La storia ci ha insegnato che le trasposizioni cinematografiche o televisive di romanzi molto apprezzati, in realtà, spesso si rivelano per quello che sono: disastrosi capitomboli. Ripley, miniserie targata Netflix, potrebbe essere una delle rare eccezioni. Parliamone insieme e scopriamo qualche dettaglio in più.
Partiamo da un presupposto fondamentale, e non per essere spinoso, ma per dare un ulteriore senso a questa recensione: “Il talento di Mr. Ripley” è uno dei miei romanzi preferiti in assoluto: lo stile di scrittura elegante e figlio di altri tempi, un gusto descrittivo sopraffino da parte dell’autrice, un intreccio ben pensato e ben riuscito, una vicenda che non lascia spazio nemmeno al respiro.
Partire da un amore così viscerale per un romanzo quando si deve valutare una trasposizione può essere molto, molto pericoloso, ma soprattutto molto, molto alienante.
Devo essere sincero, le mie vibes su Ripley erano buone già in partenza; sarà per la scelta estetica e registica di rendere l’intera serie in bianco e nero, o per la presenza di Andrew Scott nei panni di Tom Ripley, attore che stimo fin dai tempi di Sherlock e del suo modernamente perverso Moriarty.
Cari signori, resto comunque sorpreso: la serie potrebbe non aver sbagliato niente.
TRAMA
Per chiunque abbia letto il romanzo della Highsmith non dirò nulla di nuovo, ai novizi darò una breve infarinatura.
Tom Ripley è un delinquente Newyorkese di bassa tacca che sbarca il lunario come può, tra una truffa di qua e una frode di là. Un giorno viene avvicinato da Mr. Greenleaf, facoltoso imprenditore con un incarico speciale per lui: partire per una spedizione in Italia e convincere Richard, primogenito scapestrato e finto artista, a tornare in America dopo lunghi mesi di assenza.
Ripley, che ne sa una più del diavolo, ha un’illuminazione immediata: dopo aver accettato l’insolito incarico, partirà alla volta di Atrani (Mongibello nel romanzo), vicino Napoli, ed entrerà nelle grazie del giovane Richard “Dikie” Greenleaf, artistoide senza talento che ha deciso di sperperare il patrimonio di famiglia inseguendo fittizie passioni come la scrittura e la pittura, espressione artistica in cui risulta essere particolarmente negato.
Da questo punto in poi, parte una trama intricata e lunga chilometri e chilometri; una tela fatta di gelosie, ossessioni, rancori, omicidi, sostituzioni di persona e viaggi al cardiopalma.
LA MINISERIE
Otto episodi da circa un’ora l’uno, questa è la formula messa in campo per rendere Ripley al meglio. Scelta azzeccata, perchè realizzare una serie chilometrica e prolissa non avrebbe aiutato, complici i ritmi narrativi che nonostante la cornice molto noir e thriller rimangono sempre piuttosto bassi.
Se l’accenno di base alla trama promette azione e inseguimenti rocamboleschi, disabituate subito il vostro cervello a quest’idea: Ripley è tenuto in piedi da ritmi lenti, lenti ed eleganti.
L’intera miniserie deve una buona dose del proprio successo allo smisurato gusto per l’estetica del regista, Steven Zaillian, che potremmo quasi definire (solo per l’occasione) una versione ridotta e “noirizzata” di Quentin Tarantino. No, non sono impazzito, e sono certo che chiunque abbia visto la serie capirà a che cosa io mi stia riferendo. Nell’arco degli otto episodi, giusto per capirci, siamo spesso testimoni di lunghe sequenze (spesso silenziose) in cui il protagonista è chiamato a compiere atti meccanici e ripetitivi (togliere il cappuccio alla stilografica, pulire una macchia di sangue dal pavimento, sfogliare un libro di pittura) che vengono mostrati con un’ossessione e una precisione molto vicini al feticismo.
Risultato? Lo spettatore non scolla gli occhi dallo schermo, ne vuole ancora, spera con tutto il cuore che Tom Ripley tiri fuori di nuovo la stilografica per toglierne il cappuccio e fare un’elegante firma con una calligrafia svolazzante. Questo è il feticismo visivo di Ripley, pienamente in grado di prendere il timone della miniserie fin dal primo episodio e di reggerlo forte per le mani fino alla fine.
E non fraintendete, i momenti in cui si trattiene il fiato ci sono, e sono tanti, degni di un’altra menzione d’onore. Anche queste fasi sono tenute magistralmente in piedi da un ritmo mai accelerato, da una cura maniacale per ogni singolo dettaglio e per ogni inquadratura, che si porta sulle spalle un significato visivo e iconografico mai lasciato al caso.
Ripley è pieno fino all’orlo di ispirazione artistica, soprattutto pittorica: i richiami a Caravaggio si sprecano, sia per quanto riguarda la trama, in cui viene tessuto un parallelismo molto interessante tra Ripley e il pittore Italiano, sia da un punto di vista visivo. In tante scene, infatti, Zaillian, spesso senza farsi scoprire, ricrea alcune situazioni tipiche dei quadri del Caravaggio, ma soprattutto ne ricrea in modo compulsivo i giochi di luce e ombra, tratto che ha reso unico e innovativo il pittore ai tempi che furono.
Le ambientazioni principali, ovviamente, si prestano magnificamente a questo gioco artistico: il golfo di Napoli, Roma e Venezia sono il palcoscenico ideale per una messa in scena così impattante da un punto di vista visivo.
Risultato finale? Quasi perfezione.
Una serie ispirata, piena d’arte visiva (cinematografica, pittorica e artistica in generale), perfettamente recitata dai suoi interpreti. Suggerimento spassionato: guardate Ripley in lingua originale, perchè le numerosissime e lunghissime scene in cui gli attori di provenienza anglosassone recitano in un Italiano perfetto valgono pienamente il prezzo di un mese d’abbonamento a Netflix.
Unico neo? Qualche licenza poetica di troppo rispetto al romanzo, ma siamo davvero ai dettagli, alle piccolezze che solo un maniaco del libro potrebbe trovare.
Insomma, se siete per le serie che respirano a pieni polmoni, che si perdono un po’ in se stesse e nella loro estetica ricercata, Ripley è assolutamente per voi.
Astenersi cercatori di scazzottate, di dialoghi serrati e ritmi convulsi: potreste non apprezzare il prodotto.
Ripley
Andrew Scott: Tom Ripley
Dakota Fanning: Marge Sherwood
Johnny Flynn: Dickie Greenleaf
Eliot Sumner: Freddie Miles
Margherita Buy: Signora Buffi
Maurizio Lombardi: Ispettore Pietro Ravini
John Malkovich: Reeves Minot
Francesco Foti: Tenente Ferrara
Vittorio Viviani: Matteo
Renato Solpietro: Carlo