Speciale interamente dedicato a Il Signore degli Anelli e ai film che hanno reso ancor più popolare l’opera del Professor John Ronald Reuel Tolkien
Era il lontano 2001 quando usciva nelle sale Il Signore degli Anelli: La compagnia dell’anello, primo della premiatissima trilogia di film diretti da quel mattacchione di Peter Jackson e ricordo ancora la trepidazione con la quale attendevo in fila, neanche troppo pazientemente, prima di poter entrare in sala ed esplorare per la prima volta la Terra di Mezzo, luogo che per me sarebbe poi diventato negli anni a venire, una seconda casa.
Visto e considerato che la prima volta non si scorda mai, una volta conclusa la trilogia, mi sono diretto verso la radice di tutto, ovvero il capolavoro cartaceo di John Ronald Reuel Tolkien per godere delle avventure di Frodo & co. anche in versione cartacea. Quindi come avrete capito, appartengo a quella categoria di persone che sovente, per caso o per arbitrario giudizio, si ritrova a vedere dei film prima di aver letto il libro da cui è tratto/liberamente ispirato. Detto questo, ricordo di averlo letto tre volte nell’arco di pochi anni, e come naturale e matematica conseguenza, il bambino a caccia di orchi aveva ancora fame e diresse quindi la sua attenzione verso il Silmarillion, Lo Hobbit Annotato e compagnia bella. Tutt’oggi mi piace pensare a quegli anni come a un periodo di vacanza trascorso nella Terra di Mezzo.
Direi che da allora di acqua sotto i ponti ne è passata, quindi perché parlarne oggi?
Posto che solo pochi giorni fa sarebbe stato il centoventiseiesimo compleanno del Professore, la questione è semplice ed è sulla bocca di tutti ormai la notizia che i bambini a caccia di orchi come me stavano aspettando: l’opportunità di poter compiere un altro favoloso viaggio nella Terra di Mezzo.
Ci penserà infatti Amazon Prime a saziare questo appetito (e per quanto mi riguarda, si parla di prima e seconda colazione, quella delle undici, pranzo, the pomeridiano, cena e spuntino.) con una serie TV prevista in uscita per il 2019.
“La via prosegue senza fine. Lungi dall’uscio dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti, Presto, la segua colui che parte! Cominci pure un nuovo viaggio.”
Senza fine sembra essere in effetti questo viaggio, seppure bisogna ammettere che fino ad oggi, troppo corto non lo è stato di certo. Grandi sono stati i meriti di Peter Jackson nel trasporre sul grande schermo la magia e le atmosfere originarie, pur dovendo tagliare e modificare qua e là parti che nel libro sono di grande interesse; ne è comunque venuto fuori un filmone di quasi dodici ore, vedendoli tutti e tre in versione estesa.
Per quanto mi riguarda, poco importa se non ci ha mostrato Tom Bombadil, figura sicuramente importante, ma poco idonea alle tonalità meno allegoriche della trasposizione cinematografica. È vero, egli è presente da “prima che cadesse la prima goccia di pioggia” ma in fin dei conti a lui delle sorti del mondo sembra interessare poco (e diciamo pure che Barbalbero se la cava egregiamente rubandogli il ruolo da salvatore di hobbit).
Poco importa se è Arwen, e non Glorfindel a salvare Frodo dai Nazgùl e a portarlo sano e salvo oltre i confini di Gran Burrone. Dopotutto, credo che le esigenze comunicative di un film siano differenti da quelle di un libro, e dare risalto al personaggio di Arwen (che ha un ruolo molto meno di rilievo nel libro)e conseguentemente alla sua storia d’amore con Aragorn, sia vitale ai fini cinematografici.
Poco importa se Aragorn porta con sé l’armata di morti fino a Minas Tirith e non solo fino alle foci dell’Anduin, dove nel libro sconfigge un enorme esercito di corsari e uomini del Sud. Anche il finale alternativo sembra funzionare nell’arco narrativo de “il Ritorno del Re“. Se nel film vediamo Saruman perire per mano di Grima Vermilinguo ne “Le due Torri“, nel libro lo ritroviamo alla fine, quando Frodo tornando a casa con Sam, trova la Contea messa a ferro e fuoco proprio dal malvagio Istar.
