Durante la decima edizione di ARF!, Il Festival del Fumetto di Roma, abbiamo avuto il grande piacere di scambiare quattro chiacchiere con la straordinaria Sara Pichelli, superstar internazionale e tra le punte di diamante di Marvel Comics. Un’intervista sincera e interessante, che è stata un vero piacere poter realizzare
Incontrare una superstar del mondo dei comics come Sara Pichelli non è certo un qualcosa che accade tutti i giorni: parliamo di una delle Artiste di punta della Marvel, colei che passerà alla storia per aver creato graficamente Miles Morales, lo Spider-Man del nuovo Millennio.
Da quel progetto in poi è stata protagonista di tantissime serie e progetti speciali per la Casa delle Idee, che l’hanno portata ad essere una delle disegnatrici più apprezzate nel panorama internazionale.
Ha uno stile riconoscibile e d’impatto, non nasce come appassionata di fumetto americano, ma ne è diventata un pilastro: signore e signori, ai microfoni di MegaNerd c’è la straordinaria Sara Pichelli!
Ciao Sara, benvenuta sulle pagine di MegaNerd, è veramente un piacere averti con noi. Ci troviamo all’ARF! Il Festival del Fumetto di Roma, una manifestazione unica nel panorama italiano, che mette davvero la nona arte al centro del dibattito. Che ne pensi di questa decima edizione? Ti stai divertendo?
Ciao! Finora sono molto contenta, a parte la temperatura (ci stiamo lentamente sciogliendo), però l’ARF è sempre un piacere, quindi sono sempre molto felice di partecipare a questo Festival!
Se non sbaglio questa è la tua primissima volta in ARFist Alley, come ti sembra vivere la manifestazione da qui?
Sì, è il mio primo anno nell’ARFist Alley. Cioè, ovviamente ero venuta altre volte negli anni passati(nel 2017 Sara aveva anche realizzato il manifesto della manifestazione, ndr), però mai da sola. La situazione è molto tranquilla.
È come avere l’ARFist Alley nel salone di casa perché conosco tutti, sono a casa, la mia città o comunque quella che è stata la mia città per tanti anni, quindi comunque me la vivo quasi… non dico come una vacanza – perché poi torni a casa che sei distrutto – però a livello di umore è una “presa bene”, come diciamo a Roma!
Sara ormai sei una superstar internazionale nel panorama dei comics, questo credo si posa dire senza problemi. Ti capita spesso di andare negli USA per Convention e Festival dedicati al fumetto, dunque quali sono le differenze principali tra una manifestazione americana e una italiana?
Allora, io di americane me ne sono fatta alcune, penso a New York, San Diego, Florida. Dipende. Sono molto legati al business. Ecco, adesso dalla mia prospettiva c’è un business un pochino più solido. Ci sono più collezionisti, che vengono ad acquistare i miei lavori. Le fiere in sé sono sempre enormi, quindi più dispersive, spesso e volentieri crossmediali, quindi si parla anche molto di serie TV, film… che non c’è niente di male, però sicuramente disperde.
L’ARF! come giustamente dicevi all’inizio, è bella proprio perché è molto focalizzata sul fumetto. Questo accade raramente. Forse la più vicina all’ARF!, almeno con il cuore, è il New York Comic Con che, nonostante faccia dei numeri davvero imbarazzanti, mantiene un po’ quell’adesione proprio al fumetto (e infatti è una delle mie preferite).
Però ecco, tendenzialmente la differenza sono i numeri, i numeri ti cambiano proprio la dinamica di una fiera, inevitabilmente.
La sensazione che ho, da qualche anno a questa parte, è che Marvel ti tenga in considerazione soprattutto per lanciare nuove serie o per illustrare grandi eventi. Insomma, quando c’è in ballo qualcosa di veramente “grosso”, o a cui l’editore tiene in particolar modo, il tuo è uno di quei nomi “caldi”…
Sì, è capitato che mi affidassero gli inizi. È un qualcosa che a me piace, da un lato, perché mi ritrovo spesso a lavorare su personaggi diversi. Dall’altra parte però, so che questi personaggi non riuscirò a “tenerli” e quindi un po’ mi dispiace, perché – te lo potranno confermare anche altri colleghi o colleghe – si deve carburare un po’ quando si lavora su un personaggio nuovo.
E spesso in due-tre numeri non sempre riesci a dare il meglio su quel dato personaggio o gruppo di personaggi. È un po’ quella la parte negativa. Però tutto il resto è positivo, perché è super-divertente.
