Ripercorriamo la vita di uno dei personaggi Marvel più famosi di tutti i tempi: Wolverine
Se Spider-Man e Hulk possono essere considerati i personaggi simbolo della Casa delle Idee, quando invece occorre presentare un character che ne incarni la filosofia, tramutato ormai in vera e propria icona non solo della Marvel ma pop tout-court, non si può non pensare a Wolverine, unico eroe Marvel ad aver fatto parte di tutti e tre i gruppi principali della casa editrice (X-Men, Fantastici Quattro, Avengers).
Nato negli anni Settanta che già sembrava modernissimo, l’eroe che prende il nome dal mustelide ghiottone nasce come veloce comprimario sulle pagine di Hulk nel 1974 (Incredible Hulk, # 180) dalla fervida immaginazione di Len Wein, che visto il suo straordinario successo pochi mesi dopo lo ripropone come protagonista sul rilancio di X-Men a lui affidato.
Nelle abili mani di Chris Claremont, all’interno di Uncanny X-Men, Wolverine acquista una tridimensionalità inusitata per un personaggio a fumetti: la sua personalità è modellata non sul tipico e abusato eroe senza macchia e senza paura, ma anzi delineato da più ombre che luci, una sorte di anti-eroe ante litteram, che non si poneva il problema morale dell’omicidio e che nascondeva dietro i suoi modi bruschi un dolore profondo. Non solo: la sua vita è un mistero pieno di colpi di scena, la sua esistenza un cambiamento dietro l’altro. Insomma, puro distillato di Marvel Style.
Nel 1982, forte di una popolarità incredibile, lo stesso Claremont scrive la prima miniserie a solo dell’artigliato canadese: quattro volumi che ancora oggi sono un vero e proprio caposaldo.
QUELLO CHE FA NON È PIACEVOLE
(Wolverine prima serie # 1/4, Wolverine & Kitty Pryde # 1/6, Marvel Comics Presents prima serie # 1/4, Wolverine seconda serie #1/118)
La prima miniserie a solo di Wolverine risale al 1982, quando sotto pressione della Marvel ad X-Chris (all’epoca deus ex machina del parco mutante con una gestione di grandissimo successo) fu chiesto di creare un’altra serie. Nelle dinamiche del gruppo, su Uncanny, Wolverine era più che altro il bad guys del gruppo, una sorta di contraltare al buon samaritano Scott Summers aka Ciclope: un personaggio già così, anche abbozzato, ma fuori dagli schemi, per mostrare che gli X-Men erano realmente un gruppo differente. La tagline della testata, d’altronde, recitava all new, all different, contando tra le loro fila personaggi di tutte le etnie e fisionomie caratteriali.
Ma è proprio con la mini di 4 numeri Wolverine (Marvel Omnibus Wolverine di Claremont, ed. Panini), scritta da Claremont e disegnata da Frank Miller, che il character assunse connotati più precisi, e nella primissima pagina pronuncia la frase diventata quasi proverbiale: “I’m Wolverine, I’m the best there is at what I do. But what I do isn’t very nice”.
Trasformandosi, anzi, confermandosi come un vero e proprio anti-eroe, come si diceva sopra: brutto, sporco e cattivo, con una morale che realisticamente si staccava dal prototipo del supereroe e diventava più aderente ad una realtà che andava via via modificandosi così come anche il Comics Code Authority. Un personaggio realistico, che lottava contro villain che non erano più mostri mascherati ma criminali yakuza, boss del crimine e malfattori: stessa ambientazione che si ritroverà nella seconda miniserie ad opera di Claremont e John Buscema che con i suoi 4 numeri inaugura la testata antologica Marvel Comics Presents, che ospiterà per molto tempo storie sui mutanti e spesso e volentieri proprio su Wolvie; come anche nella prima serie regolare dedicata al mutante artigliato, che presenta nei primi numeri i testi sempre di Claremont e i disegni di un sempre ispiratissimo Buscema.
Per il pubblico è uno shock: in quelle pagine, il protagonista sfodera gli artigli e fa del male senza problemi, il sangue sgorga anche se non si vede, ma soprattutto (il segreto, o uno dei segreti, del successo) grazie all’indole del solito Chris, il passato dell’uomo è una fitta coltre di mistero, le sue origini sono un enigma così come il suo vero nome: solo in Uncanny #139 (Marvel Omnibus Gli Incredibili X-Men 1, ed. Panini), a ben sei anni dopo il suo debutto, in uno scambio di battute con Nightcrawler i lettori vengono a sapere che l’alter ego di Wolverine si chiama Logan ma niente più. Per il vero vero nome, e per far luce sul suo passato, sarebbe dovuta passare un bel po’ di acqua sotto i ponti.
Dopo Claremont, che scrisse solo i primi 10 numeri della regular gettando però le basi per tutto l’universo wolverinico, arrivarono prima un Peter David (con l’ Affare Gehenna Stone) alle prime armi, poi Mary Joe Duffy, e solo nel dicembre del 1990 con il #31, l’autore che forse insieme a Claremont è stato il migliore e più fecondo, contribuendo non poco ad approfondire il personaggio dandogli credibilità psicologica, ma anche un vero e proprio mood ineguagliato e originale, Larry Hama.
