Thor, un dio per tutte le stagioni: la cronologia critica

Tra gli eroi più iconici e conosciuti, Thor è stato uno dei protagonisti con la vita editoriale più travagliata: ecco la cronologia critica delle sue (tante) run e degli straordinari autori, da Stan Lee fino al modernissimo Donny Cates

speciale thor cronologia critica

Ancor prima dell’avvento dei cinecomics (periodo che per comodità si fa coincidere con il primo film tratto dai fumetti Marvel, Howard the Duck, nel 1986), i supereroi con superproblemi sono riusciti ad assurgere al rango di icone, riconoscibili quindi ad un pubblico anche più ampio dei soli lettori delle loro avventure.

Spider-Man, Capitan America, Hulk, sono personaggi immediatamente riconoscibili anche grazie ai loro costumi non solo sgargianti, ma che restituivano il loro mondo e i contenuti delle avventure: su di loro svettava anche un dio biondo proveniente dalla mitologia norrena, ovvero il dio del tuono Thor.

Il Ragnarok, Odino, Asgard, sono elementi di un pantheon già strutturato che Stan Lee ebbe l’intelligenza di declinare secondo i suoi parametri superomistici, uniti alla struttura narrativa da soap opera (triangoli amorosi, identità segrete, colpi di scene) che ha fatto il successo editoriale della formula: in mezzo a tutti si stagliava Thor.

Un dio, sì, ma con problemi particolarmente “umani” dovuti al suo peccato di yubris, che portò il padre Odino a trasformarlo in un comune mortale, per di più con un difetto fisico (la zoppia), rendendolo un personaggio nel quale era molto facile immedesimarsi.

Sono stati tantissimi, ovviamente, i diversi team creativi che hanno raccontato le gesta del dio del tuono più amato dei fumetti. La storia inizia ovviamente con il sorridente accompagnato dalle epiche matite di Jack Kirby.

UN DIO TRA GLI UOMINI, UN UOMO TRA GLI DEI

Cominciano dalla parte più difficile. Come spesso accadeva in quegli anni, la Marvel Comics testava i nuovi eroi su testate antologiche: come per Captain America (la cui prima avventura venne pubblicata su Tales To Astonish), fu così anche per Odinson, che si affacciò nel parco editoriale della Marvel sul numero 83 di Journey Into Mistery dell’agosto 1962.

Con il numero 125, la serie senza cambiare numerazione viene ribattezzata Thor (vol.1), cambiando ben presto logo in The Mighty Thor.

Nonostante quello che può sembrare in apparenza, Thor non è un personaggio facile da scrivere. Come Lee scoprirà dopo una manciata di numeri, e come la Marvel stessa si rese conto decenni dopo (ma ne parleremo ancora), raccontare le avventure di un vero e proprio dio in terra non era una passeggiata: è per questo che solo all’inizio il dio del tuono fu trattato come una specie di Superman affrontando minacce iperboliche, spesso aliene, che venivano risolte trascurando il ricco pantheon divino dietro la figura mitologia.

L’intuizione di Lee si basava, infatti, su due presupposti: sul prendere un personaggio norreno e sul portarlo a vivere una vita da mortale sdoppiandolo. Nel biennio 1964/65 fu la parte mortale di Thor a contribuire sul versante superproblemi, ma lentamente il Sorridente introdusse sul suo mensile Odino, Balder, Loki, e gli abitanti di Asgard la favolosa iniziarono ad avere un ruolo prevalente nelle storyline, avvicinando la testata ad alcuni lidi narrativi fantasy che diventeranno il marchio di fabbrica del personaggio.

Fin troppo si è invece parlato della potenza espressiva di King Kirby: che invece proprio su questa testata diede il suo meglio (insieme a Fantastic Four), perché ebbe modo di asservire la naturale grandeur del suo segno grazie alle guglie inarrivabili e al Bifrost, il ponte arcobaleno della regale dimora degli dei.

Un fluire dinamico dell’azione e dei movimenti da una vignetta all’altra, una potenza visiva impressionante, uno storytelling mai visto, una modernità -per i Sixties- inarrivabile, insomma uno stile che reinventava gli stilemi della narrativa disegnata nei comic book statunitensi (e non solo).

