The Boys, stagione 4 – In rotta di collisione

Con l’ottavo episodio disponibile su Prime Video da giovedì 18 luglio, si è conclusa la quarta stagione di “The Boys“. La serie TV ispirata all’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson è giunta ad un momento in cui lo scontro tra le fazioni dei Sette e dei Boys è ormai inevitabile, sistemando la scacchiera per la partita finale attraverso la riproposizione di alcune dinamiche consolidate all’interno dello stesso show, senza rinunciare alla caratteristica satira politica del mondo reale ed aggiungendo diversi momenti d’introspezione che forse non aveva mai presentato in precedenza.

copertina recensione the boys

Come si suol dire in certe occasioni, la fine è vicina. Con l’ultimo episodio, l’ottavo, della quarta stagione di The Boys, la serie TV di Prime Video creata da Eric Kripke e basata sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson apre le porte al gran finale annunciato qualche settimana fa ufficialmente con la quinta stagione.

Distribuita sulla piattaforma streaming con la consueta première da 3 episodi giovedì 13 giugno e proseguita con un episodio a settimana, la quarta stagione di The Boys, come da pronostico, ha preparato il terreno per lo scontro finale tra i Sette di Patriota e i Boys di Latte Materno e il non-più-troppo-amato Billy Butcher.

La stagione che ne è venuta fuori, complessivamente, ha di nuovo poggiato le proprie fondamenta su alcune dinamiche consolidate dello show, ma rielaborate di volta in volta in base alle situazioni circostanziali degli eventi e ai personaggi coinvolti, e concedendosi, attraverso l’altrettanto caratteristiche ironia e satira del e sul mondo reale, in una non troppo velata allegoria in costumi, mantelli e parolacce della nostra contemporaneità, dalla politica all’entertainment, diversi momenti di introspezione dedicati a volti ormai noti ma che, oltre a darsele di santa ragione, architettare qualcosa contro l’altra fazione e a sputarsi comunque del veleno addosso, hanno ancora molto da dire.

the boys

La quarta stagione di The Boys si apre – nonostante siano passati due anni dalla terza – esattamente da dove ci eravamo lasciati, o meglio dalle immediate e dirette conseguenze: Patriota che deve affrontare il processo per omicidio e la campagna elettorale del candidato Presidente degli Stati Uniti d’America Robert Singer con Victoria Neuman come Vice. Nel frattempo, i Ragazzi, con Annie – e non più Starlight – continuano nella loro missione per fermare Patriota, con l’eroe volto degli Stati Uniti che comprende di star invecchiando.

Il tempo passa per tutti e, probabilmente, già da questa prima epifania di uno dei due rappresentanti della serie TV, anche lo spettatore realizza che sì, la fine è vicina. Patriota non aveva mai fatto e non aveva mai dovuto fare i conti con la sua condizione “umana”, non in maniera così esplicita e il suo naturale rifiuto all’invecchiamento setta subito il tono della nuova stagione: probabilmente, più che le botte (che comunque non sarebbero mancate), i nostri protagonisti dovranno fare i conti con chi sono, chi stanno diventando e chi vorranno essere.

Nessuno escluso.

Troviamo così Annie impegnata con gli Starlighter e la sua associazione di volontariato che si occupa dei ragazzi senza casa che, nel frattempo, deve portare avanti la relazione con Hughie e il nuovo “impegno” come membro ufficiale dei Boys; Latte Materno è a capo del gruppo, ora riconosciuto come task force speciale e specializzata per tenere d’occhio i Sette, a diretto contatto con Singer; Frenchie e Kimiko entrano in una reciproca friendzone che ha fatto storcere il naso… ma si sa che certi amori fanno giri immensi e poi… 

Dall’altra parte della barricata, Patriota recluta due nuovi membri per i Sette (in realtà Sei, con un nuovo Black Noir rimpiazzato senza rendere nota la morte dell’eroe “originale”): Sister Sage, la supereroina più intelligente del pianeta, e Firecracker, una sobillatrice complottista del web, dall’incrollabile fede in Dio, controparte dichiarata di Starlight. La prima si dimostra subito consapevole della direzione che può delinearsi sulla scena politico-supereroistica e, conquistata la fiducia di Patriota, dà inizio alla collaborazione che dovrebbe condurlo, addirittura, alla Casa Bianca.