Hama prende confidenza con il personaggio pian piano e lo mette gradualmente al centro di trame e sottotrame con lo stile ormai classico di Claremont, ma dando un tocco di originalità in più: mentre si viene a sapere che i ricordi di Logan sono, per la maggior parte, impianti innestati artificialmente, la serie assume un tono onirico particolarmente inquietante e affascinante. Ai disegni lo affianca prima Marc Silvestri, che ne delinea l’aspetto grafico inventando diversi scenari e personaggi, ma è con Marc Texeira alle matite che la testata prende il turbo: la vita privata dell’eroe diventa un vero e proprio dramma furioso e vertiginoso costellato da personaggi comprimari che arricchiscono la storia triangolando i rapporti interpersonali del protagonista, che sempre maggiormente acquista fascino e conquista i lettori.
Passaggi visionari e onirici mentre al centro di tutto Wolverine lotta contro la sua natura violenta che in qualunque momento può prendere il sopravvento: questo dramma intimo e privatissimo viene messo al centro di tutto, e tutte le battaglie che Logan intraprende sono battaglie prima interiori e poi esterne. La stessa nemesi storica, Sabretooth, viene utilizzata per scandagliarne di più i recessi bui e oscuri, e in tutto questo il passato del canadese da misterioso diventa misteriosissimo, nessuna risposta viene data ma con l’appiglio narrativo degli impianti che si viene a sapere innestati dal nebuloso progetto Arma X (progetto che ha rivestito le ossa di Logan di adamantio) altre domande si aggiungono a quelle già numerose che si pone il pubblico sempre più invischiato nelle trame ordite dagli autori.
In questo senso, è proprio del 1991 una miniserie fondamentale non solo per il personaggio ma per l’intero mondo fumettistico mainstream: il capolavoro Weapon X di Barry Windsor Smith.
RISPOSTE SENZA RISPOSTE: ARRIVA ARMA X
(Marvel Comics Presents, prima serie, #72/84)
Oggi il mondo del fumetto è profondamente cambiato, e con lui anche le tecniche narrative e gli schemi usati dagli autori: fa sorridere quindi pensare che negli anni ’80 potesse esistere un personaggio famoso e richiesto come il nostro su cui ancora non una parola era stata detta riguardo alle sue origini. Era precisa volontà di Claremont mantenere infatti il più stretto riserbo, e a lungo andare – e anche con il senno del poi – la strategia funzionò come forse mai prima e mai dopo: addirittura va detto che i piani per la storia del personaggio (passata e futura) erano molto diversi da quello che poi fu rivelato. Certo è che quando nel 1991 venne annunciata sull’antologico MCP una storia scritta e disegnata dal bravissimo Windsor Smith che avrebbe alzato il velo su uno dei misteri meglio custoditi del mondo della letteratura disegnata, il clamore fu enorme.
Weapon X (questo il titolo dei dodici episodi di appena undici pagine ciascuno) fu infatti un successo annunciato e ad oggi rimane una delle pubblicazioni più celebrate della Marvel; e anche se la qualità non venne subito percepita come tale (come spesso succede con i grandi capolavori), Weapon X rappresentò un vero e proprio punto per la storia di Logan. E non tanto per le rivelazioni: Weapon X va letta innanzitutto di filata, e probabilmente il suo non essere subito apprezzata deriva dal fatto che le appena 10 pagine di ogni episodio mensile non resero giustizia al respiro di questa grande opera.
Dal punto di vista strettamente narrativo, quello che Windsor Smith svela è ben poco, se non che il progetto Arma X (che anni dopo, nella sua acclamatissima gestione mutante, rivelerà stare per arma dieci) implementò con adamantio lo scheletro di un uomo la cui natura mutante, grazie al fattore rigenerante, poteva sopportare tale operazione. Operazione che venne eseguita ovviamente senza il consenso di Logan, e che quindi diede il via ad una serie di atroci torture, fisiche e psicologiche.
Weapon X è un’opera grandiosa, dai tratti violenti e dalla perturbante componente drammatica: nel raccontare il calvario del protagonista, intelligentemente l’autore suggerisce senza mai stabilire chiaramente se ciò che viene mostrato sia vero o il frutto di un sogno (o di un incubo), impregnando le pagine di una fortissima componente onirica e giocando con le percezioni del lettore, fissando in maniera indelebile e visivamente straordinaria lo stato confusionale dentro la mente del mutante. Lo stile “nudo e crudo” di questo racconto, che nonostante confonda i piani narrativi ha un incedere elegantissimo, pragmatico e diretto, fa si che il passare degli anni non scalfisca minimamente la sua bellezza o potenza: le (tante) didascalie usate, inoltre, non solo non appesantiscono il racconto, ma amplificano la sensazione di estraneità con l’esterno che il povero Logan prova durante l’esperimento.
Il resto lo fa il tratto longilineo, dettagliato e sporco di Smith, che fissa su carta una delle interpretazioni più convincenti e meglio riuscite di Wolverine: la cura maniacale per ogni vignetta si fonde alla perfezione, incredibilmente, con gli esperimenti e gli azzardi delle composizioni. La forza del disegno risiede nella cadenza frammentata del ritmo narrativo restituita dal fitto tratteggio: disseminati tra le pagine, indizi e didascalie formano un unico grande puzzle che solo visto nella sua interezza mostra la sua grandezza.
