Eccoci con il secondo appuntamento della rubrica dedicata ai videogiochi che nasce dalla collaborazione tra Player.it e MegaNerd. Per leggere il primo articolo, cliccate qui
Epica è una materia che nelle scuole non viene più insegnata, almeno credo, visto che sono ormai anni che non bazzico quei luoghi. Le canzoni di gesta e i poemi epici che illustravano i valori cortesi e cavallereschi facevano affiorare, in quelle poche ore didattiche settimanali, sensazioni che difficilmente un logaritmo o un genitivo riuscivano a replicare.
Quelle stesse sensazioni sono poi diventate il perno dell’esistenza di noi videogiocatori, perché l’onore, la prodezza e l’ardimento sono da sempre il fulcro della maggior parte delle avventure da noi intraprese durante una sessione di videogame.
L’amore cavalleresco, d’altronde, possiamo incontrarlo proprio in uno dei titoli simbolo di noi gamer, tanto da essere conosciuto anche da chi non ha mai toccato un videogioco in tutta la sua vita: Super Mario Bros. Il prode cavaliere che salva la principessa. Certo, Mario è un paffuto idraulico, ma chi siamo noi per giudicare come si guadagni da vivere il nostro eroe?
In verità, il titolo che più di tutti ha da sempre accomunato l’amor cortese e le gesta che ne sono conseguenza ai videogiochi, è Shadow of the Colossus. Uscito nel 2005 su Playstation 2, ha ricevuto un restauro grafico molto recentemente. Il 6 febbraio di quest’anno, infatti, il remake di Shadow of the Colossus ha rispolverato il nostro animo valoroso e intrepido. Una landa vastissima e desolata, un giovane cavaliere che porta con sé il corpo esanime di una fanciulla eterea, una voce di natura forse divina che ci intima di abbattere sedici colossi, creature alte come montagne, per riportare in vita l’amata, la folle corsa in sella al proprio destriero armati di sola spada e di un arco.
Se non è amore ai tempi dei videogiochi questo, cosa lo è allora? Non sappiamo chi sia questo Dormin che ci offre una seconda chance, non serbiamo rancore verso queste creature maestose e bellissime perché, parliamoci chiaro, i colossi non ci hanno davvero fatto niente di male. Sono rimasti confinati nella loro area, nel loro habitat, quasi in silenzio, nonostante l’incredibile mole. Molti di essi, quando ci avvicineremo, non saranno nemmeno ostili, ma continueranno ad andare per la loro strada. Solo al freddo e ferreo colpo della nostra spada, essi ci si rivolteranno contro (e non c’è da stupirsi).
Eppure, Wander, questo il nome del protagonista, è disposto ad accettare una missione suicida per riportare indietro Mono, la dolce principessa. Come Orfeo non avrebbe mai dovuto guardarsi indietro per riportare Euridice nel mondo dei vivi dall’Oltretomba, così Wander decide di non porsi molti freni. Se uccidere i colossi era l’unica via, allora doveva percorrerla.
Un leitmotiv questo che già riscontrammo in un’altra produzione di Fumito Ueda, l’incantevole e poetico ICO, che può essere senza dubbio annoverato tra i titoli più vicini all’epica e al mito. La sostanziale differenza sta nel ruolo della fanciulla che, nel caso di ICO, rappresentava una presenza costante e, in taluni casi, fondamentale per avanzare nella storia (alcune zone potevano essere liberate solo grazie ai poteri di Yorda). Insieme per sconfiggere le asperità, un obiettivo comune, avanzare mano nella mano. Tutto questo è presente in ICO. In Shadow of the Colossus, invece, la figura di Mono, è l’input che dà avvio all’avventura, all’epico viaggio. L’amore rimane per tutta la narrazione il perno delle peripezie di Wander. Se nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, l’amore di Orlando per Angelica deve farsi strada tra la guerra che vede impegnati Cristiani e Saraceni, e se nelle Argonautiche, Giasone viene inviato a cercare il mitico vello d’oro, nel titolo di Fumito Ueda l’intento di riportare in vita Mono rimane il motore della vicenda.
Shadow of the Colossus è il videogioco che meglio racconta l’amore, nonostante non ci siano cutscene altamente spettacolari e una trama spiattellata in faccia al giocatore in modo palese e a prova di idiota. Proprio per questo coglie pienamente nel segno, perché riesce a narrare un sentimento spesso difficile da decodificare, anche grazie a un gameplay più complesso di quanto possa sembrare. Si tratta di una complessità “ludonarrativa”, cioè legata, in simbiosi totale, a storia e scopo ultimo del gioco. L’amore è un sentimento che ci fa sentire leggeri e allo stesso tempo è terribilmente massacrante e sfibrante. Proprio come Shadow of the Colossus che mette in mostra un’esperienza intima, ponderata e delicata quando si esplorano i bellissimi paesaggi, ma diventa un fardello pesantissimo quando si affrontano i colossi.
Shadow of the Colossus rimane un capolavoro senza tempo perché, nella sua rappresentazione fantasy più superficiale (cioè che sta in superficie), nel suo essere sconfinato e smisurato, narra il sentimento più abusato da poeti e musicisti, ma più difficile da interpretare in assoluto, senza strafare e con una sensibilità senza eguali.
Michele Longobardi