Per quanto però il “metodo Marvel” (ovvero, Lee scriveva il canovaccio della storia, il disegnatore pensava a come svolgerla e ne scriveva e disegnava le pagine, che poi tornavano a Lee per essere riempite con i dialoghi) desse campo libero agli artisti della tavola da disegno lasciando meno oppresso lo scrittore, era ovvio che il ritmo non poteva essere retto: il boss della Marvel, trovatosi a scrivere diverse testate ogni mese, dovette giocoforza abbandonare una ad una le sue creature. A Thor toccò nel 1972, con il n. 195, perdere il suo deus ex machina, posto che fu riempito da Gerry Conway.

L’autore che altrove rivoluzionò Spider-Man con la morte di Gwen Stacy e l’introduzione di Punisher (solo due delle sue innumerevoli trovate), su Thor si trovò con le mani legate: la serie aveva una sua ben precisa impostazione, e fu quasi costretto a seguire il solco tracciato dal predecessore, come più o meno accadde in tutte le testate di successo che Stan Lee dovette abbandonare negli anni Settanta.

Il ciclo di Conway fu perciò molto classico, senza nessun tipo di rivoluzione se non per un uso ancora più massiccio della parte divina del biondo supereroe, graziato soprattutto dalle matite michelangiolesche di John Buscema. Proprio come fu per Kirby, anche Big John diede il meglio di sé con le sue figure possenti e plastiche, dando la fisionomia definitiva ad Asgard e a Thor stesso.

Conway lasciò la testata nel 1975 con il n.241 a Len Wein, mentre ai disegni Buscema rimase ma alternandosi al fratello Sal, meno dotato ma abbastanza efficace; nel 272, appena un anno dopo, arrivò invece Roy Thomas, vero e proprio caposaldo della Casa delle Idee.

Le sue sceneggiature continuavano ad avere il gusto di una replica sempre più fiacca di Lee, ma l’autore ebbe l’idea di strutturarle come un’opera teatrale nel quale i personaggi avevano ognuno un ruolo, e nonostante oggi i testi non sembra possano resistere all’usura del tempo, sul lungo percorso Thomas (un po’ come fece su quegli Avengers dove era stato poco tempo prima) ebbe ragione costruendo una continuity serrata che si concluse con una delle saghe rimaste nella Storia, ovvero il Ragnarok, l’armageddon letterario norreno che più volte era stato paventato dagli dei e che ora si abbatteva su Asgard. Buscema toccò forse il suo vertice assoluto con questa trama, inchiostrato da un’altra leggenda immortale, Tom Palmer.

Il buon Roy ebbe appena il tempo di concludere la sua Saga dei Celestiali  (lunga e tortuosa, ma non abbastanza coesa per reggere il peso degli anni) che con il numero anniversario 300 fu costretto a lasciare il posto prima a Gruenwald, poi Doug Moench e infine ad Alan Zelenetz ai testi, con le tavole curate perlopiù da  Keith Pollard.

Sembra impensabile oggi, ma allora le run dei diversi scrittori duravano anni e anni: era strano dunque che su una testata popolare come Thor i tre appena citati vennero e andarono a ritmo quasi frenetico. In realtà, nel 1983 Thor era ad un passo dalla chiusura, e l’editor in chef Jim Shooter, noto per i suoi geniali guizzi di modernità, decise di sperimentare e affidare la testata ad un nome all’epoca poco conosciuto, che aveva in passato disegnato qualche numero del tonante (reso però pesante dalle chine di Tony De Zuniga) ma che adesso si vedeva assegnata una delle testate storiche della Marvel anche per i testi. Il nome di questo sconosciuto era Walt Simonson.

RAGNAROK & ROLL!