Weapon X restituisce per gli anni a venire il nucleo fondante del personaggio: il dolore. Wolverine e Logan sono due personalità scisse nell’insieme dello stesso corpo. Wolverine è l’animale, Logan l’uomo. Logan viene svuotato dalla sua umanità, e rimane solo Wolverine con la sua necessità di vendetta che esorcizza il suo dolore infliggendo altro dolore. Alla ricerca continua dell’umanità perduta e sepolta nel buio infinito della sua psiche distrutta.
Per concludere: i piani di Claremont a cui si accennava sopra circa il passato del personaggio erano decisamente diversi da quanto poi messo su carta.
Tra il 1989 e il 1991 ci furono diverse discussioni sulle vere origini da raccontare: Chris aveva previsto che l’adamantio sulle ossa fosse stato impiantato da Apocalisse, cosa suggerita sulle pagine di Uncanny dal geniale scrittore londinese nel momento dell’incontro tra il canadese e Warren Worthington trasformato in Arcangelo (pelle blu e ali di metallo), e infatti Wolverine ha come una sensazione di familiarità nel vedere il cambiamento del compagno di squadra.
Windsor Smith scrisse quindi un racconto senza dire più di tanto sui veri mandanti dell’esperimento proprio per creare l’antefatto necessario alla rivelazione vera e propria, anzi usando la cosa come pretesto per raccontare la sua storia secondo la sua sensibilità d’artista. Ma si sa, Claremont sul finire degli anni ’90, sull’onda del crescente successo di Wolverine, ebbe non pochi problemi con la dirigenza: sia per cosa aveva previsto per il suo futuro (ne riparleremo a breve), sia per il racconto sulle origini, litigando con quell’Hama che invece aveva introdotto il discorso su Arma X.
Andato via Hama, la testata ammiraglia del mutante artigliato perdeva un deus ex machina che non solo era stato capace di aumentare la popolarità del personaggio, di per sé vincente, ma anche di accrescere il background narrativo arricchendolo in maniera esponenziale. Il buon Larry ebbe però il tempo, prima di andar via, sul # 71 di scrivere un’altra pagina fondamentale per la storia di Logan.
STORIE FATALI
(Wolverine, seconda serie, # 74/157)
In origine, Claremont aveva pensato che gli artigli di Wolverine potessero essere degli innesti meccanici inseriti nel suo organismo dal programma Arma X, e quindi un surplus tecnologico. Arrivò però il crossover tra Uncanny X-Men e Wolverine, Fatal Attractions, (Marvel Omnibus X-Men, Attrazioni Fatali, ed. Panini Comics) nel quale la scena madre (pubblicata sul #75, 1991) fosse quella in cui Magneto strappava l’adamantio dalle ossa dell’uomo. Ma il vero colpo di scena venne subito dopo: in una splendida e storica splash page disegnata da Adam Kubert, all’epoca illustratore regolare, si scopriva che gli artigli erano di osso (!!!), e quindi facevano parte dello scheletro dell’X-Man e dunque della sua mutazione.
L’incongruenza narrativa (fino ad allora, gli artigli erano presentati come innesto di Arma X: ma quindi, perché non li aveva mai usati prima?) venne risolta brillantemente: lo shock della fuoriuscita di sei lame dal dorso della mano, e il conseguente dolore, era stato così forte che il suo fattore rigenerante aveva fatto sì che Logan stesso dimenticasse di averli. un ulteriore tassello dell’enigmatico e affascinante puzzle che compone(va) il passato del personaggio era stato aggiunto. Solo anni dopo, un fuoriclasse come Paul Jenkins ci sarebbe tornato su per raccontare altro.
Dopo la partenza del benemerito Hama, Wolverine restò per un bel po’ senza una guida fissa a lungo termine, mentre si avvicendavano diversi scrittori, anche di gran qualità: Warren Ellis (#119/122) scrisse per i suoi primi – e ultimi – quattro mesi una saga, Not Yet Dead (Marvel Greatest Hits, In Punto Di Morte, ed. Panini Comics), che vedeva alle matite un allora inesperto ma già bravissimo Leinil Francis Yu; Tom De Falco passò solo due numeri, addirittura Chris Claremont fu l’autore di ulteriori quattro (traghettando la testata attraverso il numero celebrativo 125, rivelando che in passato il nostro era stato sposato nientepopodimeno che con Viper); Erik Larsen restò per poco più di un annetto creando un dimenticabile divertissement di stampo molto classico e mainstream; Rob Liefeld fece una toccata e fuga di tre mesi. Solo nel 2001, con l’arrivo di Frank Tieri, la serie ritrova stabilità: lo scrittore, coadiuvato da Sean Chen e diverse guest star ai pennelli, capisce che uno dei punti di forza del personaggio è il buco nero del suo passato, e continua la strada intrapresa da Windsor-Smith, da Claremont e da Hama rivelando altri dettagli sul progetto Arma X.
Niente di particolarmente sconvolgente, ma in questo modo Wolverine ha modo di proseguire la sua corsa nel segno della continuità, continuando a mietere successi: addirittura, la seconda serie del canadese, nel 2002, viene finalmente sdoppiata. Wolverine chiude e prosegue con la terza serie scritta inizialmente da Greg Rucka, mentre Tieri viene dirottato su una testata spin-off nata sull’onda del successo della principale, intitolata semplicemente Weapon X e dedicata esclusivamente alle vicissitudini di Logan alle prese con il ritorno del programma governativo omonimo.
