Una delle aggiunte di ottobre al catalogo Disney+ è la frenetica serie TV “The Bear“, che mostra la vita nella cucina di una paninoteca italiana di Chicago. Tra sudore e lacrime, otto episodi narrati con un’intensità cruda e realistica per portarci tutti dietro i fornelli a preparare “il miglior manzo di Chicagoland”.
Chicago è la Città del vento, la più popolosa dello stato dell’Illinois e la terza degli interi Stati Uniti d’America. Chicagoland è stato uno dei centri di maggiore sviluppo per il jazz ed il blues e la patria della deep-dish pizza, che si batte per il titolo di migliore pizza al mondo con quella napoletana (a loro piacerebbe moltissimo vincere e l’importante è crederci).
In “The Bear“, la nuova serie TV disponibile nella sezione Star di Disney+, il cibo la fa da padrone, proponendo qualche legame con l’Italia e, con il ritmo sostenuto e malinconico del blues-jazz, risultando una delle migliori novità della stagione televisiva. La trama ruota intorno al figliol prodigo Carmen “Carmy” Berzatto, wonder boy della cucina mondiale, che torna a gestire il ristorante di famiglia dopo la tragica scomparsa del fratello maggiore (special guest star John Bernthal).
Carmy – interpretato da Jeremy Allen White, Lip Gallagher di “Shameless” – tenta di risollevare le sorti del “The Beef” portando metodo e rigore in una cucina che ha il proprio ritmo e il proprio equilibrio stabilitisi nel corso degli anni sotto la gestione di Mikey e Richie, il suo miglior amico. La brigata è eterogena, multietnica e presenta delle evidenti difficoltà sul piano della comunicazione. I ruoli non sono ben definiti e tutti fanno un po’ di tutto.
Cambiare e salire di livello, ribaltando un sistema assodato colpito dal lutto è la sfida più ardua per Carm.
È l’arrivo nella brigata di Sydney (Ayo Edebiri), giovane, talentuosa ed ambiziosa sous-chef che permette allo spettatore di entrare nella cucina del The Beef ed osservarne le dinamiche, conoscerne i ritmi folli e disfunzionali ma, allo stesso modo, affezionarsi ai personaggi che hanno un cuore enorme e tengono al locale tanto quanto Carm.
Anzi, è proprio Carm la mosca bianca: costretto dagli eventi, dal senso di colpa a “tornare a casa”, deve guadagnarsi la fiducia degli altri membri della cucina che non riescono – almeno inizialmente – a sostituire la figura di Mikey. L’ombra del fratello scomparso aleggia tra i tavoli e i fornelli del The Beef, appesantita dal carattere scontroso di Richie, manager del locale dal carattere burbero ed aggressivo.
Il cambiamento, anche se a fin di bene, non sembra fatto per il The Beef che rischia la bancarotta. Salvare il locale, per Carm, diventa la missione di una vita: significa salvare l’eredità di famiglia, il retaggio di Mikey e forse anche se stesso. Per essersi allontanato, per aver inseguito il proprio sogno lontano da casa e per non aver mai potuto cucinare prima con suo fratello.
Carm ce la mette tutta, è un bagno di sudore ad ogni servizio, distrutto emotivamente e fisicamente dalla propria missione spirituale: lo “Jeff” (come direbbe Tina) taglia, affetta, cucina, inventa convinto che si possa fare di più. Che si possa fare di meglio. Salire di livello è una sfida personale per onorare la memoria di chi non c’è più. Che manca come quel pizzico di sale che rende il piatto perfetto.
Christopher Storter e Joanna Calo, tra sceneggiatura e regia, confezionano una miniserie TV di 8 episodi da una durata media di 30 minuti di altissima qualità ed intensità: portano lo spettatore all’interno della cucina, dove i ritmi sono folli e sfiancati sia prima che dopo l’apertura. Pongono il focus sul dramma famigliare per rendere malinconica e più empatica la trama, portata in scena con una rappresentazione realistica e diretta: se avete mai lavorato all’interno di una cucina di un qualsiasi locale, avrete riconosciuto certamente qualche situazione. I creatori, sceneggiatori e registi si concedono anche il lusso stilistico di un episodio girato completamente in un piano sequenza che porta al massimo il climax dell’intera serie TV.
The Bear si muove in una città sporca e dura, con le sue metropolitane sopraelevate che riportano alla mente dello spettatore le stesse ambientazioni di E.R. o delle più recenti serie TV One Chicago di Dick Wolf (Chicago Fire, PD, Med), delle quali compaiono anche volti storici. Se il dramma famigliare, affrontato da Carm, Richie e tutta la brigata, è il filo conduttore della serie, The Bear fa delle difficoltà, delle debolezze, della stanchezza e della pressione i propri punti di forza, abbandonando fin da subito qualsiasi pretesa di mostrarsi come un trattato di cucina e concentrandosi sulle sfide personali, le emozioni, la crescita.
Il ritmo vi terrà incollati allo schermo, scandito da coltelli che battono sui taglieri, l’impastatrice in funzione, il manzo che cuoce lentamente prima di entrare nel panino. Il miglior manzo di Chicago… ma perché accontentarsi? Si può sempre fare di più. Si può sempre fare di meglio, Jeff.