Abbiamo visto in anteprima Una luna chiamata Europa, ultimo film di Kornél Mundruczó. Ecco le nostre riflessioni a caldo
Galileo scoprí quattro satelliti naturali; uno di questi è la luna di Giove capace di celare, sotto la corteccia di ghiaccio che lo avvolge, un oceano e dei geyser potentissimi. È a questo aneddoto scientifico che Kornél Mundruczó s’ispira per il titolo del suo ultimo film – “Jupiter’s moon” (Una luna chiamata Europa, nella versione italiana) – in uscita nelle nostre sale il 12 luglio 2018.
Grazie a Movies Inspired, MegaNerd ha potuto vederlo in anteprima, ed eccoci pronti con qualche riflessione a caldo da condividere col nostro pubblico.
All’inizio di “Una luna chiamata Europa” c’è soprattutto l’Ungheria di cui sentiamo parlare distrattamente alla tv; quella che erige muri, che respinge i profughi siriani che, attraverso la Bosnia, cercano di raggiungere un rifugio sicuro in Europa. Nel film, a fermare i migranti c’è una polizia cinica e spietata che disperde, spara e recupera corpi tra le sterpaglie e il fango, in un contesto quasi post-apocalittico. Tra i tanti volti c’è quello di Aryan che, durante la fuga dalla polizia, perde suo padre e resta solo. Smarrito, spaventato, bloccato tra grida e spari viene colpito in pieno da tre colpi d’arma da fuoco. Lo vediamo cadere a terra, contorcersi, quasi spirare e poi “risorgere”, in un’ascesa fluttuante verso il cielo, quasi a mutarsi in una figura angelica.
È da qui che il film cambia completamente, in un’affannosa e a tratti superba ricerca di spiritualità (chiaramente religiosa) che trova nei falsi miracoli – così come nell’attesa di quelli veri – una via per spiegare il cinismo, la confusione, il ripiegamento dei nostri tempi. Così un medico trasandato e alcolizzato incrocia la strada di Aryan e prova a servirsi dei poteri del ragazzo per raggiungere uno scopo tutt’altro che umanitario: accumulare molti soldi per chiudere i conti con una storia del passato. Anche il poliziotto che gli ha sparato cerca Aryan per riportarlo al campo profughi da cui si è allontanato. Ma i piani non sono mai lineari: nessuno agisce fino in fondo il bene e nessuno è universalmente malvagio. Allora tra fughe, nascondigli ed inseguimenti le storie s’incrociano intorno al giovane siriano finendo col convergere lungo un percorso che sa di redenzione, il solo (forse) capace di allontanare i demoni dei protagonisti.
Kornél Mundruczó, classe 1975, dal 2000 ad oggi ha diretto diversi lungometraggi presentati a Cannes. “Una luna chiamata Europa” originariamente, doveva essere ambientato nel futuro ma, a lavorazione iniziata, il presente è risultato essere più distopico e incerto di qualunque immaginabile domani. Seppur ricco di spunti ed intuizioni sia sul piano narrativo che su quello visivo, il film finisce col perdersi in un eccesso di ambizione che ne fa un prodotto solo parzialmente riuscito, a tratti astratto dall’obiettivo globale che si è dato nelle premesse, ma certamente meritevole di un’opportunità da parte del pubblico.
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