Va però sottolineato che è forse proprio con Tieri che il passato di Wolverine, e il suo svelamento, iniziano a banalizzarsi e a venire trattati senza quel sensazionalismo intelligente che col tempo avrebbero reso il personaggio progressivamente meno tridimensionale della sua natura originale.
UN MUTANTE IN NERO
(Wolverine, 3^ serie, #1/32, Origins, # 1/6)
Rucka prende quindi in mano il mensile: e con soli 19 numeri, riesce a dare una sterzata qualitativa allontanandosi dalle trame di Arma X che stavano ristagnando e restituendo un personaggio rinnovato nel profondo, con radici noir per come nel suo stile. Quello dell’autore è un Logan combattuto, portando in alto il dualismo uomo/bestia, alimentato dalla sempre più corposa consapevolezza che nel suo passato si è macchiato di diverse efferatezze, ormai dimenticate. Rucka approfondisce il limite sul quale Wolverine si muove costantemente, la divisione sfumata e inafferrabile fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, portando avanti un percorso che indaga fino a che punto un cuore pieno di cicatrici può piegare un corpo indistruttibile. Grazie poi ai disegni di Darick Robertson, spesso e volentieri le trame sono piegate sotto una spinta grottesca che sembra la naturale prosecuzione e maturazione del sentiero costruito da Hama, pieno di visioni oniriche e costrutti mentali paradossali, anche grazie a dialoghi fenomenali (Rucka in questo è maestro indiscusso). Gradualmente però il dramma umano passa sempre più in secondo piano, facendo scivolare il mensile in una deriva non proprio centrata.
Il testimone, con il # 20, viene però preso da un altro fuoriclasse perfettamente a suo agio con trame nerissime condite da un macabro senso surreale, Mark Millar. Che, nella migliore tradizione mutante, affonda le sue trame nella storia X.
Con il #300 di Uncanny, Claremont aveva previsto la morte di Wolverine: l’uomo sarebbe dovuto morire sotto i colpi della nemesi storica Lady Deathstrike per poi essere resuscitato in un secondo momento dalla Mano e passare dalla parte dei cattivi in modo permanente. La successiva storyline avrebbe quindi visto Wolvie come nemico degli X-Men almeno per un anno editoriale. Il tutto era stato ideato da X-Chris per analizzare il personaggio sotto un punto di vista diverso, spiegarne la vera natura e perché era così importante averlo tra gli X-Men. L’allora editor-in-chief Bob Harras ammise la bellezza della storia, ma dovette rifiutarla perché questo avrebbe creato problemi all’allora scrittore principale Larry Hama, ma soprattutto perché avrebbe arrestato le vendite di un mensile molto venduto per tutti gli anni ’90.
Questo fu uno dei tanti fatti che convinsero Claremont ad abbandonare le sue creature mutanti, ma parte di questi spunti furono recuperati e rielaborati proprio da Millar, nella saga Enemy Of The State/Agent Of Shield pubblicata sul mensile dal #20 al #31 (Marvel Greatest Hits, Wolverine Nemico Pubblico, ed. Panini Comics). Con il pretesto del fumetto d’azione, Millar analizza in profondità il lato più animalesco del protagonista mutante, affrontando anche tematiche relative all’occultismo. Le allusioni alle multinazionali, alle logge massoniche e al satanismo sono innumerevoli, come nello stile dello scrittore britannico, senza evitare anche sortite nella magia nera e sessuale. La storylline, godibilissima, pullula di ospiti celebri (dai Fantastici Quattro ai Vendicatori ad Elektra), ma il suo punto di forza principale sono i testi e i dialoghi, incisivi e sferzanti, morrisoniani nell’impostazione e alla fine assolutamente spiazzanti. E anche se alla fine della storia lo status quo ante è garantito, la lettura è piacevole anche grazie ai disegni, notevolissimi, di John Romita Jr, di enorme impatto.
Ma se, seguendo le indicazioni di Claremont, il “futuro” di Wolverine con la sua morte era stato ormai bypassato, dopo quasi trent’anni dalla sua creazione era venuto il momento di alzare il sipario sul suo passato: Origins è una miniserie di sei episodi, scritta da Paul Jenkins e disegnata da Andy Kubert, che svela definitivamente le origini di Wolverine. Alias Logan. Alias James Howlett.
E come da tradizione, la storia delle origini di un eroe tormentato come Wolverine non poteva che essere una grande tragedia. Jenkins si rivelò l’autore adatto, per la sua prosa sottile capace di scandagliare con intelligenza le psicologie dei personaggi che scrive: e in un certo senso sparigliò le carte ribaltando ogni aspettativa, con un racconto dai toni e dall’ambientazione inaspettata.
Spiazzando tutti, Origini è ambientata in pieno ottocento e racconta le vicissitudini di James Howlett, un ragazzino gracile e fragile, rampollo di un’aristocratica famiglia che vive in un’immensa tenuta. Nella villa abitano anche il violento e alcolista giardiniere Thomas Logan, con figlio al seguito; e Rose, una giovane ragazza dai capelli rossi tata di James.