I Fantastic Four di John Byrne, il Daredevil di Frank Miller, l’Hulk di Peter David, gli XMen di Chris Claremont, sono le saghe che più delle altre non solo hanno portato la Marvel degli anni ’80 a consolidare il suo potere editoriale, ma anche a portare il fumetto mainstream nell’era moderna abbattendo le distinzioni tra fumetto popolare e fumetto d’autore. Un elenco che non può che comprendere anche il Thor di Walt Simonson. (Thor #337/382, in Italia su Marvel Omnibus: Thor di Walter Simonson, voll. 1 e 2, ed. Panini Comics)

Un Thor finalmente – di nuovo – enorme, enfatico, potente, bellissimo, con una sintesi artistica nervosa e dinamica e fascinose tematiche asgardiane.

Come abbiamo visto (e come vedremo anche più avanti), gli ingredienti della testata sono sempre stati, fin dall’ideazione di Lee, due: Asgard e New York, la leggenda nordica e quella metropolitana moderna.

In realtà, Simonson mescolò la mitologia Marvel con quella scandinava in maniera molto disinvolta e libera: e la sua proto-destrutturazione (che porterà in seguito alle rivoluzioni copernicane di Gaiman, Moore e Miller) parte proprio dalla prima copertina (con Beta Ray Bill che rompe il vechcio logo) e dalla scritta impressa sul martello di Thor, riproposta sulla cover del leggendario numero 338, “whosever holds this hammer, if he be worthy, shall possess the power of Thor”. Una frase che riecheggia i miti arturiani che nonostante la sua importanza non era mai stata esplorata fino in fondo.

Perché, nella declinazione simonsoniana che aprirà le porte ad innumerevoli rivisitazioni fino a quelle moderne di Jason Aaron, l’iscrizione sottintende che potrebbe esserci qualcun altro altrettanto degno… tutto questo accade all’inizio del ciclo sulla testata, ne è il presupposto, coinvolgendo il lettore in una scoperta dove viene svelato, inaspettatamente, che tutto ciò che si credeva di conoscere del protagonista è frutto di un equivoco, o è una verità molto parziale, e che gran parte della storia o quantomeno una parte fondamentale non è ancora stata rivelata.

È questo il segreto che ha permesso ad una serie pluriennale un senso di novità fornendo all’autore un terreno su cui edificare una propria costruzione, rimettendo in moto una continuità narrativa dopo tanti anni divenuta stantia: ed è questa anche la chiave dietro le run rivoluzionarie di sopra, da David con il suo Golia Verde a Byrne e il fantastico quartetto, ovvero trovare aria nuova che però non rinneghi, anzi consolidi, ciò che già si conosce.

E alterare i personaggi rientra senza dubbio nel processo di destrutturazione che, nei comics americani, si farà via via più consapevole e maturo con Alan Moore e i suoi Swamp Thing e Watchmen, perché cambiare costumi e attributi può sembrare superficiale, ma non lo è.

Molti critici, rispetto alla storica saga di Jim Shooter e Mike Zeck Marvel Super Hero Secret Wars, dissero che la Marvel si era limitata a cambiare i costumi dei propri eroi, in realtà occorre partire dal significato dei costumi in rapporto ai contenuti delle storie e il simbolismo dietro di esse. Perché i supereroi si vestono così?

Certo, per essere facilmente riconoscibili nella vignetta. Non bisogna mai dimenticare che in origine il fumetto di supereroi era pensato e diretto a ragazzi all’inizio della loro storia di lettori: il costume in spandex dai colori sgargianti metteva in evidenza la muscolatura fuori dal comune e mandava un messaggio chiarissimo, che raggiungeva con precisione il suo bersaglio, cioè (soprattutto) il bambino di cinque anni, questo è l’eroe!

Ma siamo negli anni Ottanta, il fumetto come abbiamo detto sta per essere sdoganato dai grandi autori per passare a media di massa, scalando il proprio target dai bambini ai ragazzi per arrivare, con le graphic novel, agli adulti: conseguentemente, il costume cominciava a non essere più necessario.

marvel age

Spider-Man indossa allora un costume nero, Hulk diventa grigio, Capitan America perde le stelle e strisce,,, e il Thor di Simonson indossa un’armatura e si fa crescere la barba perché orrendamente sfregiato da Hela. Il processo di destrutturazione è appena agli inizi, ma si gettano qua le basi perché la narrazione superomistica e a fumetti tout court sperimenti nuove forme espressive smontando e riorganizzando ciò che gli autori che la avevano ideata avevano creato.

