Con Sheriff of Babylon, Tom King e Mitch Gerads ci portano a Baghdad subito dopo la caduta di Saddam Hussein. È il 2004 e la ferita dell’11 settembre non ha ancora smesso di sanguinare
Tom King non è certo uno scrittore come tanti. Pensate che prima di diventare uno dei più apprezzati sceneggiatori di fumetti, è stato un agente della CIA operativo nella Sezione Antiterrorismo, lavorando sia dagli USA che dal Medio Oriente. È quindi chiaro che il suo punto di vista non potrà mai essere quello di un normale scrittore che si approccia a una storia di guerra. Anche perché, questa storia, più che di guerra, la definirei sulla guerra.
Non è un gioco di parole e leggendo questo volume vi renderete conto che la differenza è sostanziale.
Bisogna comunque premettere che l’autore qui non ha svelato chissà quale segreto di Stato: la CIA ha preventivamente letto il volume e successivamente l’ha anche approvato, per accertarsi che lo scrittore non abbia violato il vincolo di segretezza a cui è tenuto.
La narrazione di Sheriff of Babylon non è solo accurata e dettagliata come tutte quelle firmate da King: c’è un qualcosa in più, che viene dalla pancia dell’autore ed esplode pagina dopo pagina.
Come un colpo di pistola.
Siamo a Baghdad, è il 2004. Il regime di Saddam Hussein è appena caduto e il ricordo dell’11 settembre è ancora troppo fresco nelle menti di tutti. La capitale dell’Iraq è stata devastata dalla guerra: lo scenario è polveroso, sporco, sabbioso. Rabbioso.
Christopher Henry era un poliziotto come tanti, in Florida, che ha scelto di diventare consulente militare e farsi spedire in quell’inferno. La paga di mille dollari al giorno faceva gola e e aveva decisamente qualcosa da farsi perdonare. Almeno secondo lui.
Adesso Chris addestra un gruppo di cadetti che presto diventeranno la nuova polizia irachena. Non un lavoro difficilissimo per lui, ma certamente con una buona dose di responsabilità.
Sofia (o Saffiya, come le sue origini vorrebbero) è una donna irachena cresciuta in America, rientrata a Baghdad subito dopo la caduta di Saddam. È una guerriera che non si ferma davanti a niente, ma che con la delicatezza che solo una donna può avere, ci mostrerà tutto il dolore che porta con sé. Con dignità e forza, nonostante tutto.
Infine abbiamo Nassir, un poliziotto sciita che ha cambiato casacca varie volte pur di aver salva la pelle. Inizialmente presentato come un voltagabbana, finiremo con l’affezionarci a lui in un modo inaspettato. Ci troviamo di fronte a un uomo distrutto dalla morte delle sue tre figlie, in cerca di una nuova direzione in questo mondo post Saddam, in cui gli equilibri sembrano sempre più sottili.
In questa storia non ci sono eroi, non c’è la divisione netta del bene contro il male. C’è una situazione, vista nel modo più oggettivo possibile (e qui bisogna sottolineare la bravura di King nel non cadere nel facile patriottismo), c’è il dolore che solo la guerra può portare. Ma soprattutto ci sono loro tre. Tre personaggi assolutamente umani, ricchi di sfaccettature, tre pilastri su cui è stata costruita una storia difficile, partita come “murder story” e diventata, pagina dopo pagina, ansiogena. Intensa.
Parte tutto con un omicidio: una delle reclute addestrati da Christopher viene trovato morto. Qualcuno l’ha ucciso, non si sa bene per quale motivo.
Da un (apparente) caso di omicidio, parte una trama fitta che collega terroristi e agenti governativi, in una spirale di menzogne senza fine.
La tensione cresce pagina dopo pagina, nonostante lo stile dello scrittore non sia compulsivo, anzi: con un ritmo lento, ma inesorabile, riesce a tenere il lettore incollato al volume, stupendoti persino con delle onomatopee talmente semplici da lasciarti di stucco.
Tom King ci fa vedere, una volta di più, che è uno scrittore di razza in uno degli intermezzi del quinto capitolo: ci sono Cristopher e Fatima, la moglie di Nassir. Un personaggio secondario nell’economia della storia, con cui però c’è forse il momento più alto di tutta la graphic novel. Una chiacchierata tra due adulti, desiderosi semplicemente di farsi quattro risate in un mondo che appare devastato, mentre siedono su cumuli di macerie.
Una sequenza intensa, che ti strappa un sorriso amaro. Bellissima.
Ho lasciato per ultimo i commenti sul disegnatore, l’ottimo Mitch Gerads (e non Gerards come trovate scritto erroneamente nella copertina della prima edizione italiana). Un disegnatore che dopo aver stupito tutti su The Punisher della Marvel, arriva qui alla sua consacrazione. Oltre ad aver studiato minuziosamente tutte le zone che è andato a ritrarre, Gerads si è basato molto anche sui racconti dei suoi fratelli, due militari impiegati nella guerra del Golfo. Un tratto ruvido, sporco, adattissimo a un’opera di questo tipo. Probabilmente, vista la natura della storia, non avrebbero potuto davvero trovare un disegnatore migliore. Anche le tecniche di colorazione usate da Gerads sono da sottolineare: ambienti torridi, con prevalenza di giallo durante il giorno, blu o verdi per la notte. Un lavoro davvero approfondito, che lo ha portato a studiare ogni oggetto, arma o paesaggio che ha poi riportato su carta.
La storia è uscita originariamente negli Stati Uniti come miniserie di 12 numeri, mentre in Italia è alla seconda ristampa: uscita per la prima volta direttamente in un libro deluxe per RW Edizioni/Lion Comics, torna ora sugli scaffali delle librerie e fumetterie italiane grazie a Panini Comics, che ha confezionato un gran bel volume cartonato in cui è possibile leggere la storia tutta d’un fiato.
La soluzione ideale per un racconto del genere.