Tramite accurati indizi mai troppo chiari, veniamo a sapere che la madre di James è psichicamente debilitata, e vive rinchiusa in camera; il padre è invece un uomo buono e gentile vittima del ricchissimo nonno, vero padrone dei terreni, uomo burbero e senza cuore. Si scopre anche che la donna ha avuto un altro figlio morto prematuramente, e che ha lasciato tre inquietanti e profonde cicatrici sulla schiena della madre. James trascorre le sue giornate costretto in casa a causa del suo corpo debole, vessato dalla malattia: unico sprazzo di luce, l’amicizia con Rose e con Dog, il figlio di Thomas.
Le cose precipitano quando un odio represso e malcelato di Dog si esprime con l’uccisione del cagnolino di James: i genitori allora licenziano il giardiniere, che a sua volta si vendica con un’incursione nella villa armato di fucile, intenzionato a rapire lady Howlett, in realtà sua amante. Lord Howlett viene quindi barbaramente ucciso sotto gli occhi del figlio, che in preda ad uno shock sfodera per la prima volta gli artigli ossei dalle mani, sfregia Dog e uccide Thomas. Sconvolta dal dolore, Lady Howlett caccia il figlio di casa e si suicida con lo stesso fucile con cui l’amante ha ucciso il marito.
James ha un’amnesia provocata dall’assalto, dimentica cosa è successo e di avere gli artigli e fugge insieme a Rose, che si rivolgerà d’ora in poi a lui chiamandolo solo Logan. Nella Columbia Britannica, James/Logan trova lavoro come minatore, diventa un uomo solitario e schivo, rude e selvaggio, dimenticando e rinnegando il suo passato e le sue origini, e innamorandosi proprio dell’amica dai capelli rossi. Anni dopo, Dog Logan rintraccia i due, incaricato dal nonno Howlett di ritrovare il nipote: Logan riacquista la memoria quando l’avversario lo assale, sfodera di nuovo gli artigli e accidentalmente uccide proprio l’amata Rose. Sconvolto, si allontana dalla civiltà e va a vivere in uno stato selvaggio nei boschi.
Romanzo di formazione dalle suggestioni dickensiane, Origini è a tutt’oggi, insieme a Weapon X di Windsor Smith, non solo una delle storie più avvincenti e drammatiche della mitologia mutante, ma anche uno dei migliori esiti creativi della Marvel e del fumetto d’oltreoceano, con i suoi testi introspettivi e intensi senza mai risultare verbosi, e soprattutto con le sue atmosfere cariche di tragedia e di dolore immanente, mentre all’orizzonte si staglia una figura (James/Logan/Wolverine) statuaria nel suo dolore che lo forgia e lo porta ad essere quello che è.
Poco importa se, pur rispondendo a tante domande, Origini ne pone altrettante pure più inquietanti (che fine ha fatto realmente il fratello di James? Thomas Logan era il suo vero padre?): l’opera svela degli avvenimenti sui quali i fan si scervellavano da decenni e lo fa in modo magistrale, senza deludere le aspettative ma nello stesso tempo percorrendo una via personalissima, inaspettata e per questo ancora più affascinante.
UN SOLDATO DEL TEMPO TRA PASSATO E FUTURO
(Wolverine terza serie, #33/74, Wolverine: Origins #1/50, Wolverine: Weapon X #1/16, Dark Wolverine #75/90)
Risolte una volta per tutte (?) le origini del personaggio, agli autori di testata non resta che percorrere la strada tracciata in origine da Hama e proseguita da Tieri, ovvero raccontare le vicissitudini nel tempo del progetto Arma X, con tutti i soldati che ne hanno fatto parte e gli intrighi governativi in cui è stato coinvolto.
Lo fanno bene o male tutti gli autori che succedono a Millar, da Daniel Way a Marc Guggenheim, da Jeph Loeb -che trova il tempo di tornare a parlare della nemesi storica di Wolvie, Sabretooth, fornendo nuovi, trascurabili indizi su nuovi misteri riguardo l’origine mutante del personaggio e creando una nemesi nuova di zecca e per fortuna oggi dimenticata, tale Romulus- fino di nuovo a Millar il quale imbastisce una storia su un futuro distopico nel quale Wolverine si fa chiamare solo Logan, Old Man Logan: saga di enorme successo e ancora più grande importanza narrativa negli anni a venire- passando a Jason Aaron, probabilmente autore del ciclo migliore dei convulsi anni Zero della testata a cui si aggiungono i sedici numeri della nuova Wolverine: Weapon X (Wolverine #243-256, ed. Marvel Italia), coadiuvato dalle matite ruvide e violente di Ron Garney.
Mentre lo stesso Way continua a scrivere i 50 numeri di Wolverine: Origins, che prende spunto dalla mini di Jenkins – ma se ne allontana per atmosfere e risultati qualitativi – e prosegue la trama raccontata nell’evento HOUSE OF M (Grandi Eventi Marvel: House Of M, ed. Panini Comics) nel quale Logan recupera tutti i suoi ricordi ormai svelati per i lettori, Aaron confeziona una storia dalle tinte fosche e dal tenore cupo e ricco d’intrigo, che vanno a braccetto con la scelta di vestire il mutante artigliato con il costume nero e grigio che indossa quando è a capo della squadra mutante d’assalto X-Force.