È per questo che il Thor di Simonson è così importante, rappresentando un’ispirazione per molti autori e “un punto di partenza più che un momento di transizione”.

TUONI E FIORI TRA LE MACERIE

È cosa nota che dopo un grande ciclo sia difficile riuscire a trovare un autore all’altezza dei confronti. E la run di Simonson non solo è qualitativamente eccelsa, ma in più prima di tutto si incastona in un periodo particolarmente fecondo, come abbiamo visto, per la Marvel, quegli anni Ottanta di rinascita e riconferma; e in secondo luogo, rompe più di uno schema e si pone come pietra di paragone per il fumetto tout court.

Nessuno avrebbe ovviamente potuto reggere il confronto, la cosa più giusta da fare era tornare in qualche modo ad atmosfere classicissime e insieme familiari. Ci pensa allora Tom De Falco, onestissimo mestierante (nonché anche curatore di testata) che tenne la testata dal numero 383 del settembre 1987 fino al  459 del febbraio 1993, per ben sei anni -dopo i cinque, gloriosi di Simonson. De Falco ha chiare doti di tessitore di trame, forse meno brillante nei testi, e ancor più appannato nei sottotesti: ma dopo un primo periodo di rodaggio, riesce a dare una identità ben precisa al suo tonante, addirittura facendo germinare dalla testata principale il primo spinoff dedicato al Dio del Tuono, Thunderstrike.

Il secondo umano biondo a brandire un martello è Eric Masterson, un architetto divorziato e con un figlio (Kevin) che stringe una profonda amicizia con il dio del tuono originale. Eric rimane ferito durante una battaglia che vede coinvolto Thor, il quale preso dai sensi di colpa chiede ad Odino di aiutare l’amico: il padre di tutti, per salvargli la vita, fa allora un incantesimo con cui, pur lasciandone separate le personalità, fonde fisicamente i due (Eric appare per la prima volta su Thor vol.1,  # 391, maggio 1988, in Italia su Il Mitico Thor # 34, ed. Play Press, mentre il suo alter ego su Thor vol.1 #432, in Italia su Il Mitico Thor # 57, ed. Play Press).

In seguito, quando Thor sembrò uccidere il suo fratellastro Loki, Odino per punirlo esilia il figlio in un luogo sconosciuto, e il Mjolnir insieme ai poteri divini passano ad Eric che, battendo il proprio bastone per terra, si trasforma in un essere in tutto e per tutto uguale a Thor.

Questa breve sinossi lascia intravedere chiaramente la direzione della run di De Falco (accompagnato da un Ron Frenz particolarmente classicheggiante e molto adatto alle atmosfere volute dall’autore): piena di colpi di scena e situazioni tipiche da feuilleton supereroico, con morti e resurrezioni e soprattutto terremoti narrativi per i personaggi della serie.

Quando il vero Thor tornò, Eric continuò a brandire il suo martello incantato a proteggere la terra con il nome di Thunderstrike, mentre l’originale figlio di Odino tornò ad Asgard per restare con la sua amata Sif.

Erica Masterson, o meglio Thunderstrike, ebbe anche l’onore di una sua miniserie personale durata 24 albi (dal 1993 al 1995), ma il personaggio al di là delle fortune strettamente editoriali riscosse il gradimento del pubblico anche perchè fece parte degli Avengers in alcuni dei periodi più floridi del supergruppo: Masterson, pur avendo la stessa potenza di Thor, era decisamente più inesperto nei combattimenti alternando imprese audaci a clamorose gaffe. Strinse amicizia con Ercole e Quasar e viene istruito da Capitan America in persona, per andare incontro al suo doloroso destino di lì a poco.

black galaxy saga

Nel bene e nel male, De Falco riuscì a traghettare la testata del tonante dopo il ciclone Simonson, e a portarla tra le più vendute e apprezzate della Marvel. Eppure, un personaggio complesso e con caratteristiche così sfumate come quelle di Thor continuava ad essere difficile da inquadrare e soprattutto da scrivere in maniera coinvolgente.

