Il 2019 non è cominciato benissimo per il mondo del wrestling. Il 2 gennaio è morto “Mean” Gene Okerlund, uno dei più iconici intervistatori e conduttori che questo sport-spettacolo abbia mai conosciuto.
Ripercorrendo i più grandi momenti della storia del wrestling, di fatto, ci accorgiamo che “Mean” Gene è (quasi) sempre presente in ognuno di essi. Da quando, nel 1984, il patron dell’allora World Wrestling Federation, Vince McMahon Jr., lo ingaggia, strappandolo alla rivale American Wrestling Association, il ruolo del peculiare intervistatore – colto, ironico e giornalisticamente pungente come pochi – diventa sempre più rilevante. Tanto da renderlo, negli anni Ottanta e Novanta, talmente popolare che, per i fan, la sua pelata e i suoi baffetti sono riconoscibili tanto quanto quelli di Hulk Hogan. Okerlund diventa indiscutibilmente uno dei volti e una delle voci più famose del wrestling.
“Signore e signori, benvenuti a Wrestlemania. Adesso vi prego di alzarvi in piedi. È qui con noi, per cantare l’inno nazionale, il nostro ‘Mean’ Gene Okerlund”
È così che, in apertura della primissima edizione dello Showcase of the Immortals, viene introdotto il poliedrico presentatore che chiede (e ottiene) l’aiuto del pubblico del mitico Madison Square Garden per un’interpretazione di tutto rispetto della famosa canzone. Da quel momento in poi, una grandissima carriera. Fino al 1993 nella stessa WWF (oggi WWE) dove fa di tutto: lavora nel team di commento di numerosi eventi, conduce celeberrimi programmi come WWF All American Wrestling, fa da voce narrante di parecchie videocassette che la federazione edita per il mercato dell’home video, partecipa regolarmente a WWF Superstars of Wrestling dove fornisce aggiornamenti e scoop e intervista i vari lottatori.
Ah, le interviste di “Mean” Gene! Veri e propri pezzi di storia. Come dimenticare, per esempio, Andre The Giant che, imponente vicino al timoroso intervistatore, gli copre l’intera testa con la sua manona?
Oppure Ric Flair che, qualunque domanda gli faccia il nostro, replica sempre prendendo fiato ed urlando un immancabile Meeeeaaaannnnnn Geeeeeneeeee? O ancora i siparietti con Hulk Hogan che introduce ogni risposta con il suo “Let me tell you something, ‘Mean’ Gene…”? Per non parlare degli anni Novanta, quando la rivale World Championship Wrestling, iniziando una “guerra” per il predominio nella disciplina (e negli ascolti televisivi) con la federazione di McMahon, comincia a mettere sotto contratto tutte le principali stelle rivali e si porta a casa anche Okerlund (che diventerà una presenza fissa, col suo microfono, durante tutti gli show principali della nuova compagnia), tanto per rendere l’idea della fama che questi aveva raggiunto.
D’altro canto, per esempio, c’è il microfono di “Mean” Gene – e di chi altri, sennò? – quando, il 3 ottobre 1987, a Saturday Night’s Main Event, “la follia incontra la mania”. Quella sera, “Macho Man” Randy Savage sfida Honky Tonk Man per il titolo Intercontinentale, ma viene attaccato sul ring dalla Hart Foundation che manda in fumo i sogni di gloria dell’“uomo maschilista” (definizione da leggere con l’accento americano di Dan Peterson, nda). A salvarlo dalla brutale aggressione (con tanto di chitarra spaccata in testa), accorre nientepopodimeno che Hulk Hogan. La seguente stretta di mano ad alta tensione fra i due sancisce la nascita dei Mega-Powers. E ad intervistarli, poco più tardi, c’è proprio lui. Un trio che sembra completarsi a vicenda.
“Mean” Gene fa il giornalista sorpreso e curioso che vuole sapere cosa significhi quella stretta di mano. E i due istrioni lo accontentano: “In realtà non so con cosa abbiamo a che fare qui” – risponde Hulk, carico come non mai – “e ho un po’ di paura a stringergli nuovamente la mano perché potremmo piegare l’intero pianeta!”. Mentre Randy Savage si contorce di piacere a ogni parola dell’altro e Okerlund regge il microfono con il sorrisetto soddisfatto di chi sa che sta documentando ancora una volta qualcosa di epocale, l’Hulkster continua a spiegare come l’Hulkamania si sia congiunta con la Macho Madness per creare la forza più potente di tutti gli universi: “I Mega…yeah! I Mega…yeah! I Mega Powers!”, fa Macho Man in evidente trance agonistica. E mentre i due titani si allontanano, “Mean” Gene chiosa, festante: “In-cre-di-bi-le!”. Ora, sfido qualunque ragazzino che abbia assistito a questo spettacolo a dire di non essere rimasto letteralmente estasiato davanti alla tv.
Ma la maestria di Gene Okerlund stava proprio nella capacità di interpretare qualunque ruolo: giornalista, anchorman, comico, cantante part-time (nel 1985 incide una cover di Tutti Frutti per la compilation The Wrestling Album). Persino lottatore! Nel 1984, di fatto, lascia il microfono one night only per indossare gli stivaletti da ring e sfidare, in coppia con il solito (amico) Hogan, i cattivi Mr. Fuji e George “The Animal” Steele. E più che per il match in sé, il presentatore si fa notare per la preparazione che lo precede. Hulk ha un ingrato compito: in soli sette giorni deve trasformare “Mean” Gene in un implacabile lottatore. E il video che ne segue è spassosissimo: il povero intervistatore è abituato a ricche colazioni, a rinfrescanti birrette e pure a qualche sigaro, ma l’Hukster lo sottopone a una settimana di sveglie alle 5 del mattino, colazioni a base di uova crude, allenamenti durissimi e incessanti, corsa e pesi. E, alla fine, il nostro si trasforma in una macchina da guerra (perlomeno nelle intenzioni…).
D’altro canto, come lo stesso Hogan era solito dire: “Non per niente lo chiamano “Mean” Gene!”. Con lui se ne va un altro pezzo della nostra infanzia di fan del wrestling.
Riposa in pace, brother.
Gianluca Caporlingua