La storyline Gli Uomini di Adamantio è una storia dallo sviluppo abbastanza lineare ma ben scritta, in cui ottimo è il ruolo di Garney alle matite, che sfodera disegni in grado di oscillare da uno stile personale a uno che in certi momenti giunge a citare -ma pur sempre rielaborandolo secondo una sintesi personale- il lavoro di Barry Windsor-Smith, cui la nuova serie di Aaron e Garney non poteva che rendere omaggio. È pregevole, inoltre, il modo in cui la colorazione digitale di Jason Keith, non certo una esemplare ma certamente d’impatto per quanto riguarda le scene d’azione e in alcuni momenti in cui gioca con la messa a fuoco per rendere la profondità degli ambienti, non copra i molteplici tratti di inchiostro di Garney, che rendono più vivida la narrazione grafica e contribuiscono ad amplificare la ferinità del protagonista. La serie, pur breve, dosa al punto giusto intrigo, azione e riflessione.
Gli anni Zero sono quelli di massima espansione editoriale per l’eroe, che si trasferisce come protagonista proprio su Wolverine: Weapon X e Wolverine: Origins (oltre ad essere presente negli Avengers scritti da Bendis) mentre dall’altra parte vede arrivare anche un figlio (Daken) che prende il suo posto come protagonista della testata regolare Wolverine che nell’occasione si trasforma in Dark Wolverine. L’onnipresente Way e Marjorie Liu, gli autori, lavorano in tandem e ci offrono albi in cui è l’introspezione a fare da traino alla narrazione.
Gli scrittori si concentrano sul rapporto tra Daken e gli altri membri degli Dark Avengers, a una riunione così come a un party, mostrandolo come la mela potenzialmente marcia della cesta, che scopre le falle organizzative e psicologiche del gruppo. Way e Liu puntano l’attenzione sul potere di Daken di manipolare le emozioni, che egli usa a proprio piacimento per procurarsi l’avventura di una notte o il divertimento di una scazzottata.
Il team grafico al lavoro sui primi numeri di Dark Wolverine è capitanato dall’incredibile e italianissimo Giuseppe Camuncoli, inconfondibile nello stile, le cui fisionomie affilate si addicono a quella che sembra essere la filosofia della serie. Alle chine addirittura Onofrio Catacchio svolge un lavoro egregio, aggiungendo valore all’operato di Camuncoli; Marte Gracia e A. STreet, ai colori, si armonizzano con l’inchiostro di Catacchio creando la giusta gamma di luci ed ombre richiesta da una storia che si appoggia su segreti e apparenze.
Come se tutto questo non bastasse, nel 2011 la Marvel edita un’ulteriore serie: Wolverine & The X-Men (Marvel Omnibus: Wolverine & gli X-Men, ed. Panini Comics) vede ai testi sempre Jason Aaron ma in forma strepitosa, coadiuvato dalle matite muscolari, solari e plastiche dell’eccellente Ed McGuiness. Come punto di partenza narrativo questa volta c’è lo Scisma (Grandi Eventi Marvel: Scisma, ed. Panini Comics), evento nato sulle pagine mutanti che vede contrapporsi Ciclope e Wolverine non solo come persone ma anche come filosofie di vita.
Se allora Ciclope cerca di raggiungere l’integrazione tramite “il pugno chiuso”, addestrando i nuovi mutanti a combattere, Logan tenta invece un sentiero più pacifico, usando “il palmo aperto” per evitare, fin quando è possibile, che le adolescenze dei mutanti siano segnate dalla violenza e dal dolore così come è sempre stato per gli X-Men e soprattutto per lui. A parte l’imprevedibilità dell’assunto di base, che vede un personaggio rinnovato ma non stravolto rispetto alle sue origini “bestiali”, W&TXM è una grande serie proprio per le sceneggiature brillanti di Aaron, che dimostra di saper raccontare Wolvie anche declinandolo in maniera diversa e più solare rispetto alla tradizione classica, iniettando nel franchise leggerezza, umorismo e un sense of wonder ruspante. Qui Aaron crea una lunga storia che si dipana tra trama orizzontale e verticale, bilanciando molto bene le storie autoconclusive ma mantenendo un largo respiro -fattore necessario vista la continuity ingarbugliata del Wolverine del duemila-, prendendo spunto un po’ da Grant Morrison (New X-Men), un po’ da Peter Milligan (X-Statix) per rendere realistica l’idea della scuola per mutanti. Quindi non -più- supereroi ma esseri umani in balia delle forze evolutive in contrasto con la natura delle cose, con un Aaron che sa essere fiabesco e insieme delicato per descrivere ansie e paure dei ragazzi di oggi.
Editorialmente, se gli Anni Zero sono quelli di massima espansione conservando però una solida forza narrativa ed autoriale, gli anni Dieci non sono facili per Wolverine, e lentamente la testata entra in una sorta di pantano creativo: nel 2011 la serie si azzera e vede ai testi l’onnipresente Jason Aaron dal (nuovo) # 1 fino al 12 e poi sul numero 300 (quando la ongoing riacquista la numerazione originale) fino al 304; successivamente, sono il modesto Cullen Bunn e Jeph Loeb sottotono a condurla fino al # 320. Nel 2013, il mensile riparte di nuovo da 1 per la 5^ volta con i testi di Paul Cornell, presente anche con la successiva ripartenza (sono gli anni frenetici del Marvel NOW!) che dura fino al 2014 e si conclude con la trilogia 3 MONTHS TO DIE (Wolverine #300/302, ed. Panini Comics). Avventure che non rendono giustizia ad un personaggio una volta sfaccettato, ma che si trascinano stancamente tra un evento e un altro.