La testata fu affidata ad un anonimo Roy Thomas con le matite sinceramente indigeribili di M. C. Wyman (si era in piena era Image, quindi tutti inseguivano anatomie sproporzionate a discapito di leggibilità e scorrevolezza), fino a trovare un piccolo spiraglio di luce con un apprezzabile ciclo ad opera di Warren Ellis e William Messner-Loebs, affidando i disegni ad un allora esordiente ma già notevole Mike Deodato Jr (dal 491 al 502, in Italia su Capitan America & Thor della Marvel Italia dal # 26 e poi in Supereroi Le Leggende Marvel #13, Il Motore Del Mondo, RCS Quotidiani).

Il comicdom statunitense in quel periodo attraversava una delle sue fasi più turbolente: l’avvento dell’era moderna aveva imposto un drastico cambio di marcia non solo alla narrazione ma anche e soprattutto al look degli eroi  e alle loro storie, che si tramutano in grandi e piccoli eventi costruiti su schiene spezzate, cloni a non finire, morti e resurrezioni.

Metodi spicci, giustizia sommaria, giubbotti indossati su calzamaglie attillatissime, nessun supereroe poteva esimersi dall’attraversare quella soglia.

Cosa c’era allora di più insolito e moderno di uno scrittore iconoclasta come Ellis (e poi uno molto indi come Loebs) su un personaggio classico come Thor?

thor ellis deodato

Il Motore Del Mondo (World Engine) rappresentò allora il culmine di un ciclo rivoluzionario – ma purtroppo non particolarmente apprezzato alla sua uscita – con un intreccio inestricabile fra fantascienza cyberpunk e mitologia nordica: una run che probabilmente avrebbe meritato uno svolgimento più lungo e disteso, se non fosse stato che nel settembre del 1996 tutte le testate degli Eroi vennero coinvolte nell’evento Heroes Reborn (per maggiori informazioni sull’evento, ecco qui le nostre spiegazioni!), costringendo quindi i team creativi a concludere bruscamente le loro narrazioni.

NUBI ALL’ORIZZONTE

Heroes Reborn (ovvero Avengers, Captain America, Iron Man e Fantastic Four appaltate all’Image) fu un mezzo successo, che però non prevedeva la rinascita anche per il biondo asgardiano: Thor infatti non faceva parte delle testate prese in cura dai top artist dell’epoca, e in considerazione della sparizione del personaggio dalla Terra 616 cambiò semplicemente nome in Journey Into Mistery: dal #503 al #513 le avventure erano dedicate agli Dei Caduti, con De Falco ai testi e Mike Deodato ai disegni.

Un arco narrativo trascurabile e opaco, che avrebbe dovuto condurre il protagonista assente fino al suo ritorno, con Heroes Return… che invece non tornò: quando gli Eroi tornarono su Terra 616 dalla dimensione tascabile creata da Franklin Richards, Thor non era tra di loro.

thor heroes return

Per lui si dovette aspettare un altro anno, perchè Thor vol. 2 #1 uscì solo nel luglio del 1998. Un ritorno tardivo per cui forse era valsa la pena aspettare: perché l’arrivo del dio del tuono dopo l’assenza prolungata fu fatto dalla Marvel in pompa magna, con un team creativo (all’epoca) di grido come Dan Jurgens e John Romita Jr.

Lo scrittore aveva saputo fare tesoro delle traversie passate dalla testata, e catturò gli elementi migliori che rendevano Thor così epico: in primis, il conflitto umano/divino, nucleo fondante accompagnato da atmosfere ospedaliere (Jake Olson è il nuovo alter ego di Thor, dopo il dott. Donald Blake), e poi fuse la tradizione superomistica portata avanti da De Falco con la grandeur mitologica di Simonson. Il tutto raccontato con il ritmo straordinario dato ai layout da un vero fuoriclasse come Romitino, che restituì in pieno a Thor la sua possanza e l’epicità della figura.

Certo, siamo lontani anni luce dal revisionismo sfiorato da Ellis e Messner-Loebs, ma forse in quel momento a quella testata serviva proprio questo, ovvero due artisti che sapessero prendere il meglio della tradizione e fonderla con quanto di moderno richiedeva e allo stesso tempo proponeva il mercato.