La rotta è tracciata: tutti sanno di doversi giocare tutto. Da ora, non si può più tornare indietro.

Guardare la quarta stagione di The Boys è stato come – se mi concedete la metafora – guardare una trottola: un corpo che ruota su se stesso, intorno al proprio asse, riuscendo ad inclinarsi (per dover di cronaca scientifica, tale è il moto di precessione) ma senza mai davvero allontanarsi dal proprio centro. Nel frattempo si muove sul piano, sul pavimento, incontra le scanalature delle mattonelle e intraprende un’altra rotazione fino a fermarsi quando “scarica” tutta la propria energia cinetica.

The Boys, in questo senso, ruota su se stessa: ripropone le dinamiche consolidate e già proposte nelle precedenti stagioni, con lo scontro – mai definitivo ma sempre tensivo – tra le due fazioni, i Boys e i Sette, a loro volta sconquassate da rotture e crepe interne che ne rimodellano le loro stesse dinamiche e i ruoli all’interno del gruppo prima di incanalare la propria energia cinetica alla fine del moto, per regalarci qualche momento che sa essere scioccante nella sua rappresentazione diretta, splatter e violenta.

Eppure, come per le trottole, pur intuendo come potrebbe andare a finire, non ci stanchiamo mai di osservare, di guardare, di attendere il prossimo movimento (ovvero, l’episodio successivo) per scoprire in che modo si arriva a quello sviluppo, a quello scioglimento narrativo. Certo, il confine tra la serie TV iconica e di rottura dell’inizio e il possibile “guilty pleasure” potrebbe sembrare labile – e forse, ormai, nemmeno più così marcato – ma The Boys, nonostante tutto, riesce ancora a tenerci incollati.

Se la scrittura e le idee di Kripke si dimostrano sempre ben centrate e consapevoli del materiale a disposizione, ciò che rende The Boys meritevole di tanta attenzione è, ancora una volta, l’interpretazione dei suoi protagonisti: il Patriota di Anthony Starr è un personaggio che ora si trova a fare i conti con la propria caducità, non solo nel senso metaforico di invecchiamento ma anche di precarietà, di labilità mai temute né dimostrate prima, profondamente inquieto ma, per azione o per reazione, pronto a tutto per prendersi la scena che gli compete (almeno dal suo punto di vista).

Nel corso degli episodi, ha deciso di fare i conti col proprio passato e con coloro che l’hanno reso quel che è ora, prendendo consapevolezza di essere stato sempre, anche adesso che indossa la bandiera come mantello, il burattino di qualcuno. La sua scalata – anche questa, una dinamica che abbiamo imparato a riconoscere – ha progredito inesorabilmente nonostante gli incidenti di percorso: da volto dei Sette, a capo della Vought, fino al Campidoglio per rendere “l’America Super di nuovo”. Un’ascesa politica che è terribile allegoria del presente, dove le macchie dei candidati sono alla luce del sole ma rinarrate dai mass media da loro stessi controllati per raccontare la storia nella quale essi possono essere gli eroi.

La tensione di Patriota, in coerenza con quanto presentato all’inizio della stagione, rifugge la violenza (e la vendetta) fisica come prima soluzione: essa arriva – perché, alla fine, arriva – solo dopo aver torturato mentalmente i propri nemici di turno, avergli indotto la paura e la drammatica consapevolezza di ciò cui sono destinati di lì a poco, procedendo con le braccia dietro la schiena e mostrando la propria instabilità emotiva con micro-espressioni facciali inquietanti ma molto efficaci.