Infatti nel 2014 l’onda lunga delle Origini di Jenkins non si è ancora spenta del tutto: e mentre tutti attendono che qualcuno alla Marvel si decida a dare una risposta alle domande rimaste aperte con la bella mini di Jenkins, arriva in edicola Origin II (Marvel Saga: Wolverine le Origini 2 #17/19, ed. Panini Comics), scritta da Kieron Gillen e disegnata da Adam Kubert.
Una nuova miniserie che aggiungesse qualcosa a quella esplosiva del 2001 era di per sé un rischio (così come lo era stato la prima): ma fu anche questa volta una scommessa vinta anche se a lungo termine sottovalutata e sottostimata. Gillen era all’epoca lo scrittore di Uncanny, quindi perfettamente a suo agio con le vischiose nebbie dei misteri mutanti: con la sua Origin II decide, così come aveva fatto intelligentemente Jenkins, di sparigliare un’altra volta le carte e di prendere in contropiede tutti quelli che aspettavano un semplice sequel.
Perché riprende lì da dove avevamo interrotto la narrazione tredici anni prima (con Logan selvaggio, distrutto dal dolore per aver ucciso Rose che gli aveva provocato un’ulteriore amnesia), ma non ha più i toni da romanzo d’appendice ottocentesco: se le matite di Andy Kubert nel primo capitolo davano un respiro da grande romanzo storico, qui il fratello Adam piomba il protagonista in un’avventura prettamente in linea con il personaggio che tutti amavano. E troviamo allora anche la prima -e stranamente inaspettata!- apparizione del nemico storico Sabretooth, nonché la presenza di un villain tipico come Mr. Sinistro: ma i cinque capitoli della storia non si adagiano mai sugli allori e cercano sempre di prendere sentieri narrativi poco battuti, riuscendo a tenere alta l’attenzione fino alla fine, fino all’ultimo colpo di coda.
Origini II è senza dubbio, una bella storia di Wolverine, forse una delle più belle degli Anni Dieci che, come abbiamo visto, possono a pieno titolo essere visti come il periodo buio della serie: la storia è ben narrata, i dialoghi sono piacevoli ed a tratti ricercati, e il tema principale è proprio l’umanità di Logan. Vissuto come una versione estremamente sanguinosa di Tarzan, le vicende suggeriscono che la redenzione è sempre qualcosa che si paga col dolore. Le vicende, a dispetto delle aspettative, sono ininfluenti rispetto all’evoluzione del mutante.
Sul versante delle regular, intanto, quasi contemporaneamente la serie W&TXM si interrompe dopo quattro anni solo per ripartire subito dopo con un nuovo autore, Jason Latour, il quale riprende in maniera più massiva l’intreccio soap-operistico mutante abbandonandosi a qualche clichè (come l’ennesimo ritorno della Forza Fenice incarnata -forse- in Quentin Quire aka Kid Omega, personaggio creato proprio da Morrison nella sua gestione mutante). Splendidi i disegni di Mahmud Asrar: e peccato che la serie si interromperà sul più bello per far posto ai cinque numeri di Spider-Man & gli X-Men (Wolverine & the X-Men # 40/44, ed. Panini Comics), con il Tessiragnatele che prende il posto del titolare di testata impegnato a…. morire.
TUTTO MUORE
(Death Of Wolverine #1/4, Death of Wolverine: Weapon X Program, Death of Wolverine: Logan Legacy, Death of Wolverine: Logan Legacy, Wolverines #1/20, Hunt For Wolverine # 1/29, All New Wolverine #1/35)
La morte di Wolverine, “sfiorata” da Millar, diventa nel 2014 una realtà.
Raggiunto probabilmente il punto di saturazione dal punto di vista delle pubblicazioni e quindi delle apparizioni (Logan è protagonista in: Wolverine, Wolverine & The X-Men, Dark Wolverine, Wolverine: Weapon X, Wolverine: Origins, Avengers, Dark Avengers, New Avengers…), la Marvel decide che è opportuno far sparire un po’ il personaggio dalle edicole, per calmare il turbinio di eventi – oltretutto qualitativamente altalenante – in cui per dieci anni e più il mutante è stato centrale: con una mossa commercialmente spiazzante, allora, decide di uccidere il povero Logan, anche e soprattutto per azzerare le trame che dopo l’acme raggiunto con Weapon X di Windsor Smith e Origins di Jenkins erano diventate caotiche. Vengono allora affidate al classico Charles Soule le redini della mini di quattro numeri Death Of Wolverine, storia preparata da Cullen Bunn in THREE MONTHS TO DIE e che ha l’arduo compito di mettere la parola fine ad uno dei character più redditizi e noti non solo della Casa delle Idee ma di tutto l’immaginario pop postmoderno (complici anche i numerosi film del franchise di enorme successo, dove James era impersonato dall’attore Hugh Jackman). La serie lo fa in piacevoli volumi disegnati da Steve McNiven che non solo omaggia ma addirittura riecheggia e quasi ricalca lo stile di Windsor Smith: Death of Wolverine è senza dubbio un evento, rielabora la complessa vita del rampollo di casa Howlett “uccidendolo” sul finale soffocato sotto una colata di adamantio fuso, rendendolo una sorta di macabra statua a futura memoria.
