Secondo capitolo del grande racconto del wrestling degli anni 80: oggi vedremo com’è nata – e come si è sviluppata – la rivalità tra Hulk Hogan e Andre The Giant
Il successo della prima edizione di Wrestlemania era stato clamoroso – oltre 19.000 spettatori paganti al Madison Square Garden di New York e più di un milione di telespettatori in pay-per-view e sulla tivù a circuito chiuso – e la World Wrestling Federation continuava la sua espansione nel settore dell’entertainment per famiglie con il vento in poppa. Il seguente grande traguardo della federazione di McMahon fu il contratto televisivo con la NBC per un nuovo show, Saturday Night’s Main Event che debuttò sugli schermi americani l’11 maggio del 1985. Si trattava della stessa rete del celebre Saturday Night Live e lo show di wrestling cominciò ad essere trasmesso proprio nei weekend in cui il programma comico si prendeva una pausa.
Una delle grandi innovazioni di Saturday Night’s Main Event rispetto agli altri programmi di wrestling, erano i protagonisti dei match: ad affrontarsi non erano più lottatori famosi contro sconosciuti jobber, ma stelle di primo piano, le une contro le altre. In sostanza, un’anticipazione di quello che, anni dopo, sarebbero stati i pay-per-view mensili. Nella primissima puntata dello show, l’incontro fra il campione del mondo Hulk Hogan e “Cowboy” Bob Orton terminò in squalifica, mentre Wendi Richter, ancora una volta accompagnata dalla cantante Cyndi Lauper (ricordate che siamo in piena era Rock ‘n’ Wrestling Connection), ebbe nuovamente la meglio su The Fabulous Moolah in un rematch per il titolo femminile, dopo la vittoria dell’anno precedente.
Il wrestling stava attraversando la sua golden age. L’intuizione di McMahon e l’espansione nazionale della sua federazione avevano portato la lotta professionistica a un livello di popolarità mai visto prima, soprattutto perché il pubblico non era più composto solo dagli appassionati di lungo corso ma anche da intere famiglie non avvezze allo sport-spettacolo prima di allora. Il wrestling divenne talmente cool da portare alla produzione di un cartone animato, “Hulk Hogan’s Rock ‘n’ Wrestling” del 1985 (a partire dal 1990 trasmesso anche in Italia sul canale Italia7 con il titolo “I campioni del wrestling” ), alla composizione della canzone di entrata di Hogan, la celeberrima “Real American”, e persino alla pubblicazione del primo disco della WWF, “The Wrestling Album”, con pezzi cantati dagli stessi wrestler. La federazione di Stamford era una vera e propria macchina da soldi.
Dopo lo straordinario successo della prima edizione, nel 1986 McMahon decide di raddoppiare. Anzi, sarebbe meglio dire: triplicare. Infatti, il 7 aprile di quell’anno si tenne Wrestlemania 2 ma al proprietario della federazione più popolare d’America una sola arena stava decisamente stretta. Pertanto, vennero scelte ben tre location dove tenere l’evento in contemporanea: il Nassau Coliseum di Long Island, il Rosemont Horizon di Chicago, nell’Illinois, e la Los Angeles Memorial Sports Arena. La faida fra Mr. T e Roddy Piper non si era placata e i due si affrontarono nel Coliseum addirittura in un incontro di boxe. Inoltre, anche in questa seconda edizione del pay-per-view si puntò molto sulla miscela di successo fra wrestling, altri sport e mondo dello spettacolo: per esempio, a Chicago andò in scena una Battle Royal, vinta da Andre The Giant, a cui parteciparono star del wrestling e giocatori di football NFL. E durante lo show fecero la propria apparizione anche celebrità della musica come Ray Charles e Ozzy Osbourne. Invece, il main event, a Los Angeles, fu un cruento match per il titolo fra il solito Hulk Hogan ed il possente King Kong Bundy disputatosi in una gabbia.
In un business in crescita, il raggiungimento di un traguardo ne chiama subito un altro. Ed è per questo che il 6 settembre di quell’anno la WWF lanciò un nuovo programma televisivo, Superstars of Wrestling, che ben presto sarebbe arrivato anche sui nostri schermi. Come se non bastasse, l’anno dopo sarebbe stata toccata una nuova vetta nella storia della federazione.