Certamente, di alcune cose avremmo fatto volentieri a meno (vedi Legolas che uccide un olifante dopo aver sterminato gli Haradrim sul suo dorso, o che surfa su uno scudo lungo una rampa di scale…) e di altre magari si è sentita la mancanza (avrebbe meritato ampiamente di essere trasposto il segmento in cui gli hobbit rimangono imprigionati nei Tumulilande, posto dove originariamente reperiscono le lame che nel film dona loro Aragorn) ma nel complesso, un capolavoro rimane tale quando sia un libro, che la sua trasposizione ci donano tale lascito.
“Fredda è la mano il cuore e le ossa,
Freddo anche il sonno che è nella fossa:
Mai vi sarà risveglio sul letto di pietra,
Mai prima che muoia il Sole e la Luna tetra.
Nel vento nero le stelle anch’esse moriranno,
Ed essi qui sull’oro ancora giaceranno,
Finché l’Oscuro Signore non alzerà la mano
Sulla terra avvizzita e sul mare inumano”.
Un magico lascito. Almeno fino al 2012, anno in cui Peter Jackson ci “fa dono” di una nuova trilogia, “Lo Hobbit“, basata sull’omonimo romanzo prequel del 1937 ma che pesca anche a piene mani nelle appendici de Il Signore degli Anelli e da altri scritti del Professore. E fin qui, tanto di apprezzabile. Nell’arco di due anni abbiamo assistito a tre film, quali “Un viaggio inaspettato” (2012), “La desolazione di Smaug” (2013) e “La battaglia DEI CINQUE ESERCITI” -non mi piegherò all’abominevole traduzione italiana- (2014) che… non sono film. Forse a causa dell’evidente fretta con la quale sono stati fatti, dei problemi relativi a Guillermo Del Toro che inizialmente aveva scritto parte della sceneggiatura e del suo successivo abbandono, queste pellicole sono state partorite in maniera piuttosto grossolana. Ma tanto era l’hype per il nuovo viaggio nella Terra di Mezzo, che ai botteghini si sono comunque fatti rispettare. Ma questo poco importa.
Il problema di questi film è che sono maledettamente moderni. Pieni zeppi di computer grafica e filtri luminosi che hanno un effetto visivo quasi stordente, almeno per quanto riguarda la mia personale esperienza quando sono andato al cinema a vederli. A tratti sembrava di guardare delle scene tratte da un videogame di ultima generazione. Per non parlare poi del doppiaggio italiano, che è talmente ridicolo da costringermi a riguardare i film esclusivamente in lingua. Discutibile anche la scelta di Proietti come doppiatore di Gandalf, apprezzabilissimo in altri contesti ma a mio parere forse il meno adatto a sostituire il compianto Gianni Musy. Che fine hanno fatto i dialoghi quasi aulici del Signore degli Anelli? Dov’è quella romantica magia capace di rapirti e trascinarti nell’universo Tolkeniano? “Dov’era Gondor quando cadde L’Ovestfalda“?
Molto godibili invece la scene fedeli alla controparte cartacea. Vedi la canzone del Re dei Goblin (seppur non uscita incolume dall’infausta traduzione italiana) o il gioco degli indovinelli tra Bilbo e Gollum. Anche Smaug, sebbene presenti qualche differenza dal libro, è ricreato in maniera magistrale e sprizza superbia da ogni squama. Ottimo in questo caso il doppiaggio, ma non è certo una novità, di Luca Ward.
Alla fine, ogni film di questa trilogia è leggermente migliore del precedente ma non si ha mai quella sensazione di appagamento, soprattutto perché si tratta della Terra di Mezzo. E soprattutto perché siamo stati abituati bene.
Purtroppo però -o per fortuna- tanto è l’amore verso questo mondo che personalmente non posso fare a meno di riguardare anche questa trilogia almeno una volta l’anno. E non posso fare a meno di aspettare con trepidazione anche la serie tv: è vero, c’è il rischio che sia un nuovo “Lo Hobbit”e con tutta l’ingenuità del caso, c’è il rischio che ci sia più dell’interesse commerciale che del romanticismo, ma lasciatemi aspettare e sperare, perché i bimbi a caccia di orchi sono così, lavorano di fantasia.
A J.R.R. Tolkien, per avermi portato dove nessuno poteva portarmi. Auguri Professore.