Ovviamente però il posto editoriale e narrativo non può restare vacante: ecco infatti tre miniserie di quattro numeri ciascuna (Wolverine: Gli eredi di Wolverine, # 305/312, ed. Panini Comics) che indagano sugli eventi successive alla morte, e che puntano I riflettori sui personaggi più vicini, narrativamente, a Wolvie, ovvero Daken, Sabretooth, Lady Deathstrike, Mystica e X-23. Solo uno di loro sarà degno di portare avanti il suo nome, dopo che nella successiva mini Wolverines #1/20 (Wolverine #313/322, ed. Panini Comics) si metteranno sulle tracce del cadavere del defunto artigliato originale. Ad avere come eredità il nome ufficiale e il costume sarà alla fine Laura Kinney, la X-23 che prenderà il nome Wolverine nella serie di 35 numeri All New Wolverine (Wolverine #327/356, ed. Panini Comics) a lei dedicata. Scritta dall’interessante Tom Taylor, All-New Wolverine ha il pregio di essere fresca e con una protagonista ben centrata, nelle matite morbide e plastiche di David Lopez all’inizio e poi Leonard Kirk e Juan Cabal poi.
VECCHIO LOGAN
(Old Man Logan # 1/5, 1/49))
Parallelamente, nel parco testate Marvel si abbatte come un tornado l’evento Secret Wars: che da una parte mette un punto ai turbinosi e fin troppo veloci cambi di numerazione del parco testate, dall’altra ridefinisce l’assetto dell’Universo Marvel e dei mutanti, portando nella nostra dimensione (ovvero Terra 616) quel Vecchio Logan che tanto successo ebbe nella versione ideata nel 2008 da Mark Millar sulla testata. Un personaggio che meritò l’onore di una testata regolare, Old Man Logan (ribattezzata Vecchio Logan su Wolverine #327/385, ed. Panini Comics) vista anche l’assenza dell’originale: un Logan abbattuto dal dolore e della perdita di moglie e figli he si ritrovava nel suo passato – il nostro presente – con la possibilità di non far ripetere i drammi che lui ha vissuto nella sua linea temporale. La testata ha un successo strepitoso anche grazie alle tavole incantate di Andrea Sorrentino che rielabora il personaggio e ne disegna le storie fino al #18: dopo, insieme ad Ed Brisson, saranno diversi i disegnatori che accompagneranno la serie fino alla sua conclusione.
Siamo ormai arrivati al 2018, e James Howlett (come dichiarato dalla Marvel) è ormai morto da ben 4 anni editoriali, anche se le testate con il suo nome in copertina si sono solo moltiplicate. Anche i termosifoni immaginavano, comunque, che Wolvie non poteva restare nella tomba a lungo: ed ecco che allora arrivano le miniserie Hunt For Wolverine: Adamantium Agenda, Weapon Lost, Claws of a Killer, Mistery in Madripoor (Caccia a Wolverine, in Italia su Wolverine #367/376, ed. Panini Comics), scritte rispettivamente da Charles Soule, Mariko Tamashi, Jim Zubkavich e Tom Taylor. Mentre sulla miniserie crossover Infinity Wars (Marvel Miniserie: Infinity Wars # 211/220, ed. Panini Comics) vengono seminate le prime tracce, su Hunt diversi eroi iniziano a capire che forse il buon Logan non è così morto come pensavano: la conferma la avranno su Return Of Wolverine, (Wolverine: Il Ritorno di Wolverine #377/381, ed. Panini Comics), mini scritta e disegnata da coloro che uccisero l’eroe -Soule e McNiven- e che riportò sulla scena l’X-Man più noto al mondo, non senza uno strascico di misteri.
Bisognerà però aspettare la Dawn Of X di Jonathan Hickman e il 2020 perché il personaggio torni in una sua serie regolare.
PRESENTE E FUTURO
(Wolverine # 401/in corso)
Tutti sapevano sarebbe tornato: nessuno immaginava ci avrebbe messo così tanto. James/Logan/Wolverine è “morto” nel 2014, ed è tornato solo oggi, con l’arrivo di Hickman sulle testate mutanti: che, un po’ seguendo il trend del membro più conosciuto, per tutti gli anni Dieci hanno avuto un low profile e che solo con lo scrittore proprio del citato Secret Wars hanno visto una nuova impennata di qualità e notorietà.
Wolverine #401 vede i testi di Benjamin Percy e i disegni stellari di Adam Kubert: finalmente la testata che racconta le avventure del canadese è solo una, la sua continuità è ripartita quasi da zero e per capire cosa gli succede basta leggere la sua regular (e magari anche X-Force, sempre scritta da Percy…), e le sue avventure tornano ad avere un tono personale e un profilo qualitativo alto. Non tutto è centrato fin dal primo albo, ma le trame di Percy (come tutte quelle coordinate nella Dawn of X) sono a lunga gittata e come primo turning point si dirigono verso il crossover X Of Swords, che coinvolgerà l’intero parco testate mutanti. E finalmente, Logan è tornato ad essere il migliore in quello che fa. Per noi, però, quello che fa è molto piacevole.