Capolavoro del regista Mamoru Hosoda, questo anime ci arriva dritto al cuore, raccontandoci una storia d’amore tra una ragazza giapponese e un uomo lupo. L’amore di una madre sola con due bambini diversi dagli altri fa capire quanto di bello può riservarci la nostra strada e quanto ancora del mondo non sappiamo. Questo è Wolf Children
Nella vita capita d’imbattersi in storie e racconti davvero improbabili, scene che siamo consapevoli di non poter mai vivere, personaggi inesistenti e situazioni troppo improbabili per appartenere alla normalità. Eppure ascoltandole o guardandole, anche più volte, ci si rende conto che tutto quell’alone irreale spesso è davvero di poco conto. Alla fine di queste storie, nolenti o volenti, ci si sente esattamente come i protagonisti e non come uno soltanto, si finisce per entrare nei panni di tutti loro. Alla fine ci si sente carichi di talmente tanti sentimenti ed emozioni da rimanere quasi spaesati, ed è tutto merito del narratore, del regista, dello sceneggiatore, di chi ci ha permesso di dare vita a qualcosa che era dentro di noi senza nemmeno razionalizzarlo.
Io, alla fine di Wolf Children, mi sono sentita mamma senza mai esserlo stata, bambina e anche… lupo!
Questa specie di favola comincia con Hana, studentessa di una grande città, una ragazza che affronta la vita sempre col sorriso, decisa a non abbattersi mai e ad andare fino in fondo ad ogni cosa.
All’università resta colpita da un ragazzo molto solitario, dal fascino misterioso e sfuggente. Riesce un giorno ad avvicinarlo e i due cominciano ad instaurare un legame molto delicato, finché sboccia un amore che va oltre la loro natura: il ragazzo discende da una stirpe di lupi Giapponesi, dunque è per metà umano e per metà lupo. Hana decide di accogliere tutto ciò che per lei è nuovo, il mondo è pieno di un’infinità di cose ancora da scoprire ed amare. Insieme decidono di vivere una vita da umani e il lupo è costretto a reprimere ogni suo tipo di istinto, a nascondersi agli occhi del mondo.
Insieme hanno Yuki, una bambina vivacissima (narratrice di tutta la storia), e dopo un anno dalla sua nascita già sono in attesa del secondo bambino, Ame. Purtroppo prima che venga al mondo, per motivi sconosciuti agli umani, il padre sparisce. In una notte di pioggia, Hana s’imbatte nel suo corpo privo di vita, con le sembianze di lupo, mentre alcune autorità si occupano della sua rimozione, prelevandolo dal fiume della città. Comincia per lei una vita nell’ombra, i suoi due bambini sono entrambi per metà lupi ed è intenzionata a farli crescere liberi di vivere appieno la loro vera natura, per poi permettergli un giorno di scegliere da soli la propria strada.
I giorni passano affrontando i problemi più impensabili, come quello dei malesseri dei piccoli: bisogna portarli all’ospedale o dal veterinario? Bisogna vaccinarli e mandarli a scuola o tenerli segregati? Farli trasformare liberamente o reprimere i loro istinti? Niente di tutto questo. Hana pensa solo al loro benessere e al loro futuro ancora incerto, vivendo di stenti decide di trasferirsi in un enorme casale tra le montagne, isolato da paesi e città, dove i piccoli possono vivere secondo la loro natura.
È proprio qui che inizia la loro vera crescita.
Una mamma umana può insegnare ad un figlio ad essere un umano, a vivere come lei stessa è vissuta, ma come può insegnare ad un figlio anche ad essere lupo? Pur non volendo imporgli nulla, alcune attitudini proprio non le appartengono. I due bambini crescono, affrontano la paura di ferire qualcuno e l’istinto di uccidere altri animali, frequentano una scuola distante da casa e allo stesso tempo i boschi più inesplorati. Yuki e Ame sono totalmente diversi tra loro, la loro mamma lo sa bene e imparerà che non potrà essere lei a proteggerli per sempre.
L’opera è di una sensibilità e sincerità disarmante, la difficoltà dei bambini nel gestire la loro trasformazione in lupo è descritta proprio come quella di tutti i bambini nel crescere e conoscere sé stessi. Desideri, paure e pulsioni scaturiscono come fiumi in piena e l’aspetto che ci coglie impreparati è il riuscire a comprendere perfettamente i sentimenti dei protagonisti, pur non vedendoli mai aprirsi in maniera limpida. Nessuno dei due mondi è visto come quello buono e nessuno è quello cattivo, non c’è modo per un genitore di avere la certezza di aver fatto il possibile per rendere felice la propria creatura, eppure il fatto che sia proprio Yuki a raccontare con molta dolcezza e riconoscenza la storia della loro mamma, ci scalda il cuore proprio con quell’amore incondizionato che può appartenere solo ad una madre.
Tutti i protagonisti sono disegnati in maniera davvero semplice e lineare, pochi tratti e pochi colori, eppure li vediamo crescere davanti ai nostri occhi e i loro cambiamenti sono quasi tangibili scena dopo scena. Al contrario, i dettagli nei paesaggi e negli sfondi sono di un’accuratezza minuziosa, tutto è ricco di particolari al punto di farci sentire i suoni della natura anche quando non vengono realmente riprodotti.
Hosoda lascia mute le scene in cui i protagonisti affrontano un grande dolore, colora quelle in cui vivono spensierati e sceglie sottofondi malinconici per quelle in cui la vita è particolarmente dura.
Non vi nascondo che piangerete molto, ma capirete il senso delle vostre lacrime solo durante i titoli di coda. Non saranno dettate dalla tristezza ma dalla vostra anima, toccata e commossa.
Per realizzare il film il regista ha fondato lo Studio Chizu, che produce pellicole insieme allo Studio Madhouse; il character design è stato curato da Yoshiyuki Sadamoto, divenuto celebre per Neon Genesis Evangelion.
Campione d’incassi al botteghino giapponese, nel 2012 riceve il premio Japan Academy Award come miglior film d’animazione e arriva in Italia nel 2013 distribuito dalla Dynit. Wolf Children è disponibile anche su Netflix.
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