The Mighty Thor di Jurgens conseguentemente spopolò, almeno fino a che non si scontrò con il suo peggior nemico: la Marvel stessa.

Siamo nel nuovo millennio, e nel 2000 le strategie di comunicazione e di marketing della casa editrice stanno cambiando per sempre.

Sono lontani i tempi in cui una testata poteva restare affidata allo stesso autore per anni e anni – i soli De Falco e Simonson avevano firmato le storie per più di dieci anni in due -, e il mercato è sempre più agguerrito perché ora non c’è solo la DC Comics a guadagnarsi lettori tra i fan dei supereroi, ma è arrivata la Image a sparigliare le carte e a moltiplicare l’offerta (mentre la domanda rimane sempre uguale).

Questo, unito alla circostanza per cui difficilmente un disegnatore resta per più di 25 numeri sullo stesso eroe, ha fatto sì che come tantissime altre testate partite a razzo anche Thor vol.2 si spegnesse lentamente negli entusiasmi del grande pubblico e della stessa casa madre: per Jurgens, che rimane a scrivere le storie, però in maniera progressivamente sempre più stanca, la superstar Romita Jr viene sostituita prima da Lee Weeks e poi, in un tourbillon che rende difficile l’identificazione del prodotto Arrivano Andy Kubert, Tom Rainey, Joe Bennet, Stuart Immonen, Erik Larsen, Alan Davis, Paco Medina, Scott Eaton, Andrea De Vito. E tutti in soli 50 albi. È chiaro che la coerenza artistica ne risente, così come le trame di Jurgens, che per quanto sono congegnate sul lungo periodo, non possono affrontare la prova del tempo.

ragnaroks

È un lento disfarsi, pur con buone storie, che si trascina stancamente finchè nel 2004 il testimone dei testi viene preso da Michael Avon Oeming che pianifica e racconta un nuovo Ragnarok per Asgard. Questa volta, però, non solo minacciato come in passato, ma reale.

E tutti gli dei muoiono.

IL VALORE MODERNO DEGLI DEI

Il Ragnarok sembra allora seguire non solo la narrazione, ma anche l’evoluzione editoriale del dio del tuono. Oeming lo racconta per filo e per segno, e seppure con qualche lungaggine e ridondanza nei dialoghi restituisce una storia definitiva sul crepuscolo degli dei.

Dobbiamo infatti aspettare altri tre anni per vedere rispuntare nelle edicole statunitensi le guglie dorate di Asgard: compito che viene affidato a J. Michael Straczinsky, abilissimo autore televisivo (è suo il capolavoro di sci-fi moderna Babilon 5) e lucidissimo narratore di storie, accompagnato dalle tavole magiche di Olivier Coipel. Altro giro, altra attesa, altro ritorno che fa faville: il Thor di Straczinsky descrive il mondo norreno nella sua interezza, fierezza e crudeltà, senza arretrare dietro piacevolezze da easy telling. Thor diventa sempre più simile alla sua controparte mitologica, ovvero fiero e orgoglioso, così come testardo e presuntuoso, descritto con testi semplici e penetranti, pieni di introspezione.

Il Thor del nuovo secolo copre la gamma emotiva dall’odio all’amore, dalla rabbia alla dolcezza, con un pantheon di personaggi finalmente di nuovo reali e tridimensionali, moderni e appaganti.

thor straczynski coipel

Da parte sua, Coipel restituisce tavole con volti marmorei, morbidi e aguzzi nello stesso tempo, con una potenza emotiva che esplode nel dettaglio con un tratto pulito e preciso: e quando si alterna con Marko Djurjevic, che pian piano prende il suo posto come artista titolare, il passaggio non solo è indolore ma addirittura necessario, seguendo l’ineluttabilità delle trame di Straczinsky.

Thor vol. 3 si ferma al numero 12, per proseguire immediatamente riprendendo la numerazione storica una volta arrivati al 600; e nel 603 i testi passano in mano a Kieron Gillien. Lo scrittore di Stafford fa di tutto per mantenere le atmosfere sospese del suo predecessore, ma anche grazie ai disegni di Billy Tan lentamente preme l’acceleratore sul lato fantasy.