Dall’altra parte, anche Butcher – ora esautorato, ora reintegrato dai Boys – deve fare i conti con la propria condizione: qui, come il contrappasso dantesco, si è prima trasformato in una delle figure che ha sempre combattuto (assumendo il Composto V) ed ora ne sta per pagare le conseguenze, con la morte che si avvicina sempre di più.

Come Patriota, consapevole della propria condizione, è più che mai deciso a porre fine alla crociata che ha iniziato, senza farsi scrupoli, anzi trovando un supporto alla “Fight Club” da parte di un vecchio collega, Joe Kessler. La possibilità di poter sintetizzare un virus che annulli gli effetti del composto V (ecco il link con lo spin-off Gen V), è la miccia che lo spinge ad andare a fondo, senza guardarsi indietro né, come ci ha egoisticamente abituato, preoccuparsi di chi ha portato con sé.

Butcher è ancora convinto di star facendo tutto questo per Ryan, con il quale ha modo di parlare e relazionarsi, forse per l’ultima volta, ma allo spettatore è davvero difficile (anche qui, grazie ai sorrisetti da stronzo cinico che regala Karl Urban) non pensare che, ormai, lo stia facendo solo per se stesso e per la sete di vendetta che prova per Patriota. Un gioco dal quale nessuno vuole uscire. Una danza che entrambi vorrebbero condurre. Una rotazione, possibilmente infinita ma ora giunta alla rotta di collisione, intorno all’asse del proprio odio reciproco.

Il rapporto Patriota-Ryan-Butcher è centrale eppure metaforico, perché The Boys non riesce a rinunciare – e, anche in questo caso, a riproporre – il suo carattere cinico e menefreghista: le dinamiche padre-figlio-padre (non biologico) sono mosse dal portare verso la propria fazione un’arma ancora inesplorata eppure potenzialmente decisiva per lo scontro tra le parti, che se ne infischiano dei sentimenti di un ragazzo che sta crescendo ed ha visto morire la propria madre, addossandosene le colpa.

In generale, la quarta stagione di The Boys, esplora il rapporto genitore-figlio per diversi personaggi (da Hughie e Hugh Sr., a Victoria Neuman e Zoe e tra Victoria e Stan Edgar, a Latte Materno e Janine), rendendolo una tematica centrale per scavare ed approfondire la personalità dei personaggi. Il confronto tra le parti interessate porta ad una ridefinizione degli affetti dei personaggi e questa è una scelta narrativa inevitabilmente volta a colpire, ancora di più, qualcuno per “renderlo più forte” facendo leva sul dolore e/o sul lutto, qualcun altro per dire addio prima della battaglia finale.

Il confronto con l’altro è presente anche in un topos classico della narrazione, quello del doppio, in atto o in potenza. Ryan-Patriota e Ryan-Butcher sono rapporti improntati, oltre che sulla genitorialità, anche sulla possibilità di chi il ragazzo possa diventare, scegliendo di stare, ora, con l’uno o con l’altro; Butcher e Kessler sono le due facce della stessa medaglia, una che sembrava essersi ammorbidita, l’altra che è senza scrupoli; Starlight e Firecracker sono (stati) i due volti giovani dei Sette, che hanno vissuto secondo gli insegnamenti di Gesù ma che hanno spaccato l’opinione pubblica, con Annie che si ritrova addirittura faccia a faccia con se stessa, in un sadico e brutale, soprattutto per Hughie, confronto con il suo cammino nella serie TV; Sister Sage e Ashley si contendono le grazie di Patriota con modus operandi differenti (riflessione vs. servilismo) così come Sage e Firecracker (adulazione) e Firecracker ed Ashley.