Quindi quando ti vediamo andar via dopo pochi numeri è una scelta dell’editor?
Io su questo sono veramente super passiva. Cioè, ho questa cosa che gli dico “Cosa avete? Cosa mi offrite?” perché non ho mai desideri particolari, proprio perché non sono una lettrice, o una fan sfegatata, seguo poco gli eventi. L’ultima volta però è stato carino perché mi hanno chiesto “Sara, cosa vuoi fare?” e io “Mi date un personaggio femminile?” e mi hanno dato Scarlet Witch, solo che dopo poco ho partorito e non potevo fisicamente continuare.
Mi è davvero dispiaciuto, perché mi stava piacendo particolarmente. Comunque ci saranno altre occasioni, ne sono sicura. Mi sono molto divertita, in quel caso. Perché l’ho chiesto – cioè, non ho chiesto Scarlet Witch nello specifico perché non sapevo avrebbero avuto in cantiere quello – però è stato davvero molto, molto divertente.
Anche perché il lavoro è venuto strepitoso.
Ne sono molto fiera, mi sono piaciuti anche i colori, Orlando ha scritto una cosa davvero piacevole…
Da lettore posso confermarti che si percepisce quando un’artista si sta divertendo. Per esempio lo percepivo nei primissimi numeri dell’allora Ultimate Spider-Man, quando è “nato” Miles Morales, un personaggio che oggi ha letteralmente conquistato le nuove generazioni. Ricordo di aver pensato “secondo me gli autori si stanno divertendo parecchio”
Sììì!!! Quanto ci siamo divertiti! E si vedeva, eh?
Che ricordi hai di quel periodo?
Ricordiamoci che quando è stato creato Miles Morales uno se lo poteva augurare di avere questo risultato, ma in questi termini era davvero inimmaginabile, sono sincera. Era un “Guarda, ci proviamo”, era l’ennesimo tentativo con uno Spider-Man diverso. La genesi, però, è stata veramente felice, è il progetto su cui ho lavorato meglio. Avevo un certo tipo di libertà, di fiducia…
Poi è stato tutto un tira e molla, un “io disegno questo”, “no, che bello, questa cosa mi ha ispirato, scrivo questo”, quindi c’era proprio una sinergia, uno scambio continuo, si dovrebbe lavorare sempre così, ma io da allora una cosa del genere non l’ho più ritrovata. Specifico che parlo di me, chiaramente. Oggi c’è la fretta, troppa fretta… “dobbiamo fare”, “facciamolo che ricorda quest’altro personaggio…”.
Una programmazione come abbiamo nel mercato italiano [generalmente un editore ha già pronte storie per un anno e mezzo/due, quando va in edicola, ndr] è impossibile nell’Industria dei comics?
Allora, è impensabile perché perché le uscite americane per avere due anni di produzione ti devi muovere ancor prima dei due anni, altrimenti non ce la fai. Però un minimo di organizzazione, in prospettiva, sarebbe un po’ meglio… un pochino…
Adesso con che tempistiche state lavorando?
No, io mi sono tolta dalle tempistiche, quelle che con cui ho lavorato per tanti anni, non le reggo più. Anche prima del bimbo proprio non le reggevo più. Un po’ ti dispiace perché sei sicuro non al 90% ma all’ 85% che su certi progetti non ci starai. Magari ecco, li puoi lanciare, mettiamola così. Però, d’altro canto, io non li reggo più.
Quelle consegne da una tavola al giorno, che non ti puoi ammalare, non puoi fare la spesa… per me non è più sostenibile.
Forse è per questo che molti artisti ricorrono al digitale? Per velocizzare un po’ il processo di realizzazione?
Ma quella, secondo me, un po’ esula dalle tempistiche; ormai il digitale è diventato proprio uno strumento che dà piacere. È sicuramente più agile, anche se devo dire io conosco gente che lavora in tradizionale ed è più veloce di me in digitale. Tutto fa lo stile. Se sei “macchiaiolo” e sei bravo col pennello, sei molto più veloce magari dello stile che ho io.
Però ormai è proprio una scelta stilistica, secondo me. Mi rendo conto che poi i collezionisti rimangono male, però anche sulla velocità di correzione, il digitale ti da tanto… è tutta un’altra storia.