Gillien è senza dubbio uno dei migliori autori del panorama mondiale attuale, e in breve tempo si impossessa di Thor e lo rende un suo personaggio: al punto che nel 2011, durante l’evento Marvel Fear Itself, sulla scia delle sue narrazioni sul mensile principale rinasce per l’ennesima volta Journey Into Mistery e viene affidata proprio a lui.

Il Thor di Gillen dimentica quasi completamente la sua controparte terrena, e insieme a Journey si misura con la componente mitologica: addirittura, sulla testata gemella Gillen imposta come protagonista il dio degli inganni, quel Loki che proprio in quel periodo stava vivendo una nuova (prima?) giovinezza.

Durante la saga Assedio (The Siege, in Italia Marvel Miniserie #108/113, o anche Grandi Eventi Marvel: Assedio, ed. Panini Comics) Loki, dopo aver affiancato il fratello e portatosi dalla parte dei buoni, viene ucciso da Void. Colpito dal gesto di bontà, Thor si reca alla sua ricerca nel Regno di Hel ma lo ritrova a Parigi, sotto le spoglie umane di un ragazzino borseggiatore di nome Serrure (dal francese serratura, in inglese lock, assonante a Loki): dopo averlo convinto a seguirlo fino ad Asgard, gli ridona i poteri divini pur mantenendone i tratti adolescenziali.

Il nuovo Loki sembra non ricordare nulla del suo passato, ma viene ugualmente trattato con rancore e diffidenza. Poco dopo, Loki/Serrure intraprende un viaggio mistico al termine del quale incontra una vecchia versione di sé stesso che, dopo avergli rivelato di aver scelto di morire perché stanco di vivere, si offre di rimanere al suo fianco sotto forma di gazza facendogli da guida spirituale e venendo chiamato Ikol (Loki al contrario).

In seguito, il giovane Loki scoprirà che la sua essenza è rimasta legata ad un artefatto che consentirebbe a Mephisto di dominare il mondo: e questo fa parte di un machiavellico piano di Ikol per costringere la sua reincarnazione a cedergli il controllo del giovane corpo, in quanto il solo modo per distruggere l’artefatto è che Loki cessi di esistere. Con la cancellazione della coscienza del giovane Loki, dunque, tale condizione viene esaudita e Ikol, occupato il corpo di Serrure, torna ad essere il perfido Loki.

Loki

Gillen si conferma autore di razza, ed è affascinante leggere il suo Loki che permette di vedere un personaggio vecchio di decenni sotto una luca completamente inedita e nuova: nonostante la trama labirintica, Journey Into Mistery ha un ritmo lento e meditativo, e il suo sviluppo si articola attraverso i dialoghi e le riflessioni del narratore.

world eaters

I disegni di Doug Braithwaite (su Journey) e Pasqual Ferry (su Thor) confermano un ciclo raffinato e intelligente.

Nel 2011 Thor ricomincia (ancora) da uno con i testi di Matt Fraction: l’autore inglese, vincitore di un Eisner Award per il suo -allora- recente, ottimo The Invincible Iron Man, continua in un certo senso nel solco tracciato da Gillen con testi sofisticati e intelligenti ben resi dagli splendidi disegni di Oliver Copiel e di un esordiente Pepe Larraz: in particolare Copiel, dalle lontane influenze europee, ha uno stile cartoonesco particolarmente efficaci nelle espressioni, suggestivi nelle splash-page, splendidamente ombreggiati L’avvio propone spunti interessanti, con un portale tra due mondi (Asgard e la Terra) che si manifesta a Broxton, in Oklahoma, dove dopo gli eventi del crossover Assedio (The Siege, in Italia su Marvel Miniserie) si è spostata, sospesa a qualche metro dal terreno, tutta Asgard. La run di Fraction dura poco (22 numeri), e sul finire presenta un colpo di scena epocale riguardante Silver Surfer.

Nel 2013 è la volta di Jason Aaron, che inaugura il ciclo del Marvel NOW!: per Thor non si tratta solo di un’ennesima rinascita, ma dell’inizio di un ciclo che durerà ben sette anni e che entrerà nella storia.

