Cosa ha spinto i cavalieri verso pericolose e gloriose avventure? L’amore? La giustizia? La gloria? O, forse, la paura di essere dimenticati? Francesco Catelani e Federico Fabbri ci raccontano l’epopea di Tristerio e del suo scudiero, impegnati nella spasmodica ricerca della Fama.
Le avventure di cavalieri, eroi giusti in armature scintillanti, ci affascinano innegabilmente da sempre. Le leggende ed i miti che si fondono alla realtà hanno dato vita ad una tradizione letteraria che, forte di più recenti rivisitazioni e trasposizioni cross-mediali, gode ancora oggi di enorme apprezzamento. Pensiamo al ciclo arturiano che ha portato, di racconto in racconto, come fonte d’ispirazione e base di rielaborazione, al capolavoro animato “La Spada nella Roccia“. Oppure, pensiamo a quella produzione fantasy entrata con merito e prepotenza nella cultura pop fruibile in più forme, dai romanzi originali, ai videogiochi, alle trasposizioni – più o meno fedeli – su schermo: Il Signore degli Anelli e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (“Il Trono di Spade“, per i TV serial addicted) sono gli esempi più fulgidi ed immediati.
Cosa accumuna i protagonisti di queste opere? Cosa spinge gli eroi bardati di elmo e corazza e spade luccicanti a combattere? “Le donne, l’arme, gli amori” vi direbbe Ludovico Ariosto (tanto per sottolineare che anche la nostra Penisola non è estranea all’epica cavalleresca). “La fama! La Fama! La Fama è l’obiettivo“, confesserebbe Tristerio, il vostro prossimo cavaliere preferito.
Il prode cavalier Tristerio De’ Malarnesi è il protagonista della graphic novel “Tristerio e Vanglorio“, sceneggiata da Francesco Catelani e disegnata da Federico Fabbri per Edizioni BD. Le vicende narrate in questa coloratissima epopea cavalleresca prendono il via quando Tristerio salva un giovane ragazzo caduto in un fiume: emozionato dalla presenza di un eroe e riconoscente per il salvataggio, il giovane-senza-nome decide di accompagnare il cavaliere nelle sue prossime avventure come scudiero. Eppure, Tristerio non appare di certo come l’eroe che possiamo immaginare: è mingherlino, indossa un’armatura sgangherata e cavalca un destriero di razza patuffola che – beh – lascia un ricordino in ogni dove. Se consideriamo che il nome di Tristerio non è nemmeno presente nella “Magistra Cavalieri“, l’enciclopedia con gli eroi e le imprese più famose, allora non si può certo dire di essere di fronte all’icona cavalleresca per antonomasia. Quel ruolo è, infatti, del ben più famoso Vanglorio, cantato, inneggiato, conosciuto in ogni luogo e tempo.
Ma cosa definisce un eroe in quanto tale? Cosa ha reso Vanglorio immortale e Tristerio dimenticato? Catelani e Fabbri tentano di rispondere a queste domande con una chanson carica di ironia e comicità, strutturata in canti (come da tradizione letteraria), che mescola con equilibrio il fantasy, la satira, l’epica.
Ciò che muove Tristerio è la ricerca della Fama, rappresentata come un’angelica creatura a quattro teste che tutto vede e tutto sa ma si manifesta solo di fronte ad imprese eccezionali, degne di essere celebrate. Tristerio deve consegnarle un messaggio ma affinché possa portare a termine la missione ha bisogno di compiere qualcosa che possa causarne un’apparizione. Nel corso dei nove canti di cui si compone l’opera, il cavaliere, lo scudiero-senza-nome e, successivamente, il giovane Tecnezio tentano di compiere gesta che possano essere considerarsi memorabili: salvare vite, aiutare una vecchietta ad attraversare, liberare degli oppressi, risolvere indovinelli ma – soprattutto – vincere la XXVIII edizione della Gran Giostra dei Cavalieri.
La storia scorre via velocemente, sostenuta da tavole essenziali ma dinamiche, dalle tonalità accese ed efficaci, impreziosita di dettagli goliardici e grotteschi e da un linguaggio originale con influenze stilnoviste che donano complessiva autenticità. La missione di Tristerio diviene, inevitabilmente, la nostra: la riuscita dell’impresa del protagonista valoroso ma, nell’economia del racconto, presentato come un perdente è l’obiettivo del lettore che fagocita le pagine fino ad un finale dolceamaro e sorprendente, rivelatorio ed esplosivo.
Dietro una patina coloratissima, oltre le allucinazioni cromatiche ed easter egg fallici, “Tristerio e Vanglorio” è un divertissement che offre spunti di riflessione sulla (nostra) spasmodica ricerca di “un momento di gloria”, di una vittoria che possa divenire eterna e di come possa trasformarsi in un fardello. Tristerio è tormentato dal passato e, tavola dopo tavola, acquisisce sempre più tridimensionalità grazie alla propria determinazione, al proprio orgoglio, al senso di rispetto verso il codice cavalleresco. Portando a termine la propria parabola, dimostra che non sono le canzoni, le leggende e nemmeno un nome a rendere un cavaliere un eroe ma la propria nobiltà d’animo, la purezza del cuore, lo spirito di giustizia. Ed è questo ciò che ci piace dei cavalieri, eroi giusti in armature scintillanti.
Best Quote:
“… non esiste solo ciò che diviene favola, non ogni eroe divien famoso!”