Da disegnatrice preferisci avere una sceneggiatura dettagliata e precisa oppure una molto più libera in cui spaziare con la creatività?
Tipo Marvel style? Allora, ho lavorato in Marvel Style, però mi sembra come se facessi anche lo sceneggiatore, e quindi o mi paghi di più… No, ovviamente scherzo, però se ci sono delle sequenze soprattutto di azione, il Marvel Style è ottimo, perché ti dicono “fai un po’ quello che vuoi”; su altro lo trovo un po’ più faticoso.
Ma odio le sceneggiature un po’ troppo precise, ci sono degli sceneggiatori che se la cavano, altri un po’ meno.
Magari immagini l’ambiente… ma visto non è il tuo lavoro, cioè, immaginartelo sì, però poi lo disegno io, essere troppo pedissequo per me è un paletto che mi affatica. Giusto una via di mezzo dove mi dai, se non necessariamente, un’indicazione di regia, anche un “Ti ricordi quel film, ti ricordi quella sequenza?” allora mi aiuti. Magari così ci veniamo incontro…
Però se scrivi “l’inquadratura dal basso e lui che tiene la mano così” mi stai tarpando le ali. Che poi spesso non è che non lo voglio fare, è che (secondo me) la stai immaginando male. Può succedere.
Ti è capitato mai di dire “guarda, io la vedo così” e mandargli la tavola?
Spesso. Spesso cambio. Ovviamente negli anni sono diventata molto brava a non farli arrabbiare, perché non ti cambio la storia, non ti tradisco la storia, però dico “guarda, secondo me bla bla bla”. Sono anche diplomatica, non sembra ma sono estremamente diplomatica. Però devo dire che, sarà che ormai sanno come lavoro, però non ho mai avuto problemi di nessuna sorta.
Anche perché te la faccio vedere, te la visualizzo: “la tua è così, la mia è così. Secondo me si legge meglio”. E poi riscontro spesso troppe azioni in una vignetta, che è uno dei difetti. E lì, per forza di cose, non essendo un’animazione, bisogna scegliere. Però nessuno mi ha mai detto niente, fino ad ora. C’è sempre tempo per litigare [ride]
Ultimamente in Marvel ci sono veramente tantissimi artisti italiani, praticamente non si contano più. Ora, si tratta di una “generazione di fenomeni”, nel senso che c’è stata un’ondata particolarmente prolifica di artisti, oppure anche questa è una conseguenza della globalizzazione?
Questa è un’ottima domanda, anche se non ce l’ho una risposta certa. Dal mio punto di vista, la risposta sta nel mezzo: un po’ gli italiani hanno avuto vita felice nel mondo supereroistico, hanno aperto anche un po’ le piste, se vogliamo dirlo, quindi questo aiuta anche le nuove leve ad avere punti di riferimento.
Dall’altro lato, ormai come hai detto tu, basta un’email e si può mandare un portfolio, quindi è un po’ entrambe le cose. Poi devo dire – e parlo per Marvel, che è quella che conosco meglio – hanno un po’ un debole per l’Italia. Sarà poi che tra C. B. Cebulski e Rickey Purdin si divertono, vengono in Italia, si fanno le vacanze, e in più hanno i portfoli, quindi… Poi siamo bravi, si può dire?
Eh, direi proprio di sì, infatti ho parlato di “generazione dei fenomeni” [ridiamo, ndr]
A me capita di fare i portfoli ai ragazzi, vado nelle scuole, nelle accademie… Mi è capitato recentemente di andare in quella di Palermo, ma sono dei bravoni! Bravi, bravi. Spesso penso “se io all’età avessi disegnato così…”
Sì, il livello attuale è davvero alto. Non a caso sia Marvel che DC stanno affidando i propri personaggi di punta ad artisti italiani: tu hai illustrato le principali icone della Casa delle Idee (Spider-Man, Avengers, Fantastici Quattro, ecc.), ma guardando in casa DC possiamo notare che anche la nuova serie Batman & Robin (non proprio un titolo secondario) è disegnata da un talento italiano come Simone Di Meo. La “nostra” scuola funziona e riscuote sempre più successi internazionali
Sì, poi all’estero me lo fanno notare spesso: i dettagli, gli sfondi… Ora, per carità, non è che ci siamo solo noi italiani, però sicuramente ce l’abbiamo un po’ innata, la cura per il dettaglio, forse sì.
