Trattengo a stento l’emozione mentre ripenso alla prima volta che arrivai alla fine della lettura di Rocky Joe e ora, la mente riassume velocemente tutta la sua storia. Girando tra i padiglioni dell’ultimo Lucca Comics and Games, l’ho visto in una splendida vetrina. Seduto a bordo ring intento a sorridere mentre la forza lo abbandona.
Ashita no Joe (prima pubblicazione 1968-1973) è una storia terribilmente profonda, toccante e vera. Questo titolo, ve lo dico subito, per me non parla di sport.
Lasciamo da parte i fumi degli anni ‘80. Miscele di eroi al cinema e in tv, sportivi che conquistano titoli e glitter in ogni dove. Joe Yabuki diventa Rocky solo per sfruttare l’effetto traino del film con Stallone. Attenzione. Il film vide la luce solo otto anni dopo le avventure in Patria di Joe Yabuki ma il danno era comunque inevitabile. Tanto la rete italiana (la prima fu Rete 4), quanto le case editrici adottarono questa storpiatura imperdonabile di Ashita no Joe.
È fondamentale che si capisca l’importanza di Joe su MegaNerd. Ci tengo.
Vi dico questo. Sul finire degli anni Sessanta, anche il Giappone fu terra d’importanti agitazioni di classe. La cronaca del tempo ci racconta che nel 1970, i terroristi rossi del Nihon Sekigun dirottano un Boeing della Japan Airlines verso la Corea del Nord (è il primo dirottamento della storia del Giappone). Alla radio venne dichiarato: Noi siamo tutti Joe del domani. Quest’ultima non è altro che la trasposizione esatta del titolo originale. Ashita no Joe dev’essere doverosamente tradotto Joe del domani.
Joe non è solo un semplice personaggio nato dalla fantasia del suo autore Ikki Kajiwara (pseudonimo di Asao Takamori, L’Uomo Tigre, La Stella dei Giants solo per citarne alcuni) e di Tetsuya Chiba, ma un’icona quasi sacra per i giapponesi. Simbolo della lotta di classe, di quel sottoproletariato di lavoratori a cottimo che affollavano la periferia di Tokyo, lontani dai locali alla moda. Joe è stato il portavoce degli ultimi e come tale viveva tra loro in condizioni misere.
Il Giappone post bellico era nettamente diviso tra le comunità fedeli alla tradizione che affollavano le baracche ai margini, tutte insieme, e dall’altra parte i primi grattacieli, la modernità. Il mito individualista americano che precedette la bolla economica, fase in cui l’edonismo prese il sopravvento.
Joe Yabuki è un ragazzo allo sbando che trova serenità a Sanya, nel ghetto di Tokyo, lontano dal progresso che avanza.
È violento, spaccone, senza guida né istruzione. La sua è violenza necessaria e non gratuita (ma chi sono io per sostenere che la violenza non è tutta uguale). Deve sopravvivere per mangiare. Si dà alla truffa ed è odiosamente arrogante. Joe vive tra gli ultimi fino a quando un incontro gli cambierà la vita per sempre.
Questo titolo appartenente al gekiga parla dritto allo stomaco dei lettori, trasportandoli nei bassifondi dove gli uomini sono abbandonati a se stessi. Da una parte Joe, dall’altra Danpei.
Danpei Tange è un vecchio alcolizzato che rimpiange i tempi che furono. Quei tempi che lo videro glorioso a bordo ring.
Danpei vede in Joe delle potenzialità e, senza andarci troppo per il sottile, con disciplina ferrea e nessuno sconto, decide d’insegnare l’arte della boxe al ragazzo. Crede così tanto nei suoi metodi che, all’ennesima bravata di Joe, sarà lui stesso a consegnarlo alle autorità. In riformatorio scatterà in Joe quella scintilla decisiva che lo farà convincere di poter avere un futuro migliore impegnandosi con la boxe. Danpei non lo abbandona mai e ogni giorno fa recapitare in carcere il programma di allenamenti, semplicemente intitolati “Per domani”.
Kajiwara, un maestro del racconto, pensiamo al complesso profilo di Naoto Date, crede nei suoi protagonisti come nessun altro. Nonostante l’innalza a eroi, li distrugge in profondità, sacrificandoli per compiere quel riscatto che noi tutti cerchiamo durante la nostra esistenza. Le coscienze che affianca ai suoi figli parlano in nome della ragione cercando di addolcire quel fiele che hanno dentro per essere stati maltrattati dalla vita. Giant Baba per l’Uomo Tigre. Danpei per Joe Yabuki.
