Esce oggi in tutte le sale The Post, il nuovo film di Steven Spielberg con due premi Oscar quali Meryl Streep e Tom Hanks. Lo abbiamo visto in anteprima e queste sono le nostre impressioni
Steven Spielberg è riuscito a stupirci ancora… ma stavolta senza ricorrere a effetti speciali di alcun tipo. Decidere di fare un film sulla vicenda dei cosiddetti “Pentagon Papers” può apparire senza dubbio interessante: costruisci uno spy movie vecchia maniera, con talpe, infiltrati e ci piazzi come protagonista un giornalista senza macchia e senza paura, che decide di affrontare il governo degli Stati Uniti d’America in nome della libertà di stampa, consapevole che le possibilità di finire in galera sono molto più alte di un eventuale successo. Una trama avvincente, con l’eroe che sfida il mondo e vince, portando verità e giustizia in una nazione devastata da una guerra che non ha mai capito.
Ma probabilmente non sarebbe stato un film di Steven Spielberg.
Il regista premio Oscar ha voluto fare un salto ancor più grande, incentrando gran parte del film su una figura che rischiava di essere marginale nella storia, ma che invece merita di essere celebrata quanto l’eroe di cui sopra. Stiamo parlando di Katharine Graham (interpretata da una Meryl Streep in grandissima forma), la prima donna a guidare un giornale importante come il The Washington Post, la cui figura si trasforma costantemente, passando da debole e timida vedova a donna di carattere, in grado di sfidare un sistema marcio fino al midollo.
Il Post lo aveva fondato suo padre, ma alla sua morte era stato ereditato da suo marito, Philip Graham, che lo fece navigare in buone acque fino al giorno del suo suicidio: da lì in poi, il giornale passò dunque nelle mani di Katharine, che tra mille difficoltà che una società fortemente patriarcale come quella degli anni 70 poteva darle, si ritrovò a gestire persino uno degli scandali più grandi nella storia degli Stati Uniti.
La forza di un film come The Post è tutta nel riuscire a raccontare un avvenimento così importante come la vicenda dei “Pentagon Papers”, senza limitarsi al passato. La storia, scritta da Liz Hannah e Josh Singer (già premio Oscar per Il caso Spotlight), in un momento in cui siamo travolti da fake news e l’informazione appare facilmente manipolabile, è drammaticamente attuale. Potrebbe svolgersi nel 1971 o nel 2018, non farebbe certo alcuna differenza.
La storia
Inizia tutto nel 1969, quando il giornalista di guerra Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), stanco delle continue menzogne che per troppi mandati il Governo degli Stati Uniti ha rifilato al popolo circa la reale situazione in Vietnam, decide di rubare un report top secret di oltre 7.000 pagine: “Storia delle decisioni U.S. in Vietnam, 1945-66”, con all’interno importanti segreti governativi. Il documento, scritto dal Segretario alla Difesa Robert McNamara (Bruce Greenwood) nel 1967, viene fotocopiato e sviscerato in più parti. Una piccola frazione di quel documento viene data dallo stesso Ellsberg a un giornalista del New York Times, il più importante giornale statunitense dell’epoca.
Il primo articolo riguardante questi documenti segreti uscì dunque sul New York Times il 13 giugno 1971, firmato dal giornalista Neil Sheehan. Il titolo, piuttosto eloquente, recitava “Archivio Vietnam: gli studi del Pentagono rivelano 3 decenni di crescente coinvolgimento americano”. Fu l’inizio della fine per il governo Nixon. Questa storia mostrò alla gente quanto fosse stato semplice manipolarla su un argomento così scottante come la guerra in Vietnam. Gli Stati Uniti sapevano che avrebbero perso, ma non volevano ammetterlo con l’opinione pubblica per evitare di mostrarsi deboli di fronte al mondo intero. Ma intanto i soldati morivano e a Washington nessuno faceva niente.
Nixon iniziò a censurare il New York Times, diffidandolo dal pubblicare ulteriormente altri documenti. Fu allora che Ben Bradlee (Tom Hanks), il testardo direttore del Washington Post, decise di cavalcare questa vicenda. In un colpo solo avrebbe tirato fuori dalla cattiva situazione finanziaria il giornale e affermato che nessun Governo, per quanto potente, può zittire la stampa, che ha il dovere d’informare la popolazione su tutto. Anche sulle verità scomode, che fanno male.
La lotta contro le istituzioni per garantire la libertà d’informazione e di stampa è il cuore del film, dove la scelta morale, l’etica professionale e il rischio di perdere tutto si alternano in un potente thriller solo apparentemente politico, esaltato da una sceneggiatura intensa, che non perde mai di ritmo. I due metteranno a rischio la loro carriera e la loro stessa libertà nell’intento di portare pubblicamente alla luce ciò che quattro Presidenti hanno nascosto e insabbiato per anni. Dopo la pubblicazione dei “Pentagon Papers”, la storia (editoriale e civile) degli Stati Uniti cambierà per sempre, segnando una enorme punto a favore della libertà di stampa.
Il film non è affatto politico, anche se il tema trattato è assolutamente quello.
The Post parla di coraggio, di una lotta apparentemente disperata contro un mostro che si chiama censura.
Un mostro che ancora oggi è in mezzo a noi, pronto ad azzannarci.
Ma se avremo il coraggio necessario per affrontarlo, sarà anche grazie a gente come Katharine Graham e Ben Bradlee. Due tizi che avevano tutto da perdere, ma che hanno conquistato la più importante delle vittorie: la verità, senza compromessi.
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