L’unica cosa che mi chiedo è: come mai invece così pochi sceneggiatori? Mi spiego meglio: com’è possibile avere tantissimi disegnatori italiani a fronte di uno o al massimo due sceneggiatori?
Penso che la barriera della lingua sia forse ancora un ostacolo. Allora, è vero che – passatemi il termine – sono anche un po’ “pignoletti” gli americani… è vero che c’è tutta la questione dello slang, della roba pop, dei riferimenti pop, che sono quelli che piacciono di più e sono quelli più complicati per qualcuno che non è di madre lingua. Però non credo sia nemmeno impossibile, visto che qualcuno ce l’ha fatta.
Può esserci anche, in minima parte, un po’ di “nazionalismo”? Voglio dire, magari prima di affidare a un team creativo tutto italiano (o comunque non americano) un personaggio come Spider-Man (per fare un esempio), magari ci pensano due o tre volte…
Soprattutto ti posso dire cosa? Nell’ultima decina d’anni… c’erano le vere “dive”, i “disegnatori divi” che ti cambiavano il mercato, la gente si strappava i vestiti…
Ultimamente sono diventati gli sceneggiatori, le vere “dive”. Non credo sia un caso che siano tutti americani. C’è secondo me un’impronta, un po’ di conservatorismo, ora non so quanto sia razionale.
Però probabilmente prima o poi ci si arriverà…
Io me lo auguro. Porta linfa vitale diversa, anche in quello.
Così come da noi, magari sarebbe bello vedere un Tex o un Dylan Dog totalmente immaginato da un team creativo spagnolo o messicano o statunitense.
Ah, ce lo auguriamo! Perché no?
Alla fine il talento nasce ovunque, quindi…
Soprattutto in questo campo.
Sara, prima di andartene le ultimissime due cose: iniziamo dall’immancabile domanda sui progetti futuri. A cosa stai lavorando adesso?
Allora, adesso io faccio un po’ qui e un po’ là. Sto su un progetto che secondo me non è un “progettone”, quindi non vorrei fare troppo hype, però non so se lo posso dire. Quindi nel dubbio, non lo dico… però non creerei neppure un hype incredibile; siamo a metà, mettiamola così.
Ok, genere urban, fantasy, spaziale?
Urban… cioè, ci sta pure una giacca e una cravatta… che cattiveria…
Ultima, la domanda da 100 milioni di dollari: ti vedremo mai in DC?
Finché non mi scade questo contratto di esclusiva (praticamente ho venduto l’anima al diavolo) è impossibile. Anche se mi fanno la corte con dei progetti interessanti e io sono costretta a dire “zitti, non me li fate leggere”! A me piacerebbe, un giorno, devo ammetterlo.
Anche perché ormai ti mancano solo loro.
E se posso, graficamente, per me alcuni personaggi DC sono proprio superiori… Harley, Joker, Wonder Woman. Esteticamente sono molto appetibili.
Avendo visto quello che hai fatto su Scarlet Witch, penso che una tua Wonder Woman sarebbe fantastica!
Scarlet è un personaggio che non avevo mai troppo seguito. Mi son divertita, proprio tanto. Era carina, con questi capelli, il vestito che le hanno fatto, un po’ simile al classico… sono belle sinergie. Un giorno in DC… Chissà…
Grazie davvero per essere stata con noi, Sara. In bocca al lupo per tutto!
Grazie a voi e buon ARF!
Sara Pichelli
Sara Pichelli, classe 1983, marchigiana di nascita e romana d’adozione, inizia la sua carriera come storyboarder e character designer nel campo dell’animazione.
Partecipa al Chesterquest Talent Search, rivelandosi una delle Young Guns Marvel e iniziando a lavorare per numerose testate come “Namora”, “NYX”, “Eternals”, “X-Men Manifest Destiny: Dazzler”, “Runaways”, “New X-Men: Pixie” e “Astonishing X-Men”.
Nel 2012 Sara Pichelli è co-creatrice del nuovo Spider-Man, Miles Morales, che ha spopolato al cinema nel 2019 in “Spider-Man – Un nuovo universo” e ha vinto l’Oscar al miglior film d’animazione. Inoltre, è stata anche la disegnatrice della miniserie a fumetti di Spider-Man scritta da J.J. Abrams e il figlio Henry.
Nel 2018 è l’Artista che rilancia i Fantastici Quattro insieme a Dan Slott, mentre nel 2023 illustra il grande ritorno di Scarlet Witch, su testi di Steve Orlando.