Esce il 23 dicembre Phantom Stalker Woman, il volume unico di Minetaro Mochizuki pubblicato da Edizioni Star Comics nella collana Umami. Un’opera che ha fatto la storia dell’horror a fumetti, riproposto dopo ben diciotto anni ai lettori italiani
Minetaro Mochizuki è un Autore che non smette mai di stupire grazie alla sua capacità di spaziare fra diversi generi (Dragon Head, Tokyo kaido, Chiisakobe, L’isola dei cani). Ma è proprio con l’horror che lo abbiamo iniziato a conoscere, quando Edizioni Star Comics pubblicò nel 2002, Phantom Stalker Woman, un volume unico composto da undici capitoli che busseranno insistentemente alla vostre tempie, esattamente come sta per accadere a Hiroshi Mori, lo sfortunato protagonista di questa storia.
Era il 1993 quando Mochizuki pubblicò per la prima volta la storia di un’inquietante donna prendendo spunto da una leggenda urbana che la volle prima sfigurata, e poi brutalmente uccisa dal proprio uomo, con l’accusa di essere stata vanitosa e infedele. L’uomo le avrebbe tagliato la bocca da un orecchio all’altro e ora lei continua ad andare in giro chiedendo ai passanti se la trovano bella, per poi ucciderli senza pietà.
Phantom Stalker Woman, come suggerisce lo stesso titolo, ci introduce a un racconto meno shalter e più votato all’horror psicologico. Le storie incredibili a sfondo orrorifico che fanno parte del folklore, e che vengono credute quasi a prescindere, hanno alimentato gli incubi di tutti noi, fino a convincerci della loro verità; almeno quando è scesa la notte e siamo soli al buio.
A Phantom Stalker Woman c’è sicuramente da riconoscerne la carica innovativa. Non dimentichiamoci che era il 1993 quando il volume fece la sua comparsa in Giappone. Gli anni Novanta hanno segnato un ritorno con il botto del genere urban legend, sia nella letteratura che al cinema. Una cosa che ci ha insegnato questo filone è che lo spettatore è chiamato a interrogarsi su chi sarà la prossima vittima di quella che si credeva solo una leggenda. Il patto che Mochizuki stringe con il lettore è immediatamente sugellato dalla comparsa di una certezza del genere. Qualcuno morirà senza una ragione apparente. Hiroshi Mori, studente universitario, è nel suo monolocale quando sente insistentemente bussare alla porta del suo vicino Yamamoto.
Mori infine spazientito va a vedere chi è sull’uscio del vicino. C’è una donna molto alta, capelli neri lunghi e ispidi, avvolta in un impermeabile e con ai piedi delle scarpe consunte; porta con sé una busta di carta e cerca Yamamoto. Mori prova a convincerla che il ragazzo probabilmente è assente, forse partito ma lei continua incessantemente a battere sulla porta, sino a smettere all’improvviso. Quando giunge nuovamente la notte, la donna torna ma questa volta sembra interessata in modo ossessivo a Mori.
Anche se fin dalle prime tavole sono evidenti i segni della deriva patologica che andrà a delinearsi, inizia un’appassionante caccia che sfinisce la mente e che colpisce chiunque si frapponga tra i due protagonisti. La trama segue il canonico percorso di caduta nell’incubo con le iniziali spinte a voler fornire spiegazioni razionali, anche quando ciò è impossibile, sino all’inevitabile rassegnazione (quasi accettazione) che il peggio accadrà. Non sappiamo quando, ma succederà. Il tempo scorre su due binari paralleli. Yamamoto non è a casa, da quanto tempo è assente? Notte, giorno, e più giorni e più notti. Quanto tempo è trascorso da quando è iniziata l’angoscia di Mori? Ritrovarsi estranei al contesto in cui si è costretti; in questo Mochizuki ha tanto da insegnare.
Lontano da qualsiasi idea di normalità, una donna ossessiva e ossessionata ci trascina in un loop infernale, effetto esteticamente amplificato dalla bravura estetica di Mochizuki che le allunga e piega il collo come se fosse un Rokurokubi; che le sforma il viso nei primissimi piani.
Il protagonista è sia vivo che morto, e il suo disfacimento psichico è sia reale che non. Phantom Stalker Woman vuole condurvi in episodi sì realistici ma che non vi svelano fino in fondo se siano, per converso, reali.
D’altronde il bello delle leggende metropolitane è proprio questo, no?
Un racconto autoconclusivo che ha saputo affrontare, in tempi non sospetti, un argomento molto attuale.
Un graditissimo ritorno impreziosito da un’ottima edizione con splendide pagine a colori. E Yamamoto? Secondo voi, alla fine, è tornato nel suo appartamento?
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