In riformatorio Joe farà la conoscenza di Tooru Rikiishi, boxer pieno di talento e pupillo della palestra Shiraki. È proprio l’incontro con l’antieroe a fornire la giusta spinta in Joe per destare definitivamente la sua voglia di boxare, non vedendo l’ora di scontrarsi con Tooru ufficialmente, fuori dal carcere minorile.
Kajiwara usa lo sport per parlare di riscatto.
La scelta di Joe non è limitata a instradare le proprie capacità per costruirsi un futuro. Tramite la boxe dimostra che anche gli ultimi ce la possono fare. La storia non ci parla mai di un grande eroe, un ragazzo brillante che colleziona successi; tutt’altro. Non a caso in Ashita no Joe c’è una chiara parità tra vittorie e sconfitte riportate dal protagonista. Joe prova grande difficoltà ad adattarsi alla nuova vita fatta di allenamenti e disciplina e, soprattutto, a fidarsi degli esseri umani, primo fra tutti il suo allenatore. Ma non è solo la rivincita di Joe questa storia. Danpei smette quasi totalmente di bere e lavorerà come un forsennato per poter mantenere entrambi.
Uno sport nobile quello della boxe. Come nobile è l’intento alla base della storia.
La vita non fa nessuno sconto a Joe nonostante la sua rivincita morale, la bravura e la fama. Si respira una inquietudine costante durante lo scorrere delle vicende, degli incontri sul ring e per la strada. Quando Joe e Rikiishi si rincontreranno, lo scontro sarà tragico. La violenza che Joe ha imparato a controllare nei suoi colpi è comunque ancora selvaggia, dettata dalla vita di strada. Nonostante la superiorità del suo avversario che vincerà l’incontro, quei colpi mai del tutto addomesticati, ripetuti, violenti lo uccideranno sotto i suoi occhi.
Chiba, che ha affiancato magistralmente Kajiwara per il disegno, ha un tratto cupo e ruvido che ben si presta all’atmosfera della storia. L’espressività dei personaggi è unica nel suo genere e dona all’opera quel necessario realismo per affrontare uno spaccato della vita di Joe. Storia questa, che ha rappresentato l’ideale ponte di collegamento tra la condizione tragica dettata dalla miseria e la speranza in un glorioso domani. Il grido di protesta disperato delle agitazioni sessantottine. Venti tankobon per comprendere che c’è un domani anche per noi, come ha insegnato Joe. Venti milioni di copie vendute. Venti milioni di lettori che organizzarono un vero funerale per la morte dell’eterno rivale del protagonista, tanto amato quanto quest’ultimo. Perché non è la vittoria a importare, non sono le medaglie a renderci grandi.
Mai come con Ashita no Joe si fa chiaro l’intento. Un ragazzo che non si riprenderà mai totalmente dalla morte del suo amico/nemico, che si odierà, ripudierà ogni componente del suo essere fino al senso di appagamento finale che giungerà solo dopo la consapevolezza di aver dato tutto. Rikiishi è il peso che adombra il suo passato; Carlos Rivera e Josè Mendoza sono il suo presente.
Quant’è grande la nostra gratitudine verso ciò che ci ha salvato. Quanto possiamo restituire, come possiamo sdebitarci. Joe dà tutto se stesso. Non c’è dolore che non sia sopportabile nella via della rivalsa, non c’è sacrificio che non valga la pena di affrontare con piena dignità. Gli ultimi non vogliono sostituirsi ai primi ma sostenere il loro passo, accedere alle stesse opportunità. Lottano per far sì che ciò sia possibile.
Sul ring, negli anni settanta, salirono tutti invocando una possibilità. E Joe, in rappresentanza di chi non aveva voce, incassò i colpi rimanendo in piedi con una tenacia e una resistenza uniche. La dignità di un ragazzo, Joe, che non rinnegò le sue origini da cui riuscì a trarre la forza disperata di sferrare ancora un ultimo montante.
Non c’è più niente da bruciare. Solo le bianche ceneri.
Joe ha dato tutto se stesso alla boxe. A quello sport che non lo ha giudicato, né lasciato senza guida nella sua misera esistenza. Il domani alla fine giunse e donò a Joe e ai suoi compagni di lotta la speranza di potercela fare. Incassare e restituire i colpi, cadere e rialzarsi senza mai cedere allo sconforto.
Joe ce l’ha fatta ed era un ragazzo come tanti. Ora sorride.
Mi senti Joe?
Joe?
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