L’equilibrio tra buoni e cattivi e, ancor di più, tra eroi e nemici, si è rotto definitivamente portando i due schieramenti a perdere ogni connotazione antonomastica per comprendere “chi è chi”: entrambi si sono macchiati di crimini e delitti enormi, perdendo quasi ogni briciolo di coscienza in una guerra che si autoalimenta ma che ora sembra essere in dirittura d’arrivo.

E mentre l’unico personaggio che possiamo considerare, in qualche senso, redento è lo stesso che aveva dato il via agli eventi, chiudendo un cerchio che sa di ironico eppure necessario, nello spettatore si insinua il dubbio che ormai nessuno abbia più “ragione”, che le scelte delle due parti sono solo un susseguirsi di errori, di fiducia mal riposta l’uno nell’altro.

Così, The Boys riesce nell’impresa di rendere lo spettatore parte integrante dello show trasferendogli lo stesso cinismo: basta insulsi inseguimenti, botta e risposta. L’unica soluzione è lo scontro definitivo.

The Boys 4 – Diaboliche conclusioni

La quarta stagione di The Boys ha dato la sensazione di essere interlocutoria: attenzione, però, perché affatto in accezione negativa. Gli otto episodi, oltre a riproporre alcune situazioni ben conosciute agli spettatori (ma sicuramente cercate dagli autori), hanno mostrato aspetti dei personaggi che solo la porverbiale calma prima delle tempesta avrebbe permesso di mostrare in preparazione al gran finale di serie.

Certo, ci sono stati alcuni aspetti che hanno fatto storcere il naso in qualche passaggio (la facilità con cui, secondo esigenze narrative, alcuni personaggi riescono a risolvere le situazioni in atto o, al contrario, quando non vogliono riuscirci: le pecore assassine ed un super che potrebbe farle esplodere vi dice nulla?) ma le tematiche proposte, dalla solita satira politica, così tremendamente attuale, all’introspezione attraverso i rapporti famigliari e lavorativi dei personaggi, all’influenza dei mass media, hanno mostrato che The Boys, qualcosa di dire, ce l’ha ancora.

Che sia stato un voyeurismo intrinseco verso la serie TV cui siamo ormai dipendenti, con Patriota, Butcher e co. che vogliono ma non possono darsele, con corpi strappati a metà, supereroi sull’orlo di una crisi di nervi, o l’ingresso ufficiale di essa nei prodotti guilty pleasure, la trottola di The Boys ha girato ancora una volta, divertendoci.

E noi siamo stati lì a guardarla, aspettando un ultimo lancio sul pavimento.

The Boys - Stagione 4

The Boys - Stagione 4

Paese: USA
Stagioni: 4
Episodi: 32 (54-68 minuti)
Interpreti e personaggi:
Karl Urban: Billy Butcher
Jack Quaid: Hughie Campbell
Antony Starr: John / Patriota
Erin Moriarty: Annie January / Starlight
Jessie Usher: Reggie Franklin / A-Train
Laz Alonso: Marvin Milk / Latte Materno
Chace Crawford: Kevin Moskowitz / Abisso
Tomer Kapon: Serge / Frenchie
Karen Fukuhara: Kimiko Miyashiro / Femmina
Nathan Mitchell: Earving / Black Noir
Elisabeth Shue: Madelyn Stillwell
Colby Minifie: Ashley Barrett
Claudia Doumit: Victoria Neuman
Cameron Crovetti: Ryan
Susan Heyward: Sister Sage
Valorie Curry: Firecracker
Jeffrey Dean Morgan: Joe Kessler
Simon Pegg: Hugh Campbell Sr.
Shantel VanSanten: Becca Butcher
Laila Robins: Grace Mallory
Dove vederlo: Prime Video
Voto:

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Pier

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Appassionato di scienza e supereroi, divoratore di comics, serie TV e pizza. Ex power ranger wannabe, matematico nella vita, Batman nello spirito. Mentre cerco qualche significato nascosto nelle mie letture, sono già proiettato verso la prossima recensione... Ed oltre!

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