A febbraio del 1987, Andre The Giant e Hulk Hogan, amici ed entrambi beniamini del pubblico fino a poco tempo prima, erano entrati in rotta di collisione per via delle gelosie del gigante, alimentate dal manager Bobby Heenan, nei confronti del popolarissimo campione. Dopo le prime avvisaglie, Andre era definitivamente passato fra le fila dei cattivi, scagliandosi contro l’ex amico in una famosa puntata del Piper’s Pit. Il tutto aveva portato alla sfida fissata per il 29 di marzo in occasione di Wrestlemania III. L’evento ebbe luogo al Pontiac Silverdome di Detroit, dove si radunarono più di 93.000 spettatori facendo registrare un nuovo record di presenze per uno spettacolo indoor.
D’altro canto, il match era stato costruito nei minimi dettagli e le aspettative dei fan erano elevate. Per indicare quanto fosse epico, fu ribattezzato “la forza inarrestabile contro l’oggetto inamovibile”. Nel documentario monografico del 2018 di HBO, intitolato “Andre The Giant”, Hogan ne racconta la vigilia: McMahon gli chiese il suo parere su come dovesse svilupparsi l’incontro e lui scrisse di getto una sorta di copione su dei fogli di carta, lasciando però aperto il finale.
Quella decisione, secondo Hulk, spettava di diritto ad Andre. Il punto è che l’ex campione ricorda anche di aver combattuto con grande tensione e incertezza perché il gigante di Grenoble gli rivelò come si sarebbe concluso il match solo pochi minuti prima della fine. Ad un certo punto Andre gli diede il via libera e Hogan sollevò l’avversario e lo schiacciò a terra nel più famoso bodyslam della storia del wrestling. 1-2-3, una vittoria che, oltre a garantire al campione il mantenimento del titolo, simbolizzò il definitivo passaggio del testimone da una leggenda all’altra.
Per cavalcare il successo e i risultati di Wrestlemania III e monetizzare ulteriormente la rivalità fra Hogan e Andre – ben lungi dall’essere finita -, Vince McMahon decise di organizzare un altro pay-per-view per il 23 di novembre dello stesso anno, in occasione del Giorno del Ringraziamento. Durante l’evento, che fu denominato Survivor Series e si tenne al Richfield Coliseum in Ohio, non si disputarono incontri singoli ma solo match a squadre di 5 contro 5 (fra cui un incontro 10 contro 10, cioè 5 coppie contro altre 5). Il chairman della WWF, però, non si accontentava di aver superato la concorrenza. Da freddo businessman qual era, McMahon era determinato a monopolizzare il mercato dello sport-spettacolo, anche a costo di far fallire i propri competitor. Di fatto, le Survivor Series si sarebbero dovute tenere in contemporanea con Starrcade, il più importante evento annuale della rivale National Wrestling Alliance. La Jim Crockett Promotions, affiliata all’NWA e organizzatrice dell’evento, rispose all’attacco della WWF spostando l’orario del proprio show dalla sera al pomeriggio. Nel frattempo, le tivù via cavo, allettate all’idea dei guadagni che sarebbero derivati dalla trasmissione di due pay-per-view di wrestling uno dopo l’altro durante una giornata di festa per intere famiglie, si stavano organizzando per proporre al proprio pubblico i due show in un unico pacchetto. Il piano di Vince era sul punto di fallire quando il promoter decise di rilanciare dando alle varie televisioni un ultimatum: se adesso decidete di trasmettere anche Starrcade, non vi concederò i diritti di WrestleMania IV l’anno prossimo. E – come sappiamo – il “Super Bowl dello sport-spettacolo” generava (e genera ancora oggi) degli ingenti profitti. Ragion per cui, alla fine, solo quattro piattaforme decisero di mantenere l’impegno di trasmettere lo show NWA: tre situate nell’area geografica della JCP e una di San Jose in California.
Il main event delle Survivor Series vide la squadra di Andre battere quella di Hogan e il wrestler francese divenne il primo “unico sopravvissuto” (cioè non eliminato durante il match) della storia di questo pay-per-view. Il vero vincitore, però, era stato ancora una volta Vince McMahon che, poco a poco, stava cannibalizzando l’intera industria del wrestling nella quale, anni dopo, lui sì, sarebbe rimasto l’“unico sopravvissuto”.