MACELLARE GLI DEI

I testi di Aaron sul dio del tuono attraversano diversi rilanci del parco testate Marvel, con tantissime svolte narrative che sembrano aver cambiato per sempre il mondo del biondo eroe norreno. Le storie di Thor acquisiscono un’intensità che mancava da troppo tempo sulla serie: è un (lunghissimo) racconto complesso, stratificato e amatissimo da fandom e critica.

thor aaron

Si parte con Thor: God Of Thunder (25 numeri disegnati prima dal pittorico e stupefacente Esad Ribic, poi dal classico moderno Adam Kubert), che si intreccia prima con il crossover Original Sin, nel quale avviene un colpo di scena da lasciare a bocca aperta: dopo lo scontro con Gorr, il macellatore di Dei, e durante le indagini per scoprire chi ha ucciso Uatu l’Osservatore, Thor diventa indegno di impugnare il Mjolnir. Le conseguenze sono sbalorditive: prima il figlio di Odino perde i suoi poteri diventando semplicemente Odinson, poi il martello viene impugnato da un personaggio inizialmente misterioso che non solo non è più il solito, ma è anche una donna.

La serie riparte allora da 1, con la meravigliosa rivelazione di Russel Dauterman alle matite: dura otto numeri per poi lasciare il campo a The Mighty Thor vol.2, che prosegue fino al numero 23 per alla fine ritornare alla numerazione originale di Thor vol.1, che riprende dal 701 fino al 706 tornando poi ancora con un nuovo numero 1 per Thor vol.5 (d’ora in poi con la doppia numerazione, ovvero quella classica denominata Legacy, e quelle nuove) per 16 numeri. In mezzo, cinque numeri di The Unworthy Thor sempre scritti da Aaron e disegnati da Coipel a raccontare la vita de figlio di Odino mentre non era degno del martello.

mighty

Per quanto la numerazione cronologica faccia venire il mal di testa, i sette anni di Aaron sul tonante sono una delle pagine migliori del fumetto tout court: non solo l’autore texano riesce a rileggere con efficacia ed intensità un personaggio a fortissimo rischio di banalità, ma addirittura i circa 80 numeri che compongono l’affresco mettono in scena nuovi personaggi e nuovi scenari che fin da subito risuonano come classici moderni o instant cult.

Approfondimento psicologico, triangolazioni amorose, globalizzazione, ecologia, superomismo purissimo, continuity, nuovi e vecchi villain: tutto contribuisce a rendere la lettura appassionante e tonificante, dando una mano di nuovo alla mitologia norrena interna alla Marvel e disegnando le traiettorie per gli anni a venire.

DA QUI ALL’ETERNITÀ

Il Thor di Aaron si conclude con il numero 16 di Thor vol.5 (722, secondo la numerazione legacy), per ripartire subito dopo con Thor vol.6 ad opera di Donny Cates e Nic Clein.

Si sa che dopo una run particolarmente forte è inutile cercare di seguire le orme dei predecessori: Cates, già esperto in materia di destrutturazione (è suo il fenomenale rilancio/rilettura di Venom), apre in medias res continuando le avventure asgardiane nel post-Guerra dei Regni, con Thor al posto di Odino come reggente di Asgard e Padre Di Tutti.

thor

Da qui, lo scrittore inizia a dipanare un arazzo che si percepisce fin dalle prime pagine grandioso, con idee bigger than life e una idea del personaggio ben salda e coerente: senza voler rinnegare a tutti i costi quello che si è appena letto, le matite di Clein sui testi di Cates riescono a lanciare Thor verso nuove sfide e ambientazioni, allargando l’ambito e disegnando nuovi interessantissimi scenari. Cates colpisce duro con qualche colpo di scena particolarmente abbacinante, ma i testi hanno un’innegabile armonia costruttiva che lascia sbalorditi per approfondimento psicologico in alcuni passaggi.

Insomma, Cates conferma di avere piani a lung(hissim)o termine per il personaggio.

E i lettori sono ancora qui ansiosi di scoprire quali.

Per Asgard!


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