproduzione incredibilmente fedele dell’area abitativa che ha costituito luogo nevralgico del Progetto Manhattan, la crescita esponenziale del livello di tensione ritmata da un’incessante colonna sonora composta da Ludwing Goransson, alla sua seconda collaborazione con Nolan dopo “Tenet“, e il trascorrere ineluttabile del tempo, vera e propria ossessione del regista inglese. Il secondo atto si chiude con la sequenza che rappresenta il climax del film, una sequenza destinata a rimanere nell’immaginario collettivo di tutti gli amanti del cinema: il test nucleare denominato “Trinity”, la prima detonazione di un’arma nucleare della storia. Questa scena è costruita ad arte, coadiuvata dagli archi di una colonna sonora straordinaria, incessante, cacofonica, urlata alle orecchie dello spettatore. Le inquadrature spaziano dai primi piani dei protagonisti alle riprese aeree nel luogo dell’esplosione. Abbiamo assistito a questa scena ansimando allo stesso modo degli artefici dell’esperimento come se stesse per esplodere la sala cinematografica. Siamo rimasti incollati sulla poltrona del cinema che ci ha ospitato affondando le unghie (o quello che ne è rimasto) sui braccioli. Abbiamo stretto gli occhi quando il suono imperante dell’accompagnamento sonoro ci ha portato al fatidico “zero”. Poi il punto di non ritorno. Una reazione a catena controllata che, da quel momento, diventa incontrollata agli occhi dell’umanità.
La caduta e la riabilitazione
«Immaginiamo un futuro e le nostre fantasie ci fanno orrore. Non lo temeranno finché non lo capiranno. E non lo capiranno finché non lo avranno usato.»
Il terzo atto è quella della caduta e della parziale riabilitazione: l’inchiesta che ha visto Oppenheimer doversi difendere da accuse infamanti, specchio di un atteggiamento, quello del maccartismo, caratterizzato dalla repressione di tutte quelle influenti figure ritenute filo comuniste e quindi sovversive. Una caccia alle streghe che non ha risparmiato nemmeno Robert Oppenheimer, figura divenuta di spicco tanto da conquistarsi la copertina di riviste simbolo come il “Time” oppure “Life“. Il terzo atto ha il difetto di arrivare dopo un climax che, a nostro modo di vedere, giunge troppo in anticipo, ma ha il grande pregio di mettere al centro della narrazione Lewis Strauss, uno dei più importati consiglieri americani per l’energia atomica. Il dualismo “Oppenheimer vs Strauss” (versione in salsa scientifica di “Mozart vs Salieri”) si sviluppa a colpi di accuse e arringhe difensive, rendendo la fase finale della pellicola eccessivamente verbosa (se si confronta con “Dunkirk“, uno dei film di Nolan più riusciti, dove la narrazione è spesso lasciata al succedersi delle immagini). Nel ring visionario di Nolan, il regista inglese sfrutta i cromatismi per contrapporre queste due ingombranti figure. Vediamo le sequenze a colori che mostrano il punto di vista di Oppenheimer e quelle in bianco e nero che mostrano quello di Strauss. La storia è nota: grazie alla comunità scientifica (con Einstein a capo, il quale è protagonista di uno dei momenti più toccanti del film) e ad una ferrea difesa del suo entourage (con il ruolo determinante giocato dalla moglie Kitty) che Robert Oppenheimer venne riabilitato agli occhi del mondo.
L’apparato produttivo di “Oppenheimer” è veramente fuori scala. Il cast che ha a disposizione Nolan non è stato mai così ricco nella storia cinematografica del regista inglese. Sotto il cappello a falda larga di Robert Oppenheimer si cela il volto emaciato dagli occhi di ghiaccio di Cillian Murphy. L’attore irlandese, un fedelissimo di Christoper Nolan (già visto in “Inception“, “Dunkirk” e nel ruolo dello Spaventapasseri nella trilogia di Batman) e al suo primo, vero ruolo da protagonista. Nolan gioca tantissimo sui primi piani di Murphy come a volergli entrare nella mente per rendere la narrazione in prima persona. L’attore irlandese è bravissimo a conquistare la presenza scenica, sebbene con una prestanza fisica ridotta ai minimi termini, con il solo utilizzo delle espressioni del volto.
Florence Pugh, attrice britannica già vista in “Piccole Donne” (dove ottenne una candidatura all’Oscar) e nei panni di Yelena Belova in “Black Widow“, è una Jean Tatlock assolutamente centrata. La Pugh sfrutta il suo corpo e una recitazione ricca di sfumature torbide per portarci a schermo una performance attoriale di alto livello, seppur limitata nel timing. La recitazione della Pugh rischia di essere ricordata esclusivamente per la famosa scena di sesso di cui si parla troppo spesso in questi giorni. È un vero peccato perchè se avrete modo di approfondire la storia di Jean Tatlock capirete che la rappresentazione che ne fa l’attrice britannica è la migliore possibile.
Infine vorremmo soffermarci sulla performance recitativa di Robert Downey Jr. nella parte di Lewis Strauss. L’attore e produttore americano sveste i panni di Tony Stark e mette in cantina l’armatura di Iron Man per regalarci la migliore interpretazione della sua carriera. Downey Jr. ruba letteralmente la scena (sopratutto nel terzo atto), impreziosendo tutta la pellicola e consegnando alla storia del cinema una recitazione da premio Oscar.
Completano il cast Matt Damon nella parte del generale Leslie Groves (brillante lo scambio di battute con Oppenheimer durante il periodo di Los Alamos), Emily Blunt nella parte di Kitty Oppenheimer (troppo sacrificato il suo ruolo, eppure la moglie di Oppenheimer ebbe un ruolo fondamentale nella vita del fisico teorico americano) e le veloci apparizioni di Rami Malek (David L. Hill) e Kenneth Branagh (altro fedelissimo di Nolan, nella parte del carismatico fisico danese Niels Bohr).
Con “Oppenheimer“, Nolan dimostra di essere molto più a suo agio con i racconti storico-biografici (vedi “Dunkirk“, altro gioiello della produzione del regista inglese) che con le storie action (vedi il cervellotico e deludente “Tenet“).
“Oppenheimer” è probabilmente il miglior film di Christopher Nolan e sicuramente il miglior film dell’anno. Una pellicola destinata a lasciare una traccia indelebile nelle storia del cinema e una sequenza (quella dell’esperimento Trinity) che rimarrà come immagine iconica di tutti gli appassionati della settima arte.
“Oppenheimer” è in sala a partire dal 23 Agosto 2023.
Oppenheimer
Cillian Murphy: Robert Oppenheimer
Emily Blunt: Katherine "Kitty" Oppenheimer
Matt Damon: Leslie Groves
Robert Downey Jr.: Lewis Strauss
Florence Pugh: Jean Tatlock
Josh Hartnett: Ernest Lawrence
Casey Affleck: Boris Pash
Rami Malek: David Hill
Kenneth Branagh: Niels Bohr
Benny Safdie: Edward Teller
Jack Quaid: Richard Feynman
Josh Peck: Kenneth Bainbridge
Devon Bostick: Seth Neddermeyer
Dylan Arnold: Frank Oppenheimer
Gustaf Skarsgård: Hans Bethe
David Krumholtz: Isidor Isaac Rabi
Matthew Modine: Vannevar Bush
David Dastmalchian: William L. Borden
Tony Goldwyn: Gordon Gray
Tom Conti: Albert Einstein
Gary Oldman: Harry S. Truman